20 Dicembre 2021 Attualità

L’INCHIESTA: Milazzo tra mafia, politica e affari. Il caso Santino Napoli

di Antonio Mazzeo - L’arresto il 24 gennaio 2017 nell’ambito dell’inchiesta Gotha 7 della Direzione Distrettuale Antimafia sulla penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico della provincia di Messina. Poi il processo a Barcellona Pozzo di Gotto e la condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa ad otto anni di reclusione (dieci la richiesta del Pm) e, il 25 novembre scorso, la riduzione a sei in appello. Contro Santo Napoli detto Santino, infermiere professionale dell’Azienda sanitaria locale n. 5 e consigliere comunale a Milazzo per diversi partiti di centro e centrodestra, ininterrottamente dal 1993 al 2015, arriva adesso la doppia tegola della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per cinque anni e il sequestro dei beni da parte del Tribunale di Messina (presidente il dottor Massimiliano Micali).

A richiedere il provvedimento la DDA e la Questura di Messina (istanza depositata il 17 aprile 2020) che hanno attenzionato la fitta trama di interessi economici e società in mano a Santo Napoli, ai congiunti e al socio non poi tanto occulto, quel Giuseppe Busacca (foto) padre-padrone della “cooperativa” Genesi, asso pigliatutto dei servizi sociali e dell’assistenza alle categorie svantaggiate di mezza Italia. Un sistema complesso che ha consentito impunemente per anni di accumulare immense risorse finanziarie pubbliche, poi dirottate dalle casse delle cooperative “sociali” verso aziende di comodo (sistematicamente dichiarate fallite) e reinvestite in beni immobili o nella gestione del redditizio mercato del divertificio di Milazzo e dintorni, fatto di discoteche, pub, hotel e ville per feste e matrimoni.

La lettura del decreto del Tribunale peloritano fornisce un’assai poco lusinghiera descrizione della figura del politico-infermiere che in consiglio comunale ha pure ricoperto l’incarico di presidente di commissione (quella strategica dei lavori pubblici, l’ambiente e il territorio, dal 2000 al 2010) e, successivamente, di vicepresidente del civico consesso. “Santo Napoli, soggetto di riferimento dell’associazione mafiosa nel Comune di Milazzo, anello di congiunzione tra il livello politico-imprenditoriale e la criminalità organizzata, può essere ritenuto in termini ampiamente adeguati al presente contesto, soggetto indiziato di appartenere ad un’associazione di tipo mafioso”, scrivono i giudici. “La stabilità e la lunga durata della condotta per cui il Napoli ha subito condanna consentono quantomeno di trarre solide conclusioni circa la sua elevatissima propensione ad intessere relazioni con soggetti appartenenti alla mafia per ricavarne multiformi vantaggi: denaro, agevolazioni in campo imprenditoriale e politico, favori personali”.

A servizio e per conto dei barcellonesi.

“I medesimi elementi portano a ritenere il Napoli attualmente pericoloso per la sicurezza pubblica e può essere annoverato tra i soggetti destinatari di misura di prevenzione in quanto indiziato di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416 bis c.p.”, aggiungono i magistrati. “Il Napoli ha intrattenuto illeciti rapporti con esponenti mafiosi per circa tre decenni (…) A fronte di un’intera esistenza nel corso della quale il Napoli ha coltivato illecite relazioni con esponenti mafiosi, mostrando peraltro di saper cambiare i propri riferimenti per continuare a trarre vantaggi nonostante gli arresti dei soggetti con cui intratteneva rapporti qualificati (prima Salvatore Di Salvo, successivamente i fratelli Carmelo Francesco D’Amico), il Tribunale ritiene certamente di poter formulare un giudizio di pericolosità riferito all’attualità”.

Nel decreto che ordina il sequestro dei beni e delle società in mano a Santo Napoli, Giuseppe Busacca e congiunti, si ricorda che all’infermiere-consigliere è stato contestato in sede processuale il “concorso nell’associazione mafiosa” operante sul versante tirrenico della provincia di Messina, “cui aderivano, fra gli altri, Salvatore Di Salvo, Carmelo D’Amico, Ottavio Imbesi, Mariano Foti, Domenico Chiofalo, Franco Munafò, ecc.”.

“L’associazione dei barcellonesi - spiegano i giudici - avvalendosi della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne derivava sul territorio, programmava e commetteva delitti della più diversa natura contro la persona, il patrimonio, la Pubblica Amministrazione, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e la fede pubblica, con l’obiettivo precipuo di acquisire in forma diretta e indiretta la gestione e comunque il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri”.

