4 Giugno 2022 Giudiziaria

Caso Manca: ”Fate la doccia al dottore”, così gli uomini di Provenzano avrebbero ordinato la sua morte. Angela Manca: ho i brividi, voglio giustizia

È uno dei misteri più agghiaccianti d'Italia: l'apparente suicidio nel febbraio 2004 di un brillante urologo legato a un intervento chirurgico al boss di Cosa Nostra. ANTIMAFIADuemila, in una inchiesta di Tobias Follett e Antonella Beccaria, rivela l'esistenza di una intercettazione ambientale del 2003 in cui alcuni fedelissimi di Provenzano decidono di assassinare un dottore che rifiutò di assistere il boss latitante

Nell'autunno 2003, era ancora il boss mafioso più ricercato d'Italia: Bernardo Provenzano - catturato solo l'11 aprile 2006 in una masseria di Montagna dei Cavalli, frazione Ficuzza, nelle campagne di Corleone, suo paese d'origine, dopo una latitanza durata 43 anni - soffriva a causa di un tumore alla prostata per il quale attendeva un intervento chirurgico in Costa Azzurra. Pochi giorni prima del viaggio in Francia, tuttavia, avrebbe ricevuto un secco no da un medico a cui i suoi uomini si erano rivolti per prestargli le cure di cui aveva bisogno. Per questo, i gregari del boss decisero: a quel dottore, macchiatosi di una colpa imperdonabile a causa del suo rifiuto, «andava fatta una doccia». In altre parole, doveva essere eliminato.

Queste informazioni - finora inedite - sono contenute in un'intercettazione ambientale risalente gli ultimi mesi del 2003. Ai tempi la procura di Roma aveva aperto un fascicolo per la ricerca latitanti e aveva piazzato le sue microspie in una masseria dove, insieme a Provenzano (la cui voce venne registrata per la prima volta dall'inizio della sua latitanza), c'erano sei o sette uomini, tra cui il fedelissimo Giuseppe Lo Bue. Quegli uomini, per varie volte nel corso della giornata, ripeterono la loro condanna a morte senza, tuttavia, pronunciare mai il nome del medico. Ora, però, l'esistenza di questa intercettazione potrebbe contribuire alla riapertura delle indagini sulla morte di Attilio Manca, giovane e brillante urologo siciliano, morto nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, la città in cui lavorava da meno di due anni all'ospedale Belcolle.

Un suicidio che non convince.

A confermare la rilevanza della notizia è Fabio Repici, l'avvocato che assiste i genitori di Attilio, Gioacchino Manca e Angela Gentile. Per oltre 18 anni, la loro battaglia è ruotata intorno a una certezza: il medico, che aveva 34 anni quando morì, non si è suicidato con un'overdose da eroina, aggravata dall'assunzione di uno psicofarmaco, il Tranquirit, a base di benzodiazepine. Ma è stato ucciso perché coinvolto a sua insaputa nelle cure a Bernardo Provenzano e per farlo fuori è stata simulata un'iniezione letale da sostanza stupefacente. Del resto, i due fori da siringa erano nel braccio sinistro, ma Attilio Manca, oltre a non essere un tossicodipendente, era un mancino puro e, per ammissione di molti colleghi e conoscenti, non era in grado di svolgere alcuna attività con la mano destra. Nel corso degli anni, cinque collaboratori di giustizia - Giuseppe Setola, Carmelo D'Amico, Stefano Lo Verso, Giuseppe Campo e Antonino Lo Giudice - hanno detto ai magistrati che quello di Manca era un omicidio. Si aggiunge un altro fatto: il 16 febbraio 2021, dopo una condanna in primo grado, è stata assolta una donna romana, Monica Mileti, dall'accusa di aver fornito ad Attilio la dose fatale di eroina. Ma c'è anche un altro elemento che fa propendere per la tesi della famiglia, l'omicidio: Attilio, nel giugno e nell'ottobre 2003, andò in Costa Azzurra e la circostanza è accertata dalle dichiarazioni dei genitori, che ricevettero da lui una telefonata, e dai tabulati telefonici.

Presto nuovo esposto della famiglia.

