25 Dicembre 2022 Attualità

IL 25 DICEMBRE? NESSUNA PIU’ GRATITUDINE PER L’AMORE DI DIO PER L’UOMO

Pubblichiamo l'omelia della Messa della Notte di Natale di Padre Felice Scalia. Un'ulteriore occasione per riflettere: "Il Natale, nonostante tutta la nostra idiozia e follia, nonostante i nostri cuori fatti di pietra, arriva, viene ma più che una festa di gioia, oggi è il richiamo ad una consapevolezza".

Di Padre Felice Scalia - Se il Signore Dio oggi si affaccia sulla terra, che vede?

Forse c’è stato qualche 25 dicembre in cui il Signore ha visto l’umanità ricordare e gioire per il suo più grande segno dell’immenso amore che ha per gli uomini: fare camminare la Sua Parola fatta carne nell’uomo Gesù proprio in mezzo a noi. Mettersi nel Figlio suo nelle nostre mani, sperare che così poteva farsi intimo nostro.

Ma se si affaccia oggi?

Oggi questo segno della gratitudine nostra per questo immeritato amore di Dio per l’uomo è scomparsa.

Scomparsa la pace, scomparsa la sua “gloria” creata dall’uomo che vive nell’estasi dell’amore vicendevole. Siamo in guerra.

Scomparsi i segni della povertà di Dio che fa casa sua le case dei poveri, dei pastori. Scomparse le stalle degli animali semplici che hanno accolto il Figlio dell’uomo. Scomparsi l’Amore e la tenerezza come regole di vita.

Al loro posto gli uomini credono di essere salvati, resi felici, dalla moltitudine di cose inutili e costose che ci scambiamo. A darcele non è, non può essere più una famiglia di gente semplice come Maria e Giuseppe, non un Bambino adagiato in una mangiatoia. Loro ci darebbero gioia di vivere e far vivere.

I “doni” – chiamiamoli così -  che ci arrivano sono portatori della infelicità e del dolore che ci taglia. Le renne di Babbo Natale, sono le slitte di Amazon, delle grandi multinazionali delle armi, della droga, che fanno piovere bombe e freddo sui disgraziati, migranti ed ucraini insieme. Fanno piovere destino di morte per i poveri ed i disperati e gli immigrati, ed illusioni di luce per i soddisfatti cristiani che non so più se adorano il Cristo o la su maschera.

Nonostante questo Dio ci ama, non ci rinnega. Il Natale, nonostante tutta la nostra idiozie e follia, nonostante i nostri cuori fatti di pietra, arriva, viene ma più che una festa di gioia, oggi è il richiamo ad una consapevolezza.

Per quanto tu sia diventato la peggiore delle belve, io ti amo – dice il Signore a Betlem. Ci crediamo?

Per quanto tu sia nell’abisso, non è per l’abiezione che sei nato. L’orrido, l’empietà, la crudeltà non ti definiscono. Tu sei mio figlio – dice il Signore a Betlem. Ci crediamo?

La morte non è la tua casa. Se tu sei morto puoi risorgere, rinascere,  ed essere un uomo nuovo ad immagine del Figlio mio, nato in Giudea – ci dice il Signore. Ci crediamo?

Oggi il Figlio mio o nasce nel cuore di chi è inorridito dalla crudeltà imperante, dal pensiero unico globalizzato , dalla normalità delle guerre infinite e preventive, o non nasce affatto. Questo dice ancora il Signore nel Natale di Gesù. Lo prendiamo sul serio?

Ciascuno di noi “sa” se la risposta è positiva o ancora illusoria. Saremo sicuri che è positiva se osiamo l’avventura di uno sconfinamento dai nostri muri, dalle nostre tane, insomma dai nostri egocentrismi, per diventare ciò che siamo: Figli dell’Amore e portatori  di amore.

Per questo dicevo che più che una festa di gioia, oggi è il richiamo ad una consapevolezza.

I miei auguri? Tanti quante le mie speranze.

Lucio Dalla scrive: “Chissà domani, su cosa metteremo le mani, se si potranno ancora contare le onde del mare e alzare la testa”.

Versi che sembrano scritti per descrivere il tempo sospeso dell'umanità, del Pianeta, di noi tutti. Il domani sembra in mano ai folli. Eppure in mano di Dio e nostra, dei figli di Dio che credono davvero di essere tali.

"Rialzatevi, sollevate la testa: la vostra redenzione è vicina. Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, Porrò il mio spirito dentro di voi"(Da Ez. 36,34-36).

Non ci resta che l’utopia di cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno. Tenteremo almeno di metterci a cercare?

Uno noi forse lo abbiamo trovato. È incredibilmente giovane e  testardo, insultato da molti, inascoltato da masse e tuttavia al timone di  una “barca” non sua. Si chiama papa Francesco.

Lui crede che questa barca appartenga non a Pietro ma al “Figlio dell’uomo”, e dunque ad ogni nato da donna sull’intero Pianeta.

Oseremo sperare che saranno sempre più numerosi quelli che lo sentono come una parola di salvezza?

Lui, questo singolare vecchio su una sedia a rotelle, ma i cui piedi camminano “sulle alture”, non ha bisogno di auguri ed auspici. Lui il futuro non se lo augura, lo costruisce, mai da solo ma con noi tutti noi. Pare dire ad ogni uomo: In piedi, artigiani di pace, unitevi!

Oseremo stargli accanto smettendo di aspettare sempre che dall’alto piova la fortuna di un anno nuovo, di una umanità nuova?

Non abbiamo bisogno di auguri, di desideri, di sospiri. Il mondo ha bisogno di voltare pagina. La nostra (la mia) insignificanza ci rende impotenti, ma se prendiamo coscienza che Dio non è solo nell’alto dei cieli ma in mezzo a noi, neanche noi aspetteremo un anno nuovo, una famiglia nuova, un cuore nuovo, lo costruiremo. Lo costruiremo come ha fatto il Figlio dell’uomo Gesù, con pazienza, con fede nello Spirito di Dio che è in noi, con fede nell’uomo, e soprattutto, pieni di speranza che ogni Natale ci annunzia. Tutto è possibile a Dio!