Nello specifico, Santo Napoli “forniva informazioni di interesse per il clan, indicando i lavori appaltati dal Comune di Milazzo e le ditte che li avrebbero realizzati per consentire all’associazione di rendere queste ultime immediatamente destinatarie di atti intimidatori e conseguenti pretese estorsive; sistemava le estorsioni operando come mediatore presso la vittima per conto dell’associazione; favoriva l’aggiudicazione di lavori pubblici ad imprenditori intranei o contigui all’associazione ed agiva, comunque, di concerto con esponenti di spicco della mafia barcellonese (in particolare, i fratelli D’Amico) affinché certe iniziative imprenditoriali venissero gestite da questo o da quell’imprenditore”. Inoltre, grazie alla sua attività di infermiere professionale e ai contatti creati con il personale sanitario - sempre secondo l’accusa – “riusciva a far ottenere certificazioni di favore nell’interesse degli affiliati al clan”. Alla fine della fiera, Santo Napoli otteneva il “beneficio di gestire alcune discoteche a lui riconducibili sotto la Protezione e con l’ausilio dell’organizzazione mafiosa di riferimento”.

Numerosi i collaboratori di giustizia che hanno ammesso di conoscere Santo Napoli e le sue malefatte.

Salvatore Centorrino, esponente mafioso della città di Messina, lo ha indicato come la persona che favorì la sua latitanza nella zona tirrenica a fine anni ’80. “Santino era un infermiere che lavorava presso l’ospedale di Milazzo e che mi risulta aver avviato successivamente un’attività di rappresentanza per forniture ospedaliere”, ha dichiarato Centorrino. “Era amico di Mario Marchese ed era la faccia pulita, in pratica, dei clan barcellonesi per attività, insieme al figlio, di apertura di discoteche e cose varie. Tramite tale Santino trascorsi un periodo di latitanza nelle zone di Milazzo e di Pace del Mela… Lo avevo conosciuto tramite Gino Leardi, e lo stesso mi mise in contatto con Salvatore Famà, cognato di Pietro Nicola Mazzagatti e lo stesso Mazzagatti, i quali mi assicurarono la copertura nella zona di Milazzo, mettendomi a disposizione le abitazioni. Entrai in contatto anche con tale Pasquale Catanzaro, titolare di una grossa rivendita di pesce a Milazzo, il quale mi diede la disponibilità di una casa nei pressi della discoteca Le Cupole. Conobbi anche il cugino di Piddu Madonia, che faceva il capostazione a Milazzo, tale Giovanni Ilardo”. Nomi di peso del firmamento mafioso quelli citati dal collaboratore messinese. Giovanni Ilardo era un pregiudicato catanese condannato per associazione mafiosa con sentenza definitiva nel procedimento penale Mare Nostrum, cugino del boss della famiglia di Caltanissetta Giuseppe “Piddu” Madonia, nonché fratello di Luigi “Gino” llardo, il mafioso catanese in stretto contatto con il superlatitante Bernando Provenzano, ucciso nel maggio 1996 alla vigilia della formalizzazione della sua collaborazione con lo Stato. Dagli atti del processo Mare Nostrum è emerso tra l’altro che Giovanni Ilardo era il “rappresentante di Benedetto Santapaola per la zona di Milazzo, dove aveva costituito un gruppo operante nell’ambito del gruppo barcellonese”. All’udienza dibattimentale del 4 aprile 2019, sempre Salvatore Centorrino ha fornito un altro elemento di collegamento con Santo Napoli. Ha riferito che il politico milazzese gli aveva presentato il proprietario del ristorante Villa Marchese perché andasse lì a mangiare nel breve periodo di latitanza che avrebbe dovuto trascorrere in zona. Dagli accertamenti effettuati è emerso che al tempo il ristorante era di proprietà di Francesco Marzini, ritenuto dagli inquirenti uno “stretto collaboratore del Napoli”.

Pizzo e discomusic.

Un altro collaboratore di giustizia del barcellonese, Nunziato Siracusa, ha riferito che tra il 1996 ed il 1999, Santo Napoli, approfittando del ruolo istituzionale rivestito nel Comune di Milazzo, otteneva informazioni sulle imprese impegnate in lavori pubblici per sottoporle poi ad estorsione.

“Mi sono recato più di una volta, insieme a Salvatore Sem Di Salvo, presso l’ospedale di Milazzo per consegnare al Napoli la somma di due milioni di lire, che questi riceveva per il proprio apporto, oltre ad una mensilità doppia nel periodo natalizio”, ha aggiunto Siracusa. Sempre secondo il collaboratore, nel corso degli anni ‘90 il Napoli aveva sistemato in prima persona alcune estorsioni a Milazzo, tra cui quella ai danni del rinomato locale Dolce Vita. “È ragionevole ritenere che l’intervento dell’organizzazione mafiosa in favore del Napoli abbia determinato la successiva liquidazione volontaria dell’azienda e le dinamiche societarie che la porteranno, nell’anno 2003, ad entrare nella disponibilità formale di Baldassare Catalano, zio di primo grado di Antonino Napoli, in quanto quest’ultimo è figlio naturale di Santo Napoli e della sorella del Catalano, Caterina”, annota il Tribunale di Messina nel decreto di sequestro dei beni. Opportuno aggiungere che lo stesso Antonino Napoli risultava essere al tempo titolare del ristorante Il Paradiso di Capo Milazzo.

