16 Maggio 2022 Giudiziaria

Anm, deludono i dati dello sciopero: Messina maglia nera (34%)

Per lanciare l’arma fine di mondo la magistratura italiana ha scelto Milano. E non ha portato bene. Dal palazzo di Giustizia simbolo di Tangentopoli il presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Giuseppe Santalucia ha presentato lo sciopero contro la riforma dell’ordinamento giudiziario della ministra Marta Cartabia, approvata alla Camera e ora in discussione al Senato. Una misura estrema che l’Anm non metteva in campo dal 1° luglio 2010, ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi. Iniziativa, il nuovo sciopero, deliberata a maggioranza bulgara dagli iscritti, ma nonostante ciò, già dal mattino, accompagnata da timori striscianti di una bassa adesione. Che vengono confermati dai dati parziali diffusi nel pomeriggio. Nel distretto di Milano sciopera il 51% del totale degli iscritti al sindacato, 358 magistrati su 703: una percentuale in linea con quella del resto d’Italia, ma più bassa di quasi trenta punti rispetto al 78% raggiunto nell’ultimo sciopero. E il dato si abbassa di molto nel Tribunale del capoluogo, che si ferma al 36% (91 toghe su 250) contro il 92% del 2010. “In altri momenti le motivazioni erano state più forti“, aveva ammesso fuori dall’aula magna il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. “Io ho aderito – spiega – e spero che la partecipazione sia alta, perché è un periodo in cui mi sembra che ci sia un’aria sbagliata nei confronti dei magistrati. Penso che questa di oggi sia un’iniziativa importante”. Anche negli uffici del distretto di Roma l’adesione si ferma sotto il 40% (37,90%): “Dobbiamo lavorare per riportare i colleghi negli spazi comuni”, riflette la segretaria dell’Anm locale Emanuela Attura.

I dati parziali: adesione lontana dalle attese – Per parlare di non-fallimento, era l’opinione comune, sarebbe servita un’adesione almeno dell’80%, cioè paragonabile a quella del 2010, quando a livello nazionale aveva scioperato l’85%. A SkyTg24 il presidente dell’Anm ipotizza un calo contenuto: “Ai dati che ho io, e stanno ancora arrivando, l’adesione allo sciopero è di poco più del 60%, 63-65%, a livello nazionale”, dice. Ma i dati che arrivano man mano sono peggiori: per prima, poco dopo le 14 (il termine per comunicare l’adesione era alle 11). la presidente della giunta Anm dell’Abruzzo Roberta D’Avolio comunica che hanno scioperato in 70 iscritti su 198 (il 37,91%). Poi arriva Palermo, dove il dato è del 56,35% (225 su 402): “Forse si ritiene che non saremmo ascoltati e si ritiene lo sciopero inutile. Per noi è uno sciopero sofferto, tanto è vero che continuiamo a lavorare, ma era l’unico modo per tentare di fare sentire le nostre proposte”, dice all’AdnKronos la presidente locale, Clelia Maltese. Nel distretto di Genova (che comprende l’intera Liguria e la provincia di Massa-Carrara) ci si ferma al 49,31%, in quello di Torino al 34% (anche se nel capoluogo la percentuale raddoppia al 70%). Nel distretto della Toscana (Corte d’Appello di Firenze) a scioperare sono in 172 su 440, il 39,09%. La media delle adesioni supera di poco la metà della platea: a Reggio Calabria il 56%, a Napoli il 55,17% (con un record del 90% a Nola), a Cagliari il 38,98%, a Perugia il 50%, a Trieste il 47,46%, a Catanzaro il 45%, a Venezia il 43,20%. Maglia nera insieme a Torino è Messina (34%), mentre le quote più alte si raggiungono a Catania (65%), Brescia (65,44%) e Ancona (63,42%). Lo sciopero attecchisce pochissimo anche in Cassazione, l’ufficio di Santalucia, dove si fermano in 102 toghe su 449, il 22,42%.

“Così si incentiva il carrierismo” – Nell’assemblea a Milano, il presidente del sindacato si è sforzato di trasmettere ottimismo. “In molti, fino a ieri, parlavano di un flop sicuro. Invece le assemblee convocate nei palazzi di Giustizia di tutta Italia sono tantissime, e questo è il vero successo. Poi vedremo le astensioni”, esordisce di fronte a una platea di una cinquantina di persone tra colleghi, avvocati e giornalisti. “Ci siamo assunti la responsabilità di proclamare uno sciopero anche quando tutti sperano che fallisca, mettendoci in gioco, perché non è questa la strada per riformare la giustizia. La riforma – dice ci preoccupa, come cittadini e come operatori della giustizia. Sappiamo che è una delle stagioni meno felici per la credibilità della magistratura, e siamo consapevoli che per superarla dobbiamo impegnarci individualmente. Ma speravamo che per combattere il correntismo si cambiasse direzione rispetto alle passate scelte dei ministri Castelli e Mastella, smettendo di incentivare le perversioni del carrierismo. Invece si è andati nella direzione opposta”, ha detto il presidente Anm. Il riferimento è al “fascicolo sulla performance” che conterrà i dati sulla produttività del magistrato e sulle conferme dei provvedimenti nei successivi gradi di giudizio (per i pm quelli sulle condanne ottenute e l’accoglimento delle misure cautelari) e che dovrà essere tenuto in considerazione dal Csm nell’emettere le valutazioni di professionalità delle toghe. Una novità, questa, che non compariva nella riforma licenziata dal Consiglio dei ministri a febbraio, ma è stata introdotta nel confronto successivo con i partiti su iniziativa del deputato di Azione Enrico Costa.