Dunque, dopo essere stata dimenticata per quasi due decenni, la riemersione dell'intercettazione del 2003 potrebbe fornire un ulteriore elemento per la richiesta di riapertura delle indagini. Richiesta che, come ha annunciato nei giorni scorsi l'avvocato Repici, verrà depositata a Roma entro un mese. Lì confluiranno anche le affermazioni contenute nelle motivazioni della sentenza pronunciata dalla corte d'Appello di Reggio Calabria il 6 ottobre 2021 e depositate lo scorso 4 aprile. Imputato Rosario Pio Cattafi, ritenuto affiliato dall'ottobre 1993 al marzo 2000 alla famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese. Per questo il siciliano, che si definisce avvocato, è stato condannato a sei anni di reclusione. E in un non breve passaggio delle motivazioni si parla anche della morte di Attilio Manca e delle affermazioni di uno dei cinque pentiti, Carmelo D'Amico, il principale collaboratore di giustizia barcellonese. Questi – venendo ritenuto credibile – aveva dichiarato «che, intorno al 2004, Salvatore Rugolo [cognato del boss Giuseppe Gullotti, ndr], che al pari di [Francesco] Cambria e Cattafi, intrattenevano, per conto della cosca, i rapporti con le Istituzioni deviate, gli aveva riferito che era stato proprio Cattafi, su incarico di un generale dei carabinieri, a condurre il [...] medico presso il luogo, in cui era rifugiato Bernardo Provenzano, bisognoso di cure urgenti. Proprio per evitare che si potesse disvelare il rifugio di Provenzano, Manca è stato ucciso dai servizi segreti deviati». Inoltre a D'Amico, «dopo il 2006, al tempo in cui era ristretto a Milano Opera, Antonino Rotolo [rilevante affiliato all'articolazione palermitana di Cosa nostra, ndr] ha confermato che Provenzano era stato curato in Francia da Manca che poi era stato ucciso dai servizi segreti».

«Attilio è morto segnato da una terribile macchia», ha detto Angela Gentile, la madre di Attilio Manca. «In tutti questi anni ho sognato almeno di avere la certezza giudiziaria, prima di morire, che fosse stato assassinato». E indagare di nuovo questa vicenda potrebbe portare, oltre alla verità sulla fine di Attilio, anche a nuove informazioni sulle coperture di cui godette Provenzano nei lunghi anni della sua latitanza. Anche su questo sta lavorando la Commissione parlamentare antimafia su proposta delle deputate Piera Aiello e Stefania Ascari. Su loro iniziativa, la Commissione, dopo aver sentito la madre di Attilio Manca e l'avvocato Repici, ha effettuato anche le audizioni di quattro dei collaboratori di giustizia che hanno parlato del caso: Carmelo D'Amico, Giuseppe Campo, Stefano Lo Verso e Biagio Grasso.


ANGELA MANCA: HO I BRIVIDI, VOGLIO VERITA' E GIUSTIZIA.

"Questa notizia mi ha fatto venire i brividi, come quando vidi le foto del cadavere di Attilio. Non ho potuto fare a meno di pensare all'Olocausto, quando gli ebrei internati, con la scusa di "fare la doccia", venivano indirizzati alle camere a gas. Attilio fu vittima della stessa crudelta'. Il pensiero che questa intercettazione risalga al 2003 e che la Procura di Roma non ne abbia mai fatto uso mi toglie il sonno". Lo afferma all'AGI Angela Gentile Manca, madre di Attilio, l'urologo siciliano, morto nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, la citta' in cui lavorava da meno di due anni, in merito alla notizia su un'intercettazione del 2003, pubblicata dai giornalisti Tobias Follett e Antonella Beccaria. Nell'intercettazione ambientale, sei o sette uomini per varie volte, avrebbero ripetuto la loro condanna a morte, senza tuttavia pronunciarne mai il nome, affermando che al medico "andava fatta una doccia", ovvero doveva essere eliminato. "Penso ad Attilio - dice la madre - che in quei giorni programmava il suo futuro, progettava anche per il tumore alla vescica la laparoscopia, che allora non veniva eseguita in tutta Europa, pensava a ottenere un mutuo per acquistare una casa. Era una persona felice, realizzata e aveva davanti a se' una carriera brillante. Non sapeva di essere gia' un morto che camminava. Come rivelato da un pentito, lo volevano uccidere per Natale di quell'anno, con una pistola. Poi optarono per un'altra soluzione, senza fare rumore. Qualcuno si reco' a Viterbo per organizzare l'omicidio, studiare la casa di Attilio, le sue abitudini. E poi Attilio fu ucciso in quel modo macabro. Ora e' arrivato il momento di riaprire le indagini e istruire un processo. Ed e' arrivato anche il momento di liberare la memoria di Attilio da tutto il fango che persone indegne, anche in sedi istituzionali, hanno riversato su di lui in questi anni. Io e la mia famiglia abbiamo sempre creduto nella giustizia e abbiamo fiducia nella parte sana della magistratura. E non molleremo - conclude - finche' non otterremo verita' e giustizia complete per Attilio".