Sempre Nunziato Siracusa ha riferito di un’altra importante estorsione in cui il Napoli avrebbe fatto da intermediario, nel 2009, ai danni della pescheria “Caravello”. Tra il 1996 e il 1999, il politico milazzese “aveva chiesto e ottenuto il sostegno dell’associazione mafiosa alla sua candidatura quale consigliere provinciale o regionale, ricevendo la fattiva collaborazione dei maggiorenti del sodalizio mafioso tra cui Domenico Tramontana, Santo Gullo, Carmelo Giambò, Salvatore Di Salvo e Giovanni Rao”, ha aggiunto Siracusa. Infine ha riferito agli inquirenti che nell’anno 2004 Santo Napoli gestiva insieme a Carmelo D’amico alcune discoteche di Milazzo, tra cui l’Inside e Le Terrazze. “In questo contesto, intervenni su richiesta di Carmelo D’Amico per dissuadere Carmelo Vito Foti dal creare problemi alle discoteche gestite dal Napoli (…) In particolare, ricordo che il Foti pretendeva di entrare gratis in una discoteca. Lo stesso era in cattivi rapporti con il Napoli che accusava di essere un confidente”.

Conferme dirette sul modus operandi di Santo Napoli sono giunte dai fratelli D’Amico. Secondo Francesco D’Amico, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2003, il Napoli “avrebbe sfruttato la sua carica pubblica per fare assegnare alcuni lavori pubblici alle imprese riconducibili a Salvatore Di Salvo, Carmelo Mastroeni e Maurizio Marchetta”. In particolare si sarebbe interessato per conto dei barcellonesi ai lavori di realizzazione di alcuni impianti sportivi. In anni successivi, lo stesso Francesco D’Amico sarebbe stato sollecitato dal consigliere comunale a collocare una bottiglia incendiaria contro l’impresa che stava realizzando diverse case popolari nel quartiere Sant’Antonino di Barcellona Pozzo di Gotto. Per la cronaca, gli stretti contatti di Santino Napoli con i mafiosi barcellonesi Salvatore “Sem” Di Salvo e Carmelo Mastroeni sono stati accertati nel corso dell’indagine Omega su mafia e appalti nella provincia di Messina; nella medesima inchiesta sono stati documentati pure i contatti telefonici tra il politico e il pregiudicato Cosimo Scardino, poi condannato per associazione mafiosa con sentenza passata in giudicato, nell’ambito del processo Icaro. “Ricordo anche che in un periodo compreso il 2000 e il 2005, intervenni insieme a mio fratello Carmelo D’Amico, ad Angelo Caliri e altri presso la discoteca Le Terrazze di Milazzo, che in quel periodo era gestita da Vito Carmelo Foti, per intimidire quest’ultimo e convincerlo a lasciare la gestione di quella discoteca a Santino Napoli, che l’aveva avuta in precedenza”, ha dichiarato Francesco D’Amico. “In quel periodo il Napoli gestiva insieme ad Alessandro Busacca e a Francesco Rantuccio le discoteche Le Terrazze, Babylon, Paradiso e Inside”. Come addetto alla sicurezza in quegli stessi locali, lavorava allora Elio D’amico, fratello di Francesco e Carmelo.