“Stop ai sentimenti di rivalsa verso le toghe” – “Pensavamo, forse ingenuamente, che l’approvazione della legge in Cdm significasse che quella era la linea del governo. Invece la maggioranza parlamentare ha introdotto modifiche tutte peggiorative, ed è contro queste scioperiamo”, attacca Santalucia. Ma, dice, “continuiamo a sperare che ci possano essere miglioramenti. Bisogna fare lo sforzo di mettere da parte sentimenti di rivalsa nei confronti della magistratura che albergano in una certa parte della politica. “Gli obiettivi sfidanti posti dal Pnrr (taglio del 40% dell’arretrato nel civile e del 25% nel penale, ndr) non si possono raggiungere considerando i magistrati i primi responsabili di guasti, da controllare disciplinarmente. Non si può abbattere l’arretrato utilizzando in maniera sconsiderata e irragionevole la leva delle sanzioni disciplinari o gerarchizzando gli uffici”, prosegue il presidente del sindacato. Anche per il procuratore aggiunto Romanelli “prendersela con i magistrati non doveva essere la priorità in questo momento”.

“Separazione funzioni? Scelta sciagurata” – Il contenuto della riforma che più scontenta le toghe, però, è la separazione di fatto delle carriere di giudici e pm, un vecchio cavallo di battaglia berlusconiano: i magistrati potranno passare da una funzione all’altra una sola volta ed entro i primi dieci anni di carriera. Secondo Santalucia è “un modo per eludere il dettato costituzionale“, che parla di un unico ordine giudiziario: “Un pm che sa cosa significa valutare la prova è un pm più attrezzato, capace di dare una risposta di giustizia migliore”. Per il giudice penale Andrea Ghinetti, che interviene per primo all’assemblea aperta di Milano, “si vorrebbe separare il pm dal giudice per creare tra di loro la stessa distanza mentale e culturale che c’è tra il giudice e l’avvocato: pm e giudice non dovrebbero più considerarsi colleghi tra loro. Peccato che lo scopo del pubblico ministero è lo stesso identico del giudice: cercare la verità, trovare i responsabili e chiedere che sia irrogata la giusta sanzione. Mentre lo scopo dell’avvocato è quello di difendere il suo cliente. È una riforma sciagurata“, attacca, “e non siamo gli unici a dirlo: anche il Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di garantire una certa osmosi tra le funzioni. Ora avviene molto più di rado, ma chi ha fatto entrambi i mestieri è in grado di capire meglio e vedere meglio”.

“Intollerabile il bavaglio disciplinare” – Poi ci sono le nuove sanzioni disciplinari per chi viola la legge sulla presunzione d’innocenza, che limita la possibilità per i pm di comunicare con i giornalisti. “Si potrà punire il procuratore della Repubblica che indice una conferenza stampa ritenendo sussistente l’interesse pubblico”, avverte Santalucia. “È intollerabile che il titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) possa sindacare ex post se ci fosse o meno quell’interesse. È un modo per inibire il rapporto corretto e doveroso tra magistrati inquirenti e stampa. Si è introdotta questa norma senza riflettere, e se rimarrà causerà più guasti dei problemi che vorrebbe risolvere”. Parlando con i cronisti, infine, il giudice ribadice la contrarietà del sindacato ai referendum sulla giustizia di marca radical-leghista che si voteranno il 12 giugno. E in particolare a quello che vorrebbe abolire la legge Severino, “la prima grande risposta alla piaga della corruzione in Italia”, dice ricordando le inchieste di Tangentopoli nate proprio in questi corridoi.

Il gip Salvini: “Io non sciopero, riforma positiva” – A palazzo di Giustizia però ha parlato anche chi ha deciso di non aderire, come il gip Guido Salvini, celebre giudice istruttore del processo sulla strage di piazza Fontana: alla porta del suo ufficio al settimo piano ha appeso un foglio in cui specifica di essere presente e al lavoro. “Ho avuto la sensazione di uno sciopero “inventato“, quasi nella speranza di fare dimenticare i guasti all’interno della magistratura, che sono emersi in questi anni, e di una iniziativa a cui molti possono aver aderito senza il minimo entusiasmo, ma solo per conformismo nei confronti delle correnti ben sapendo che da loro dipende la vita di ogni magistrato”, è la sua netta opinione. “La riforma Cartabia ha costituito uno sforzo che ha prodotto miglioramenti positivi, come quelli in tema di porte girevoli tra magistratura e politica, e un accordo ragionevole sul mutamento di funzioni con un unico spostamento, come è opportuno consentire nei primi anni della professione”, dice. “Non credo poi che i magistrati debbano spaventarsi dinanzi alla previsione di valutazioni più serie, perché non è certo l’annullamento di qualche provvedimento che porterà a valutazioni negative che peraltro sono di competenza di altri magistrati e non certo del ministro o del governo”, spiega a proposito del fascicolo sulla performance.