5 Aprile 2023 Giudiziaria

L’INCHIESTA SUL CALCIOSCOMMESSE A MESSINA: La lettera aperta alla città di Arturo di Napoli

Si è chiuso clamorosamente ieri con quattordici assoluzioni totali decise dai giudici della prima sezione penale presieduta da Maria Eugenia Grimaldi, con la formula "per non aver commesso il fatto, il processo sul Calcioscommesse a Messina, ovvero l'indagine sulle presunte “combine” nel campionato di Lega Pro tra il 2015 e il 2016 disputato all'epoca dall'Acr Messina. La Procura aveva formulato 14 richieste di condanna.

Completamente scagionati quindi i 14 imputati coinvolti nell'atto finale del processo rispetto al quadro inziale degli indagati, che erano in tutto 17: Arturo Di Napoli, Eros Nastasi, Pietro Gugliotta, Ivan Giuseppe Palmisciano, Fabio Russo, Giuseppe Messina, Alessandro Costa, Giovanni Panarello, Andrea De Pasquale, Stefano Addario, Daniele Frabotta, Andrea De Vito, Cosimo D’Eboli e Gianluca Grassadonia.

L’avv. Rosa Guglielmo, del Foro di Messina, difensore di fiducia di Arturo Di Napoli, nel procedimento penale che lo ha visto, per anni, indagato prima e imputato dopo per vicende legate al calcioscommesse nell’Acr Messinain una nota alla stampa esprime la propria soddisfazione per la tanto attesa assoluzione del proprio assistito. “Dopo sette anni è stata dimostrata l’innocenza del sig. Di Napoli stimato professionista, calciatore prima e, a tutt’oggi allenatore di calcio, nei cui confronti era stata addirittura avanzata richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per reati che non ha commesso. La non colpevolezza del Di Napoli era evidente sin dall'inizio, già dinanzi al Tribunale della Libertà di Messina, ma nonostante ciò, il mio assistito ha dovuto subire la pena di un processo che, peraltro, si è definito e basato su prove che erano già presenti nel fascicolo d’indagine. Siamo senza dubbio soddisfatti ma anche amareggiati, perchè questa assoluzione tanto desiderata non basta a ristorare l’angoscia e la sofferenza che ha subito il sig. Arturo Di Napoli in questi anni.".

L’avv. Guglielmo aggiunge: “Di Napoli ha tenuto un comportamento esemplare dinanzi all’indagine e al processo in sè, rimanendo sempre fiducioso nell’opera attenta e meticolosa della Magistratura, rimanendo in silenzio sino ad oggi, chiedendo unicamente di poter riprendere il rapporto con i tifosi e con la città di Messina, che per anni lo ha amato, ospitato affettuosamente ed è per questo che oggi ha sentito il bisogno di scrivere una lettera aperta alla città".

Lettera che pubblichiamo di seguito: "Ho subito accuse infamanti in qualità di professionista ma soprattutto come uomo".

“Sono passati 7 lunghi anni, oggi posso finalmente esprimere il mio stato d'animo. Ho cercato di farlo prima, ma la mia voce non veniva ascoltata. Insieme, abbiamo lottato, superato il rischio di un fallimento, sofferto e gioito. Prima in qualità di calciatore portando il Messina dalla serie B alla settima posizione in classifica della serie A dove per un solo punto non abbiamo concretizzato il sogno europeo e successivamente come allenatore portando allo stadio ventimila spettatori. Ho adorato questa città è la sua tifoseria in ambe le vesti. Ho sempre agito con lealtà, trasparenza e le scelte fatte sono sempre state dettate dalla ragione ma anche dal cuore. La triste vicenda nella quale sono stato catapultato - durata ben 7 anni della mia vita - mi ha tenuto lontano dai campi da calcio, mia passione da tutta una vita. Ho subito accuse infamanti in qualità di professionista ma soprattutto come uomo… tutto questo è stato lacerante per me, pur comprendendo in parte la vostra rabbia. Ma c’è un aspetto di questa triste vicenda che mi addolora: avreste potuto concedermi il beneficio del dubbio sui reati che mi venivano attribuiti. Mi avevate condannato ancor prima che la giustizia facesse il suo corso, dimenticando ciò che insieme siamo stati. La sentenza di oggi certifica che la verità emerge sempre e questo triste capitolo della mia vita è giunto alla fine. Non posso nascondere che la gioia di questo momento si mescola all’amaro per tutte le ingiustizie che sono stato costretto a subire, minacce comprese, ma la vita continua, non ci si può fermare, la società lo impone e oggi capisco e comprendo chi si è lasciato andare, chi non ha trovato la forza di reagire, chi non vedeva più prospettive e chi non credeva più in quella che è la giustizia e mi rivolgo a loro: non bisogna mai arrendersi, bisogna lottare sempre perché la propria dignità è al disopra di ogni pregiudizio e attendere che la giustizia faccia il suo corso per arrivare alla luce. Non posso che ringraziare lo studio Carre’ legali di famiglia e l’Avv. Guglielmo Rosa per avermi sostenuto e per avere fatto chiarezza affinché mio figlio non porti con se questo fardello nel suo percorso di crescita. Un grazie alla mia famiglia e soprattutto alla mia compagna Belinda Zannino che senza di lei non sarei riuscito a superare questa terribile tempesta. Spero che tutte le ombre, sulla mia fedeltà verso la vostra maglia e la vostra città, attraverso questa sentenza, siano definitivamente spazzate via e che possiate ricordare di avere scritto insieme a me pagine indelebili della storia del Messina. Questa è l’unica verità!".