Buste zeppe di euro in ospedale.
Santo Napoli si sarebbe rivolto a Francesco D’amico per intimidire violentemente un fioraio che lavorava vicino al cimitero di Milazzo e che voleva cacciare dal luogo in cui esercitava la sua attività. “Io mandai Antonino D’Amico, Franco Munafò e Angelino Alesci a svolgere quanto richiesto dal Napoli”, ha ammesso il collaboratore. “L’episodio trova preciso e oggettivo riscontro nella denuncia di Scibilia Roberto, aggredito a calci e pugni, presso il suo chiosco di fioraio al cimitero”, scrive il Tribunale di Messina. Nell’occasione, la persona offesa riconosceva come uno dei suoi aggressori il predetto Antonino D’Amico, che veniva arrestato e condannato per rapina e lesione personale, in concorso con altre persone non identificate”. L’ex uomo di vertice della mafia barcellonese, Carmelo D’Amico, oggi anch’egli collaboratore di giustizia, ha raccontato che Santo Napoli sarebbe entrato a far parte della consorteria mafiosa nei primi anni ‘90 e per almeno un decennio avrebbe “rappresentato un punto di riferimento per l’associazione anche all’interno dell’ospedale di Milazzo per ottenere una via preferenziale per le prestazioni mediche, ma anche per ottenere certificati falsi”. Ma erano soprattutto le estorsioni a danno delle aziende che avevano ottenuto lavori pubblici a consolidare i legami tra il clan e il politico-infermiere. “Con Salvatore Di Salvo c’incontravamo con Napoli e lui ci dava un foglio stampato con l’indicazione delle ditte”, ha spiegato Carmelo D’Amico. “Tali incontri avvenivano nel suo ufficio o a volte nei bagni dell’ospedale per il timore di intercettazioni. Per queste segnalazioni il Napoli riceveva quale compenso una percentuale dei proventi o dei regali”. In conformità a quanto narrato dal fratello Francesco, Carmelo D’Amico ha riferito che Santo Napoli utilizzava il proprio peso politico-istituzionale per fare ottenere degli appalti alle ditte riconducibili a Carmelo Mastroeni, Salvatore Di Salvo, Maurizio Marchetta e ad “altri imprenditori vicini all’associazione, come Giuseppe Molino e Sebastiano Puliafito”. Il collaboratore ha ricordato una complessa operazione immobiliare realizzata negli anni 2004-05 e che lo ha visto protagonista insieme a Santo Napoli e agli imprenditori Vincenzo Pergolizzi e Antonino Perroni. “Il ruolo del Napoli era stato principalmente quello di agevolare la trasformazione urbanistica, da zona agricola a industriale, dei terreni su cui doveva essere costruito un complesso immobiliare”, scrivono i giudici del Tribunale di Messina. “In questo contesto, il Perroni veniva sostanzialmente sottoposto ad estorsione dagli altri e, secondo quanto riferito da Carmelo D’amico nell’ambito del procedimento Gotha 7, l’imprenditore aveva consegnato a lui 100.000 euro, al Napoli 50.000 e al Pergolizzi una villetta a rustico tra quelle costruite”. L’episodio estorsivo è stato confermato agli inquirenti dallo stesso Perroni che ha stigmatizzato l’estrema pericolosità della famiglia D’Amico, “nonché di Santo Napoli e Vincenzo Pergolizzi, collegati oltre che tra di loro e con la mafia barcellonese, anche con la criminalità organizzata di Messina e Catania”. Ancora il collaboratore Carmelo D’Amico ha ricordato che alla fine del 2008 il Napoli gli aveva segnalato che una ditta di Catania aveva ottenuto un appalto per l’importo di 7 milioni di euro, relativo alle fognature di Barcellona Pozzo di Gotto. “In quell’occasione egli mi chiese un occhio di riguardo nell’estorsione che gli avremmo fatto perché era molto amico dei titolari”, ha aggiunto. “Anziché il 3% dissi al Napoli che avrei chiesto l’1%. Il Napoli contattò i suoi amici e mi confermò che erano disponibili a pagare 70.000 euro. Poi venni arrestato e non so come andò a finire la cosa…”. Gli inquirenti hanno individuato la predetta ditta nella Tecnical S.p.A. di Catania (oggi “Angelo Russello S.p.A.), che nel maggio 2010 aveva ottenuto un appalto dal Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, avente ad oggetto Lavori di realizzazione del Contratto di Quartiere II S. Antonino. “Giova rilevare che Fabrizio Russello, membro della compagine sociale dell’impresa in parola, era tratto in arresto, il 22 novembre 2005, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Caltanissetta (Operazione Odessa) per il reato di associazione mafiosa in quanto ritenuto l’uomo di collegamento fra i clan mafiosi di Riesi e Gela”, annotano i magistrati. L’imprenditore gelese venne poi assolto dal Tribunale di Caltanissetta nel luglio 2008, ma – evidenziano i giudici messinesi – “dei Russello ha parlato, con dovizia di particolari, più di un collaboratore di giustizia, primo fra tutti Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei Lavori pubblici di Totò Riina, il quale ha riferito in merito all’elevato livello di contiguità al gruppo di potere mafioso della famiglia Russello”. Dei potenti costruttori gelesi hanno parlato pure Salvatore Lanzalaco e Giovanni Brusca, “i quali hanno confermato che l’accordo tra imprenditori del cosiddetto cartello mafioso e imprese edili settentrionali rappresentava uno strumento per rendere all’esterno trasparente l’aggiudicazione di un appalto pubblico da parte di imprenditori collegati a Cosa nostra”. Salvatore Lanzalaco, in particolare, ha riferito che la famiglia Russello era ritenuta uno dei più importanti collegamenti tra il mondo degli appalti e Cosa nostra e che il filo di congiunzione era rappresentato dal potente boss nisseno Giuseppe “Piddu” Madonia.

C’è infine un altro collaboratore di giustizia barcellonese, Aurelio Micale, che ha posto l’accento sul ruolo ricoperto da Santo Napoli quale “gestore” delle discoteche di Milazzo. “Era persona vicina all’organizzazione mafiosa e in particolare ai fratelli D’Amico che si occupavano di gestire la sicurezza nei locali del Napoli”, ha spiegato Micale. “L’infermiere gestiva le discoteche insieme a tale Busacca (Giuseppe Busacca, nda), gestore di cooperative per servizi agli anziani e di Francesco Rantuccio”. Sempre secondo il collaboratore, per le imprese da sottoporre ad estorsione “Napoli faceva delle segnalazioni a Carmelo D’Amico, tramite l’impresa di Puglisi Salvatore” e “sempre grazie alla sua influenza politica si era attivato per agevolare la concessione demaniale per l’apertura di un lido da parte di Elio D’Amico in località Tono di Milazzo, in particolare presso la Capitaneria di Porto”.