L'AVVOCATO REPICI: INSPIEGABILI FALLE ISTITUZIONALI A PROTEZIONE DELLA LATITANZA DI PROVENZANO.

"Per l'ennesima volta sono dei giornalisti, Tobias Follet e Antonella Beccaria, a supplire alle inerzie di organi istituzionali. Cosi' adesso arriva la notizia che nel cerchio ristretto che accudiva il boss Provenzano si discuteva della necessita' di uccidere un medico. E' la conferma alle rivelazioni gia' fatte da numerosi collaboratori di giustizia. Ed e' la conferma delle inspiegabili falle istituzionali che si sono verificate a protezione della latitanza di Provenzano". Lo afferma all'AGI Fabio Repici, legale della famiglia Manca, l'urologo siciliano, morto nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, in merito alla notizia su un'intercettazione del 2003, pubblicata dai giornalisti Tobias Follett e Antonella Beccaria. Nell'intercettazione ambientale, sei o sette uomini per varie volte, avrebbero ripetuto la loro condanna a morte, senza tuttavia pronunciarne mai il nome, affermando che al medico "andava fatta una doccia", ovvero doveva essere eliminato. "E' esattamente quanto ha spiegato il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico. Nelle sue dichiarazioni sull'omicidio di Attilio Manca, recentemente dichiarate attendibili anche dalla Corte di appello di Reggio Calabria che ha condannato per associazione mafiosa Rosario Cattafi - commenta Repici - , ha spiegato che l'assassinio dell'urologo barcellonese e' un delitto compiuto in sinergia da Cosa nostra e da apparati deviati dello Stato, in uno scenario tipicamente piduista. Lo stesso generale dei carabinieri tirato in ballo dal pentito D'Amico, se si guarda l'elenco dei soci onorari del circolo Corda Fratres, era uno dei piu' celebri affiliati alla loggia P2. Ora non ci sono piu' alibi per la Procura di Roma. Nelle prossime settimane chiederemo un appuntamento al Procuratore Lo Voi e consegneremo nelle sue mani una denuncia nella quale compariranno tutti gli elementi raccolti in questi ultimi tempi. La verita' sul caso Manca- conclude il legale della famiglia - e' nascosta anche fra le pieghe degli archivi giudiziari nei quali riposano sotto tonnellate di polvere i misteri sulla latitanza di Bernardo Provenzano, protetta da settori istituzionali. Bisogna solo dissotterrare le informazioni insabbiate per decenni. A partire da quelle riguardanti la presenza di Bernardo Provenzano in provincia di Messina".

PIERA AIELLO E STEFANIA ASCARI: CONFERMA CORRETTEZZA DI APRIRE INCHIESTA DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA.

"La notizia uscita oggi sul giornale Antimafiaduemila, se verificata, sarebbe l'ennesima conferma della correttezza della decisione, presa dalla Commissione antimafia, di aprire una seconda inchiesta sulla morte di Attilio Manca. Il nostro lavoro e' quasi ultimato ma, a questo punto, sara' necessario interloquire con la Procura di Roma per acquisire il fascicolo aperto sulla latitanza di Bernardo Provenzano. E' evidente a tutti, infatti, l'importanza di verificare l'esistenza di quella intercettazione tra mafiosi, che farebbe luce sul legame tra Provenzano e la morte di Attilio Manca". Lo affermano all'AGI le parlamentari Piera Aiello e Stefania Ascari, componenti della Commissione Antimafia, in merito alla notizia su un'intercettazione del 2003. Nell'intercettazione ambientale, sei o sette uomini per varie volte, avrebbero ripetuto la loro condanna a morte, senza tuttavia pronunciarne mai il nome, affermando che al medico "andava fatta una doccia", ovvero doveva essere eliminato.