Granitiche le motivazioni della sentenza Oro Grigio, il processo sulla costruzione del complesso Green Park al Torrente Trapani sequestrato nel 2007. Nel luglio scorso la I sezione penale del Tribunale ha deciso sette condanne, un’assoluzione e tre prescrizioni. Quattro anni e mezzo è stata la condanna per l’avvocato Giuseppe “Pucci” Fortino, Umberto Bonanno (nella foto), all’epoca presidente del consiglio comunale e per il funzionario comunale Antonino Ponzio. Prescrizione dalle accuse per i tre funzionari regionali coinvolti. Due anni ai costruttori barcellonesi Arlotta e Magazzù, Assolto Salvatore Arlotta, figlio del costruttore. Sentenza salomonica, perché condanna gli imputati eccellenti per corruzione e li assolveva dall’accusa di associazione. Pesanti invece le motivazioni, condensate in poco meno di 400 pagine che raccontano la storia di una tangente, e sarà arduo per i difensori smontarle in appello. Depositate qualche giorno fa, le motivazioni spiegano il perché di quel verdetto e offrono uno spaccato pesantissimo di come sono gestiti gli affari, soprattutto quelli edilizi, a Messina. I giudici ripercorrono l’iter del progetto, secondo l’accusa oliato per elevare la cubatura del complesso, ormai confiscato. Emergono così le figure del “politico” Bonanno impegnato a muovere i propri canali a Palermo per superare gli ostacoli procedimentali alla concessione, dei soci Ponzio e Gierotto per seguire, “scrivania dopo scrivania”, l’iter della concessione. Tutto per denaro, ovviamente, poco o tanto che sia. Come dimenticare Bonanno che, in auto, conta il denaro appena ricevuto da Fortino e si lamenta dell’esiguità del pagamento, definendolo “pizzarella”? Un comitato d’affari, certo, quello che si è mosso intorno al Green Park. Ma non un’associazione a delinquere, secondo i giudici, che non trovano collante stabile, apporti in affari pregressi, tra gli imputati, se non il fatto che in quella occasione si è presentato loro un lauto affare e lo hanno spartito. Diverso il giudizio sull’innegabile tangente e quindi il quantum delle condanne emesse. “La corruzione era funzionale a realizzare una trasformazione del territorio di portata imponente, la somma pretesa a titolo di corrispettivo era elevatissima e l’arroganza e prepotenza dimostrata nel pretendere il denaro indebito non comune: si pensi alle pressioni continue ed alle minacce fatte da Fortino ad Arlotta, alle continue interferenze di Ponzio nell’attività dei suoi colleghi che a vario titolo si sono occupati della pratica de qua per ragioni d’ufficio, nonché alla pretesa dello stesso non solo di avere appartamenti non dovuti ma anche di dotarli di “confort” – come un ascensore panoramico- di lusso, nonché allo sfruttamento da parte di Bonanno di legami politici a livello regionale e nazionale. Una pena inferiore sarebbe sproporzionata al riprovevole mercimonio di pubbliche funzioni fatto.”, concludono i giudici. ALESSANDRA SERIO