Voti, soldi, partiti e favori.
Nel decreto di sequestro dei beni e di applicazione della sorveglianza speciale ai danni di Santo Napoli e Giuseppe Busacca, il Tribunale di Messina si sofferma anche sui legami “intercorrenti” tra il politico milazzese e Salvatore Rinzivillo, reggente della famiglia mafiosa di Gela e fedelissimo del boss Giuseppe Madonia. “Le risultanze investigative dei procedimenti Exitus e Extra Fines della Procura di Caltanissetta, compendiate nella nota del 15 gennaio 2020 della Squadra Mobile della Questura di Caltanissetta, rivelano la continuità dei rapporti tra Santo Napoli e Salvatore Rinzivillo fino all’arresto di quest’ultimo il 4 ottobre 2017”, scrivono i magistrati. “Il Napoli aveva risalenti rapporti con il mafioso milazzese Francesco Duilio Doddo e, a loro volta, Rinzivillo e Doddo, per come emerso dalle indagini svolte dal GICO della Guardia di finanza di Roma, avevano frequenti rapporti. Tale circostanza lascia desumere che la conoscenza tra Rinzivillo e Napoli fosse nata tramite Doddo in quanto quest’ultimo è stato segnalato da diversi pentiti come uomo di Cosa Nostra nissena nel territorio di Messina”. Sempre secondo gli inquirenti, dopo la morte di Giovanni Ilardo, Francesco Duilio Doddo era stato prescelto dai vertici della mafia di Caltanissetta quale loro referente per l’area mamertina e barcellonese. “L’attività di indagine della Procura di Caltanissetta ha documentato, principalmente mediante attività captativa e di localizzazione, fitti contatti tra il Napoli e il Rinzivillo, consistenti in colloqui telefonici, incontri di persona e comunicazioni mediate dall’avvocato Grazio Ferrara, uomo di fiducia del capomafia gelese, anch’egli arrestato il 12 settembre 2019 nell’ambito del procedimento Exitus con l’accusa di associazione mafiosa proprio per il suo ruolo di collegamento tra Salvatore Rinzivillo e altri esponenti mafiosi, tra i quali Santo Napoli”, aggiunge il Tribunale di Messina. “Nonostante l’arresto di Rinzivillo, gli affari imbastiti tra questi e il proposto andavano avanti per il tramite del Ferrara (…) Il 25 ottobre 2017, Napoli forniva al Ferrara, tramite sms, un numero di telefono con il riferimento on. Gianni. Gli accertamenti condotti in merito consentivano di rilevare che quel numero apparteneva a Giuseppe Gianni inteso Pippo, originario di Solarino (Siracusa), medico chirurgo, politico di lungo corso sia a livello nazionale sia regionale e successivamente sindaco del comune di Priolo Gargallo, chiamato in causa dal pentito Francesco Marino Mannoia per avere aiutato Cosa Nostra con falsi certificati medici, nonché per avere avuto legami con il capomafia di Lentini, Nello Nardo”. Al tempo delle comunicazioni tra l’avvocato Grazio Ferrara e Santo Napoli, l’on. Pippo Gianni era membro dell’Assemblea Regionale Siciliana, componente delle commissioni Attività produttive e Cultura, Formazione e Lavoro. “Si può ragionevolmente ipotizzare che la comunicazione del contatto del deputato regionale rappresenti un ulteriore tassello dell’affare in corso tra il Napoli e il Rinzivillo, con cui il primo intendeva assicurare al capomafia gelese la necessaria copertura politica per agevolare l’aggiudicazione dei bandi regionali”, scrivono i giudici peloritani. Antiche e consolidate le relazioni politiche tra l’infermiere milazzese e il parlamentare siracusano. Nel marzo 2011 Santo Napoli (allora vicepresidente del consiglio comunale) abbandonò il partito di appartenenza, l’UDC, per fare ingresso nel PID dell’ex ministro all’agricoltura Saverio Romano. “Ringrazio in particolare l’on. Pippo Gianni per la fiducia e guardo con grande auspicio a questo partito nuovo, che ha però radici in antiche tradizioni e che si posiziona nel centrodestra come valore aggiunto”, dichiarò Napoli al momento del cambio di casacca. Del PID l’on. Gianni (anch’egli ex UDC) era stato nominato da poco coordinatore nazionale.

A braccetto con il principe nero del Longano.
Dulcis in fundo il legame del signore incontrastato delle discoteche milazzesi con il personaggio di vertice della criminalità barcellonese, il pluripregiudicato Rosario Pio Cattafi, uomo-cerniera tra mafia, istituzioni e servizi segreti, coproprietario di una delle aree di particolar pregio paesaggistico di Milazzo, la baia di sant’Antonio al Capo. Come annotano i magistrati, Napoli si sarebbe speso per perorare la causa e gli interessi del Cattafi tra gli amministratori e i consiglieri del Comune di Milazzo. “Con dichiarazioni rese a partire dal 21 ottobre 2000, Antonino La Rosa, all’epoca capogruppo consiliare dei D.S. denunciava le reiterate richieste del collega, Santo Napoli, di intervenire presso il dirigente del Commissariato di Barcellona P.G., Paolo Sirna, conosciuto personalmente dal La Rosa, affinché ammorbidisse una relazione da inviare all’Autorità Giudiziaria sul conto di Pio Cattafi, destinatario di misura di prevenzione per l’appartenenza all'associazione dei barcellonesi”.

