Le tre mafie della provincia di Messina sono ancora vive. Lo ha messo nero su bianco il procuratore capo di Messina Maurizio de Lucia nella sua relazione annuale, che fa parte degli atti depositati per la recente apertura dell’Anno giudiziario. Ecco alcuni tra i principali spunti.
Anche nel linguaggio che gli stessi mafiosi adoperano allorché vengono intercettati - prosegue il magistrato -, vien fuori una terminologia che scolpisce e rende visibile questa forma di strutturazione. Si parla di famiglie, si parla di responsabili rappresentanti delle famiglie; se il rappresentante è detenuto, si parla di reggenti, cioé un linguaggio del tutto omologo a quello di Cosa nostra palermitana.
Naturalmente, poi, per la varietà e molteplicità degli interessi economici presenti in questo territorio, questa associazione mafiosa è portata a cercare di acquisire in qualsiasi maniera una sorta di controllo non soltanto dell’economia illegale (traffico di stupefacenti ed estorsioni), ma anche dell’economia legale, attraverso imprenditori che o sono “amici” delle associazioni mafiose, o sono essi stessi dei mafiosi. Questa analisi ha ricevuto una eccezionale conferma da una ormai lunga serie di indagini condotte negli ultimi anni da questo ufficio: trattasi dei procedimenti Pozzo 2, Gotha, Gotha 2, Gotha 3, Gotha 4, Gotha 5, Gotha 6, Gotha 7. E come “aggiornamento” il procuratore cita l’indagine “Dinastia” del Nucleo investigativo e del Ros dei carabinieri, che ha documentato “l’attuale operatività” della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. Indagine che da un lato - spiega il procuratore -, ha portato all’individuazione di ulteriori affiliati alla famiglia mafiosa barcellonese, indagati di partecipazione ad associazione mafiosa, ed ha consentito di fare piena luce su numerose estorsioni in danno di attività commerciali ed imprenditoriali dell’hinterland barcellonese, gestite da esponenti della consorteria nell’arco di oltre un ventennio per garantire il funzionamento dell’organizzazione e il mantenimento degli affiliati detenuti; e dall’altro lato - prosegue -, è emerso come le nuove leve della famiglia, tra cui alcuni dei figli dei principali capi mafia barcellonesi, oramai da lungo tempo detenuti, erano a capo di una struttura criminale che operava con metodo mafioso, nel traffico e nella distribuzione di ingenti quantitativi di cocaina, hashish e marijuana, nell’area tirrenica della Provincia di Messina e nelle isole Eolie, anche rifornendo ulteriori gruppi criminali satelliti, attivi nello spaccio ai minori livelli.
La criminalità organizzata operante nel versante ionico della provincia di Messina - prosegue il procuratore -, ha storicamente sfruttato la circostanza di operare su un territorio di confine tra due diversi uffici giudiziari (Messina e Catania) senza l’esistenza di territori “cuscinetto” di competenza di Procure non distrettuali, come avviene nel versante tirrenico con le Procure di Barcellona e Patti. Si è così assistito, talvolta, allo “sconfinamento” di gruppi criminali catanesi la cui attività è stata oggetto di più ampie indagini svolte dalla Dda di Catania. Più di recente è invece maturata la consapevolezza dell’esistenza di gruppi criminali organizzati operanti su quella parte di territorio di competenza di questo ufficio, con caratteristiche del tutto simili all’azione di Cosa nostra. Ne è prova - prosegue il magistrato - il procedimento “Fiori di pesco”, che ha avuto ad oggetto una associazione a delinquere di stampo mafioso - costituente diramazione del famiglia catanese denominata Brunetto, affiliata a sua volta al famiglia Santapaola-Ercolano -, operante nella zona della Valle dell’Alcantara. Il sodalizio criminale è risultato essere dedito a vari reati contro il patrimonio, tra cui anche ad estorsioni commesse avvalendosi del metodo mafioso. Al contempo alcuni dei partecipi dell’associazione davano vita ad una autonoma associazione, dedita alla commissione di reati in materia di stupefacenti.
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