LA RIFLESSIONE DI PADRE FELICE SCALIA: “Quel ‘Grazie Italia!” e il ruolo della chiesa nella vittoria di Giorgia Meloni
di Padre Felice Scalia - Grazie Italia? Dico subito che non ho passato nessuna notte ad attendere i risultati delle elezioni nazionali e regionali. A poltrone (quasi) occupate, tre pensieri mi frullano in mente: il ringraziamento degli eletti agli elettori (in primis il Grazie Italia della Meloni), il ruolo della chiesa sui risultati, ed i 73 in 'odor di mafia' che staranno all’Assemblea siciliana. Quest’ultimo pensiero lo scaccio e basta, degli altri due voglio dire qualcosa.
Campeggia in questi giorni questo grido riconoscente tra i vincitori delle elezioni del 25 settembre. Non l’hanno scritto, ma non è improbabile. che i perdenti abbiano gridato in cuor loro “maledetti italiani” da sempre “popolo-bue”. Non oso immaginare i mugugni e forse le disperate parole della massa dei non-votanti. Urla da “pancia” queste, ma su uno di essi mi vorrei fermare. Sul “grazie”. Chi ringrazia la Meloni? Perché ringrazia?
“Grazie” di solito è la risposta ad un dono. Allora la signora Giorgia sta ringraziando gli elettori che le hanno dato in dono l’Italia? Peggio: ringrazia quelli che le hanno dato “potere” sull’Italia? Che l’hanno incoronata regina assoluta del “Bel Paese”? O quelli che l’hanno introdotta – come scrive La Valle - nel club delle donne potenti della Terra come la Thatcher, la Golda Meir, la Ursula?
Mi si lasci dire che quel “grazie” sembra un brutto segno. Per me è una confessione di reato contro la democrazia, ma non mi fermo su questo. Certo, solo un pazzo narcisista e megalomane, solo una pazza da ricovero in clinica psichiatrica, in una situazione come quella in cui ci hanno cacciato i “grandi” e i “supergrandi” di ieri, potrebbe desiderare di governare questa Italia che naviga in questo oceano di guai. Una persona appena saggia di mente, direbbe (magari con la dovuta femminile dolcezza) “maledetti italiani che mi avete imposto questo peso; altro che onore qui è in ballo una croce”.
Probabilmente chi dice “grazie” a chi gli ha dato il voto, o non sa quello che dice o crede che ha ricevuto in regalo – per fare esempi terra-terra – un limone da spremere, o una torta da dividere con gli amici, o una mucca da mungere, o – concediamolo pure – l’occasione (come la lumachella trilussiana) di “lasciare una traccia nella storia”. Se così fosse, l’Italia oggi “ringraziata” sarà quella che, disgustata, domani, se ne libererà.
Il 13 ottobre 2022 avremo una “primo ministro” e tanti “ministri” della Repubblica. Ministro … Ma non vuol dire “servo” questa parola? Da minister “servitore”, o da minus “meno”. Primo ministro della Repubblica non vuol dire allora “primo servo/a della Repubblica”? Cioè primo/a a servizio degli italiani, sentinella promotrice del bene comune? Chi arriva a superare le dita delle mani nel trovare questi “servitori dello stato”, sarà ben accolto. Temo che nominerà tra essi diversi morti-ammazzati.
Comunque, un solo augurio ai nuovi eletti e alla “eletta”: che si guardino attorno e riescano a potere finalmente vedere dove hanno portato l’Italia, l’Europa e lo stesso Pianeta, loro e quanti hanno occupato fino ad ieri seggi di responsabilità. E un altro augurio che è simile al primo: che intravedano verso dove bisogna andare per una Italia che sia degna della sua cultura, del suo popolo, della sua arte, del suo cammino civile nella storia. Al momento pare che si vada verso l’azzeramento di queste “cose inutili che non si mangiano” e non sono quotabili in borsa.
Vado al secondo pensiero. Alcuni amici hanno posto a me prete (per niente politologo, per niente esperto di partitica) una domanda imbarazzante: quanto c’entra la chiesa nella vittoria di questa donna che ha sbandierato, appunto, tra i motivi di eleggibilità il suo essere “donna e cattolica”?
Non azzardo un “molto” generalizzato, e tanto meno un “niente”, perché la parola chiesa non è univoca ma analogica. La chiesa dell’anticoncilio, quella nostalgica della gerarchizzazione assoluta della casta sacerdotale, quella che ha sposato a priori il capitalismo, il consumismo, la centralità della legge del mercato, la supremazia di bianchi-cristiani chiamati a portare civiltà e religione cristiana nel mondo, quella chiesa c’entra molto con la vittoria elettorale del 25 settembre e il trionfo della signora Meloni. A questa chiesa anticonciliare che come suo papa indica Pio XII o Benedetto XVI, che sventola Vangeli, Rosari, santini vari ma ammazza nel Mediterraneo migliaia di disgraziati, e predica l’odio e l disprezzo, devono molto i “vincitori” delle ultime elezioni. Stia tranquilla questa chiesa, ne avrà la dovuta ricompensa.
C’è anche la chiesa colta, movimentista, quella che si è riunita al Meeting di Rimini lo scorso agosto, e che ha fatto saltare l’applausometro per Meloni e Salvini, insomma quella chiesa riunita attorno ad una Cl non più Cl cristiana – a detta di un suo autorevole antico appartenente – questa chiesa è direttamente responsabile della vittoria dei prossimi onorevoli. Stia attenta però la chiesa salviniana e meloniana: quei giovani applaudenti, raccattati chi sa dove ed a cui è stata offerta una “sequela” che niente ha da spartire con la “sequela Christi”, proprio quei giovani sono la cambiale che il governo prossimo venturo dovrà pagare. Salgono sul cavallo vincente, pronti a lasciarlo se l’ingordigia di potere e denaro viene frustrata.
Non c’entra niente con la vittoria dei vincitori la chiesa conciliare, quella del Vangelo ritrovato che si riunisce attorno a papa Francesco. A questa stanno a cuore problemi “universali”, cattolici appunto, per nulla sfiorati dalla selvaggia campagna elettorale: il destino del Pianeta, la pace e la fratellanza dei popoli, il futuro dei giovani, il ripudio della guerra, il destino dei migranti vittime del neocapitalismo fatti passare per “attentatori alla nostra fede e alla nostra civiltà”, la galoppante povertà dei due terzi dell’umanità, insomma “l’uomo”, ogni nato da donna, e la “casa unica” dove abita.
Questa chiesa del Cristo di sempre (ma oggi riscoperto nella sua verità totale), riunisce quel “popolo di Dio” semplice che in fondo è la vittima del sistema vigente e vincente ed il vero cardine della società. È il popolo che è stato tradito ma non è sfiduciato, che ha perso una battaglia ma non la sua pacifica voglia di testimoniare la Buona Notizia: la dignità umana, il buon senso, la pace, la fratellanza e l’amore, ciò che Gesù di Nazareth chiamava “Regno di Dio”, cose come queste sono ancora accessibili all’uomo, perfino necessari se si vuole avere un futuro. Una opposizione seria al governo che verrà, sa che linguaggio deve parlare, che voci deve ascoltare, se lascia da parte le sue frustrazioni, se smette il suo disfattismo, e comincia a fidarsi di quella prepotente sete di vita vera che ancora è rintracciabile nel popolo. Ecco, questo è il mio augurio ai “perdenti” di oggi: siano capaci di creare speranza vera per il domani che comincia oggi.