Al tempo consigliere comunale di maggioranza con l’UDEUR, Santo Napoli si propose come assessore dell’amministrazione guidata dal sindaco Antonio Nastasi. “Assunto a s.i.t. presso il commissariato di Ps di Milazzo il 13 novembre 2000, il primo cittadino ha riferito di una visita presso il suo ufficio al comune di Rosario Cattafi, in compagnia del Napoli, per proporgli la candidatura ad assessore di quest’ultimo”, aggiungono i giudici messinesi. “Nastasi ha riferito pure di una seconda visita del Cattafi, ancora una volta in compagnia di Santo Napoli, per caldeggiare una rappresentazione teatrale di tale Iannuzzo, da scritturare per l’estate milazzese”. L’assidua frequentazione del noto attore Gianfranco Jannuzzo con il Cattafi è stata documentata dagli inquirenti sin dai primi anni ’90.

Nel corso degli incontri con il sindaco, il boss Rosario Pio Cattafi e l’amico consigliere avrebbero fatto un’altra importante richiesta. Come scrivono i giudici, “l’alleanza criminale tra Giuseppe Busacca e Santino Napoli trova traccia già da epoca risalente nell’informativa del 2 febbraio 2001 del Commissariato di P.S. di Milazzo da cui risulta che il Napoli, a metà dell’anno 2000, intervenne, insieme al menzionato Cattafi, sul sindaco pro tempore, Ing. Nino Nastasi, anche per assicurare a Giuseppe Busacca, in qualità di titolare della Soc. Coop. Soc. Genesi (all’epoca denominata Soc. Coop. Soc. Geriatrica), la proroga del servizio di assistenza domiciliare agli anziani”.

Con l’Operazione Gotha 3 dell’estate del 2012 che condusse in carcere il pluripregiudicato Rosario Pio Cattafi e altri noti esponenti mafiosi barcellonesi, la Direzione Investigativa Antimafia mise nero su bianco sui rapporti tra il presunto boss dei boss del Longano e il consigliere-faccendiere mamertino, ma ciò non sembrò turbare più di tanto né gli amministratori, né i colleghi in consiglio comunale. L’unico grido di allarme fu lanciato dall’Associazione Antimafie “Rita Atria” che nell’ottobre 2012 presentò un esposto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e al Prefetto di Messina, chiedendo di accertare possibili condizionamenti della criminalità organizzata nella vita politico-amministrativa del Comune di Milazzo.

“A seguito dell’operazione Gotha 3, si riscontra da una serie di atti, testimonianze, relazioni di organi inquirenti, che il consigliere comunale Santo Napoli sia stato citato come persona coinvolta in fatti di grave entità”, scriveva l’associazione. “Nella nota del 13 novembre 2000 del Commissariato PS di Milazzo, si riporta che dai fatti sopra descritti sembrerebbe che Napoli Santo sia l’anello di congiunzione fra il mondo politico e la criminalità organizzata; tale ipotesi viene supportata anche dall’informativa redatta il 9 marzo 1995 dalla Compagnia C.C. di Milazzo nella quale si segnala che lo stesso Napoli Santo è figlioccio del noto pregiudicato Martorana Francesco originario di Termini Imerese, ex sorvegliato speciale di P.S., assassinato il 20 gennaio 1981, ritenuto dagli investigatori dell’epoca quale affiliato delle cosche malavitose locali”.

Nell’esposto si ricordava che la Relazione di minoranza della Commissione parlamentare Antimafia della XIV legislatura (2006) aveva dedicato a Santo Napoli un inquietante passaggio. “Da inequivoche intercettazioni telefoniche del procedimento Omega è risultato l’autorevole referente del clan barcellonese nella città di Milazzo”, vi si legge. “A Milazzo, Santo Napoli, per sovrapprezzo, è in atto consigliere comunale, per il secondo mandato consecutivo (significativamente sempre schierato con la maggioranza, prima a sostegno di un’amministrazione di centrosinistra e ora di centrodestra), e controlla rilevanti attività economiche anche attraverso il figlio”.

Ricapitolando, Santo Napoli è stato eletto per la prima volta consigliere comunale nel 1993 e due anni dopo veniva descritto dai Carabinieri come il figlioccio di un pregiudicato assassinato nelle guerre di mafia. Poi nel 2000 la Polizia di Stato lo ha schedato quale anello di congiunzione tra politica e criminalità organizzata, mentre nel 2006 è arrivata la notorietà nazionale con il rapporto della Commissione Antimafia. Infine nel 2012 con l’operazione Gotha 3 è divenuto pubblico il suo ruolo di referente a Milazzo dell’uomo cerniera di Cosa nostra, l’avvocato Rosario Pio Cattafi. Ma nessuno ha mai avuto nulla da osservare né da lamentare in tutti questi anni e così Santo Napoli ha potuto concludere, potente e indisturbato, tutti i suoi mandati consiliari. E alle elezioni amministrative della primavera 2015 si è perfino riproposto come candidato di un’improponibile lista verde-bianco-rossa, Milazzo Green, ottenendo un lusinghiero risultato personale ma non la rielezione per il non raggiungimento del quorum. Meno di due anni più tardi l’arresto con l’operazione Gotha 7 e, poi, le pesanti condanne in primo e secondo grado. Poco importa a Milazzo. Santo Napoli ha continuato a fare presenza e pressing tra amministratori, politici e consiglieri e all’ultima tornata elettorale sembra essere apparso in più di un’occasione accanto a un candidato sindaco (sconfitto), già alla guida di una giunta di centro-destra di qualche tempo fa.