L'INCHIESTA. 

Il sostituto procuratore Francesco Massara, titolare dell’indagine sulle presunte ‘combine’ che si sarebbero verificate nel Girone C di Lega Pro tra il 2015 e il 2016, aveva addirittura chiesto al gip Monica Marino l’arresto in carcere dell’ex calciatore ed ex allenatore dell’Acr Messina Arturo Di Napoli, e gli arresti domiciliari per altri dieci rappresentanti di tutto quel ‘mondo di mezzo’ tra professionisti, ex giocatori e allenatori, scommettitori illegali, che gravita intorno al calcio. Questi i nomi degli altri indagati per cui erano stati chiesti gli arresti domiciliari: l’ex vicepresidente dell’Acr Messina Pietro Gugliotta, il notissimo giocatore internazionale di Texas Hold’em Eros Nastasi, di origini messinesi, l’ex portiere dell’Acr Messina Alessandro Berardi; e poi gli ‘scommettitori’ o ‘intermediari’ Ivan Palmisciano, Fabio Russo, Giuseppe Messina, Alessandro Costa, Giovanni Panarello, Andrea De Pasquale, e il dentista libanese Khalifer Abdel Halim detto ‘Abudi’, da anni residente a Messina. Avrebbero rappresentato una associazione a delinquere (che il Riesame non riconobbe), con ruoli diversificati, finalizzata a realizzare frode in competizione sportive e truffe. Un ruolo apicale sarebbe stato rivestito in questo senso da Arturo Di Napoli. Gugliotta e Nastasi avrebbero rivestito un ruolo di organizzatori, mentre il ruolo di ‘meri associati’ e scommettitori di grosse somme lo avrebbero avuto Palmisano, Russo, Messina, Costa, Khalifeh, Panarello, De Pasquale e Berardi. Risultavano inoltre coinvolti, non come facente parte dell’associazione a delinquere ma solo per aver promesso o offerto denaro o altre utilità ad alcun calciatore di Messina e Paganese, nel febbraio del 2016, anche il tecnico Gianluca Grassadonia, ex della Pro Vercelli, e l’ex dg della Paganese Cosimo D’Eboli. Nei loro confronti non fu richiesta alcuna misura restrittiva da parte della Procura.

Nelle 19 pagine di provvedimento, il TdL aveva ripercorso i risultati dell’inchiesta spiegando perché ai dubbi della giustizia sportiva e alle ipotesi avanzate dalla magistratura sulla base delle intercettazioni telefoniche non sembravano seguire prove concrete che consentissero misure cautelari. Pur rivelando le anomalie già evidenziate dagli ispettori della Federazione sulla base dell’anomalo flusso di scommesse, e i frequenti contatti tra gli scommettitori, i bookmaker e soggetti che ruotano intorno la società, il Riesame spiegò che 'nessuno di questi contatti può dare concrete indicazioni su un’eventuale associazione che gestiva le scommesse, ma soprattutto non ci sono prove concrete sul fatto che i giocatori “vendessero” effettivamente le partite'. Il Riesame confermò che le frasi intercettate “ventilano condotte patologiche nell’Acr Messina”, ma non offrono prove concrete di reati. “La rete di contatti (tra bookmaker e scommettitori, ndr) rende plausibile la rivelazione da parte di soggetti intranei alla società di calcio ACR Messina di notizie riservate su intese fraudolente in merito all’esito degli eventi sportivi, verosimilmente preliminare ad una ripartizione delle vincite non potendo i tesserati esporsi in prima persona. Le indagini non hanno permesso tuttavia di individuare, oltre la soglia dei sospetto – scrissero i giudici del TdL – i calciatori che si sono prestati all’attuazione delle programmazioni criminose. L’assunto che il portiere dell’Acr Messina fosse tra i principali attori delle frodi sportive si affida a contegni in campo del calciatore in sé non univocamente sintomatici  di un proposito artatamente rivolto ad alterare l’esito della gara (…) non è possibile discernere tra errori, imprudenze e macchinazioni fraudolente. La giustizia sportiva, esaminata la condotta di gara dei protagonisti degli incontri Casertana-Messina, Messina-Benevento, Messina-Paganese, non ha ravvisato illeciti di sua competenza. (…) L’omessa identificazione degli autori delle scommesse impedisce in ogni caso qualunque verifica in ordine alla ricorrenza di collegamenti tra gli scommettitori e gli indagati”. Il Riesame, quindi, bocciò le esigenze cautelari ma anche il quadro indiziario, e soprattutto l’ipotesi dell’associazione a delinquere. Le conversazioni a mezza bocca intercettate non bastano a supportare le accuse, dissero i giudici. Soprattutto perché molte non trovarono poi riscontro nelle testimonianze dirette degli stessi protagonisti. Uno per tutti Raffaele Di Napoli, subentrato nel team dell’ACR ad Arturo Di Napoli e in chiara polemica con questo. Era stato intercettato a lamentare la gestione precedente della squadra. “Tutti in città sapevano che il Messina si vendeva le partite”, ha ammesso agli investigatori che lo hanno interrogato e gli hanno chiesto il perché di quelle affermazioni. Salvo poi puntualizzare che si trattavano di voci, illazioni, che nulla di concreto sapeva su combine truccate. “Faccio scoppiare un’inchiesta”, aveva detto ad un altro dirigente. Poi però, interrogato, di fatto ritrattò tutto: “Erano frasi dettate dalla rabbia”, disse.