9 Settembre 2022 Giudiziaria

“Quel suicidio era impossibile”. L’Antimafia riapre il caso Manca

Di Salvo Palazzolo - È ancora uno dei grandi gialli italiani, la morte di Attilio Manca, il giovane urologo siciliano trovato cadavere nella notte tra l’ 11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, dove lavorava da poco meno di due anni. La commissione parlamentare Antimafia ha riaperto il caso e dopo una lunga indagine ha approvato all’unanimità una relazione che spazza via definitivamente l’ipotesi dell’overdose e rilancia la tesi sempre sostenuta dalla famiglia: «Questa è una storia oscurata dall’ombra della mafia — dice la deputata Piera Aiello, testimone di giustizia, prima firmataria della relazione — è oscurata soprattutto dall’ombra di Bernardo Provenzano, che proprio da Attilio, giovane e brillante urologo, si sarebbe fatto operare in Francia. Per assicurarsi il suo silenzio, lo avrebbe fatto uccidere».

La relazione ripercorre la dettagliata audizione del tossicologo Salvatore Giancane, che non ha utilizzato mezzi termini: «Ci sono tante stranezze in questa presunta overdose volontaria». L’esperto nominato dalla famiglia dice: «Sul cadavere c’erano solo i fori delle due somministrazioni, non venne repertato nessun altro segno di pregresse venipunture» . Forse Manca assumeva occasionalmente eroina? Il tossicologo l’ha escluso: «L’eroina è una sostanza che aggancia e prima o poi si sviluppa una forma di dipendenza: è difficile che si rimanga assuntori occasionali per tutta la vita. Sicuramente Manca non rientrava nel profilo degli assuntori abituali, soprattutto per un fatto di funzionamento, ossia era un brillante chirurgo, addirittura aveva importato in Italia tecniche operatorie innovative dall’estero: un assuntore abituale di eroina non raggiunge questi traguardi». La famiglia aveva chiesto la riesumazione del cadavere: «Si sarebbe potuto fare un esame del capello» , ha proseguito Giangrande. Altra stranezza: «Sulle siringhe ritrovate non sono presenti le impronte digitali di Attilio Manca» . Su questi temi aveva indagato anche la commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi, mettendo in evidenza «i segni delle punture di eroina rinvenute sul braccio sinistro, incompatibili con il mancinismo puro di Manca» . E poi: «Non c’era alcuna impronta del medico su una delle due siringhe usate per iniettare l’eroina». Tutti i suoi amici e colleghi l’hanno ribadito: Attilio Manca non faceva uso di droghe.

«Dopo l’ultima archiviazione della procura di Roma, arrivata nel 2018 — spiega Piera Aiello — è caduto uno dei pilastri su cui si fondava il provvedimento: la sentenza di condanna di Monica Mileti, la donna ritenuta responsabile di aver ceduto la dose di eroina che si sarebbe rivelata fatale per l’urologo». Il 16 febbraio 2021 la terza sezione penale della Corte d’appello di Roma ha assolto la donna con la formula «perché il fatto non sussiste», sentenza diventata definitiva perché la procura generale di Roma non ha proposto ricorso in Cassazione.
L’avvocato della famiglia, Fabio Repici, presenterà presto una nuova istanza alla procura di Roma. Per sapere di più su un’intercettazione di fine 2003, emersa di recente sulla stampa: i gregari di Bernardo Provenzano, allora ancora latitante, avrebbero detto che bisognava «fare una doccia» a un medico, di cui non viene mai fatto il nome, per aver negato le cure al boss. Esiste davvero questa intercettazione?

La famiglia Manca chiede soprattutto che vengano valorizzate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico: «Ha spiegato che l’assassinio dell’urologo barcellonese è un delitto compiuto in sinergia da Cosa nostra e da apparati deviati dello Stato, in uno scenario tipicamente piduista», dice l’avvocato Repici. Fonte: larepubblica