Non c’è proprio nulla da dire. A Milazzo memoria e anticorpi sono pari a zero.

 

L'AVVOCATO DEL SIG. CARMELO MASTROENI PRECISA: "MAI STATO CONDANNATO PER MAFIA". LA NOSTRA REPLICA: "NESSUN INTENTO DIFFAMATORIO MA OGGETTIVO USO DELLE FONTI".

L’avvocato Corrado Correnti, in nome e per conto del sig. Carmelo Mastroeni, in relazione all’articolo pubblicato da Stampalibera.it il 20 dicembre 2021 dal titolo “L’Inchiesta. Milazzo tra mafia, politica e affari. Il caso Santino Napoli” a firma di Antonio Mazzeo, con nota inviata alla redazione fa presente che “al di là delle altre gratuite affermazioni, l’autore scrive e afferma testualmente “Per la cronaca, gli stretti contatti di Santino Napoli con i mafiosi barcellonesi Salvatore “Sem” Di Salvo e Carmelo Mastroeni sono stati accertati nel corso dell’indagine Omega su mafia e appalti nella provincia di Messina”.

L’articolo e le apodittiche affermazioni – prosegue l’avvocato Correnti - risultano essere gravemente diffamatori in danno del mio assistito, laddove accusano infondatamente e incautamente il Mastroeni Carmelo di essere mafioso”.

Invero il mio assistito non ha mai riportato alcuna condanna per mafia, per palesemente illegittima ed arbitraria e, comunque, chiaramente diffamatoria, appare la pubblicazione di articoli sulla pagina locale, con la precisa accusa di “mafioso”, specie se associata ad altre persone”.

Senza recesso e pregiudizio per l’eventuale azione penale, con la presente chiedo la rettifica, ai sensi della legge 47/48 (nel senso che il Mastroeni non ha mai riportato alcuna condanna per mafia) ed il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi…”.

Preso atto della nota-diffida dell’Avv. Correnti che pubblichiamo, il direttore del quotidiano on line stampalibera.it e l'autore dell'articolo Antonio Mazzeo danno atto non risultare agli atti condanne per mafia a carico del sig. Carmelo Mastroeni.  Altresì si assicura che MAI è stata intenzione né diffamare né causare alcun danno all’immagine dello stesso. Si precisa tuttavia che l’espressione riportata dall’autore (che non ha affermato che il sig. Carmelo Mastroeni abbia riportato condanne per mafia) riproduce integralmente quanto compare in alcuni atti e procedimenti giudiziari.

Nello specifico si precisa che nella Richiesta per l’applicazione di misure cautelari Procedimento Penale n. 8319/10 della Direzione Distrettuale Antimafia – Procura della Repubblica del Tribunale di Messina (cosiddetta Operazione Gotha 3) a pag. 504, descrivendo la figura di Santino Napoli, i magistrati riportano testualmente che il suddetto Napoli “fra i vari controlli risulta essere stato controllato, il 03/02/1998, unitamente al pregiudicato mafioso Mastroeni Carmelo, emerso nel corso dell’indagine “Omega”.

Nella stessa Richiesta e sempre a pag. 504, si aggiunge che – sempre testualmente – “Dall’indagine “OMEGA”, non a caso, emergevano importanti contatti proprio fra il noto esponente mafioso barcellonese DI SALVO Salvatore, il suo sodale MASTROENI Carmelo e NAPOLI Santo. Infatti, nell’ambito dell’attività tecnica svolta sulle utenze del DI SALVO, veniva censurata una conversazione fra costui e MASTROENI Carmelo, durante la quale i due concordavano di recarsi a Milazzo, dove era stato già fissato un appuntamento per la mattina successiva con una persona in quel momento non identificata, chiamata “professore”. Veniva predisposto da parte del R.O.S. C.C. un servizio di O.C.P., che permetteva di documentare come il DI SALVO ed il MASTROENI avessero incontrato un soggetto riconosciuto dal personale operante proprio in NAPOLI Santo.

