19 Luglio 2022 Attualità

19 LUGLIO 1992, 30 ANNI FAPADRE FELICE SCALIA: Quel giorno scrissi una lettera… in Paradiso

di Padre Felice Scalia - Mi trovavo in Sila quel giorno, solo, per preparare un campo-scuola (così alcuni chiamavano quella esperienza) per ragazzi. Non ricordo il tema del campo, ma i fattacci di quegli anni nella nostra Sicilia certamente erano collegati reattivamente alla speranza che volevamo trasmettere di un mondo che uscisse dal tunnel della violenza e della sopraffazione mafiosa.
Sanguinavano in tutti le ferite della strage di Capaci, culmine della mattanza di giudici che la mafia indisturbata e forse “coperta” da poteri superiori, tranquillamente ordiva e realizzava.
Solo, volutamente senza telefono, privo di radio efficiente, non seppi nulla fino all’indomani. Mi rivedo mentre tentavo di togliere erba dal piazzale del “Campo Langher” quando “seppi” da un amico di passaggio quello che era accaduto in Via D’Amelio.
Non credo di essere mai stato una creatura disperata, ma era troppo quello che capitava in quegli anni, troppo questo assassinio dei garanti della normalità della vita sociale, e devo dire che ho provato la sensazione di essere entrato in un tunnel dove neppure un buco di luce ne annunziava la fine. Rimasi sconvolto, turbato. Non si è mai pronti per accogliere una nuova brutta notizia: nulla cambia, tutto si ripete, la violenza ha la meglio.
A chi dire quello che mi passava in cuore? Ad amici del mondo ecclesiastico? Ad uomini di governo, a politici abbordabili? A chi interessava la reazione di un pretuncolo
come me? Le ambiguità sul mondo mafioso erano dovunque trasversali.
Si assisteva allo sgretolamento della credibilità politica che alcuni salutarono come “fine delle ideologie” ma in realtà era alleanza dei potenti che una ideologia la imponevano, quella della forza, a totale svantaggio di ogni prospettiva di bene comune, di moralità sociale, di progettualità per una società più giusta e libera.
Era la scomparsa dell’uomo e l’affermazione della centralità del mercato, della finanza, dei poteri forti. E per questo trionfo non si guardava a spese: uccisione di Aldo Moro, imprese delle Brigate rosse, stragi di stato, silenzi e “non ricordo” e “segreti di stato” nelle deposizioni di Andreotti ai vari processi, incertezze del mondo ecclesiastico che oscilla da sempre più per la conservazione che per la liberazione.
I sospetti sulla “Teologia della liberazione” da parte del Cardinale Ratzinger e suo dicastero, la dicono lunga in merito. A chi dire dunque il mio sconcerto? Alle trote del Lago Ampollino? Alle mucche al pascolo? Certamente potevo ritirarmi nella vicina cappella, sfogarmi con Lui, col “Capo” e l’ho fatto, anche se a modo mio.
Presi una decisione di cui oggi sorrido. Scrissi una lettera ... in Paradiso, all’unica persona che mi avrebbe potuto comprendere, al mio Padre Generale Padre Pedro Arrupe, così onesto nell’accoglienza del Concilio Vaticano II, così desideroso del riscatto dei poveri, così aperto alla vita ed alla costruzione della
“signoria” della pace e della dignità umana nella giustizia sulla terra, da essere incompreso se non osteggiato perfino da alcuni potenti confratelli gesuiti e dallo stesso Giovanni Paolo II.
Chi ha detto che i cosidetti “Santi” non possono sbagliare? Pedro era morto nel 1991, la lettera fu spedita per questo in Paradiso, non la trattarono mai le Poste Italiane, e rimase nel mio cassetto.
Fu questa la mia “meditazione” quel giorno, la mia preghiera, per ritrovare ancora una volta la voglia di stare dalla parte giusta, quella degli oppressi da ogni violenza. Per potere pregare per gli assassinati e per gli assassini, per constatare quanto lontani fossimo dalla ”salvezza”, tanto predicata quanto contraddetta.
Credo di esserci ancora in quella pars pauperum, se tanto mi sconvolge anche emotivamente, la follia attuale del pensiero unico sulla ineluttabilità della guerra, vero criminale modo con cui il mondo dei potenti – di cui fa bella parte la mafia - argina le grida dei poveri. Altro che liberare “il mondo della paura” come si proponeva la “Carta
Atlantica” del 1941 durante la seconda guerra mondiale. Qui i potenti si preoccupano se qualcuno non ha sufficiente paura per starsene buono ad “obbedir tacendo”. E allora
uccidono. La lista degli uccisi è infinita. Fermiamoci a cenni di quegli anni. 1990: Rosario Livatino. 1992: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. 1993: Giuseppe Diana.
Per il mondo dei potenti questi non sono né santi né eroi, solo sciocchi che non hanno ancora capito come va la vita. Dicono “Se la sono cercata la morte!”. Finché esiste al mondo chi non accetta questa logica, la speranza e l’amore non sono tramontati sulla terra.