Nell’Ordinanza di applicazione di misure cautelari del procedimento n. 8319/10 della Direzione distrettuale antimafia di Messina denominato “Gotha”, emessa dal Gip presso il Tribunale di Messina, relativamente al Sig. Mastroeni si riporta quanto segue: “Bisognano Carmelo ha descritto Mastroeni Carmelo quale soggetto pienamente inserito “a tutti gli effetti” nel gruppo dei barcellonesi, nonché socio di fatto d Salvatore Di Salvo  (…) Tale organicità, a dire di Bisognano, aveva consentito al Mastroeni di ottenere l’indebita aggiudicazione di numerosi appalti, con ritorno economico per l’intero sodalizio, che beneficiava di una parte dei proventi così ottenuti dall’imprenditore (…)  Le relazioni affaristiche dell’indagato con Salvatore Di Salvo sono state evidenziate anche da Teresa Truscello, la quale ha parlato degli incontri che Bisognano aveva con “Sem” all’interno dell’ufficio del Mastroeni; quest’ultimo, in alcune circostanze, si era prestato a fungere da prestanome per lavori eseguiti dall’odierno collaboratore (…) Analoghe indicazioni hanno dato agli inquirenti Alfio Giuseppe Castro e Santo Gullo. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate nel proc. cd Omega confermano pienamente la promiscuità di interessi imprenditoriali ed il rapporto societario (di fatto) esistente tra Di Salvo e Mastroeni.

Ciò detto in punto di gravità indiziaria, deve tuttavia rilevarsi che tutti i fatti emersi nell’ambito del presente procedimento sono antecedenti alla carcerazione subita  dal Mastroeni nel procedimento Omega.  I collaboratori non danno atto di condotte successive che consentano di estendere la contestazione associativa oltre l’anno 2003, (…) Le concordanti propalazioni dei collaboratori, in altre parole – surrogando la valenza indiziaria delle intercettazioni inutilizzabili – si limitano a confermare ildato che già l’indagine Omega aveva appurato, ovvero il contributo fornito da Mastroeni all’associazione mafiosa, grazie al fattivo rapporto di collaborazione imprenditoriale avviato con i boss Di Salvo…”.

Alle relazioni tra Santino Napoli, Carmelo Mastroeni e Salvatore “Sem” Di Salvo è dedicato un ampio capitolo dell’Ordinanza di applicazione di misure cautelari (Proc. pen. n. 2884/16) del Gip presso il Tribunale di Messina emessa – tra gli altri – nei confronti di Santino Napoli (cosiddetta “operazione Gotha VII”).

Risulta altresì che con provvedimento n. 59/05 il Tribunale di Messina - prima sezione penale, misure di prevenzione di pubblica sicurezza, “visti gli artt. 1 e seguenti della legge n. 575 del 1965 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) ha ordinato il sequestro dei beni nella disponibilità diretta o indiretta di Mastroeni Carmelo, in particolare della società edile “Sud Edil Scavi 1 di Mastroeni Carmelo” (comprensiva di beni aziendali ed ogni altro bene o diritto ad essa spettante). La Questura di Messina, ha comunicato che con decreto n. 59/05 Rgmp emesso e depositato il successivo 08/08 che il Tribunale sezione penale misure di prevenzione di Messina “ha applicato al nominativo in oggetto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Merì per la durata di anni tre ai sensi degli artt. 1 e segg. della legge 575/65, disponendo nel contempo la confisca di taluni beni precedentemente sottoposti a sequestro.

Infine segnaliamo che anche il Gip presso il Tribunale di Messina nella sentenza del giudizio abbreviato del 3 aprile 2019 (proc. n. 5660/19) nei confronti di Antonino Antonuccio + 29, scaturito dalla cosiddetta Operazione Gotha 7, scrive relativamente al Sodalizio mafioso dei barcellonesi. Evoluzione negli anni che “L’esistenza di un’associazione mafiosa denominata clan dei barcellonesi è un fatto accertato e consolidato da diverse indagini e processi penali che si sono svolti negli anni” e che “già nel 1993, con l’indagine cd. Longano, il R.O.S. dei Carabinieri di Messina documentava l’esistenza  di uno stabile rapporto  tra personaggi di spessore criminale  del barcellonese (quali Gullotti Giuseppe, Barresi Eugenio, Rao Giovanni, Tramontana  Domenico, Giambò  Carmelo, Salvo Aurelio, Di Salvo Salvatore, Mastroeni Carmelo,  Ofria Salvatore, Ofria Domenico) ed il clan mafioso Santapaola, tanto che il Di Salvo e Salvo, con sentenza emessa dal Tribunale di Barcellona P.G. il 7 giugno 2007 erano condannati proprio per aver favorito la latitanza  di Benedetto Santapaola”.

Ribadendo l’inesistenza di qualsivoglia intento diffamatorio nei confronti del sig. Carmelo Mastroeni, quanto sopra riportato conferma ancora una volta il corretto ed oggettivo uso delle fonti che caratterizza il lavoro d’inchiesta della nostra testata e dei suoi collaboratori. I riferimenti fatti al sig. Mastroeni nell'articolo sul caso di Santino Napoli sono stati dovuti proprio in relazione a quanto risulta nei provvedimenti giudiziari sui legami fra lo stesso Santino Napoli e il sig. Mastroeni, e non certo a gratuiti e immotivati attacchi personali.