10 Febbraio 2023 Giudiziaria

MAFIA: RINVIATA LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE SU SARO CATTAFI

E' saltata l'udienza in Cassazione del processo per mafia nei confronti di Rosario Pio Cattafi, considerato il trait d'union fra mafia e istituzioni nella provincia di Messina. Il difensore di Cattafi L, Salvatore Silvestro, non ha infatti potuto raggiungere la capitale a causa della cancellazione per il maltempo di diversi voli in partenza dall'aeroporto Fontanarossa di Catania.

Cattafi fu arrestato il 24 luglio 2012 su richiesta della Dda di Messina con l'accusa di capo dell'organizzazione mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. Condannato a dodici anni di reclusione, per effetto della diminuzione del rito abbreviato, dal gup di Messina il 16 dicembre 2013, aveva ottenuto la riduzione della condanna a sette anni e l'esclusione dell'aggravante di capoclan dalla Corte di appello di Messina il 24 novembre 2015. L'1 marzo 2017 la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, accogliendo il ricorso del difensore di Cattafi, l'avvocato Salvatore Silvestro, annullo' la sentenza con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria. La Corte reggina il 6 novembre 2021 confermo' la condanna di Cattafi con una motivazione che sottolineo' il suo importante ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e il potere legale, rideterminando la pena in sei anni di reclusione. La sentenza venne impugnata dalla difesa di Cattafi. Oggi la Corte di Cassazione, prima sezione penale, si sarebbe dovuta pronunciare definitivamente. Nel corso dello stesso processo, denominato "Gotha 3", Rosario Cattafi e' stato condannato anche per calunnia, commessa ai danni dell'avvocato Fabio Repici e del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. Per la calunnia la sua condanna e' diventata irrevocabile gia' l'1 marzo 2017.

SONIA ALFANO: SENTENZA FONDAMENTALE.

"La sentenza di oggi (rinviata, ndr) e' di fondamentale importanza per cristallizzare, una volta per tutte, la centralita' della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto nelle dinamiche criminali non solo del messinese ma dell'intero territorio nazionale. Ancora una volta saro', tramite il mio avvocato Fabio Repici, presente all'udienza per affermare quanto questa vicenda non riguardi solo mio padre ma anche la verita' circa il ruolo di Cattafi come elemento di collegamento tra mafia, politica e apparati deviati". Lo aveva dichiarato all'AGI Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano, assassinato da Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto l'8 gennaio 1993, gia' presidente della Commissione antimafia del parlamento europeo, in merito all'udienza che si sarebbe dovuta svolgere oggi.

LA SENTENZA D'APPELLO.

La sentenza d’Appello
"Non ci sono dubbi" sul fatto che Rosario Pio Cattafi, almeno dall'ottobre del 1993 al marzo del 2000, fosse a tutti gli effetti un uomo della cosca mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), non solo come persona di fiducia del boss Pippo Gullotti(di cui era stato testimone di nozze) ma anche, dopo l'arresto di quest'ultimo avvenuto nel febbraio del 1998, come "riferimento di spicco dell'organizzazione" per gli altri affiliati e storici vertici, "assumendo compiti e rapporti con le Istituzioni deviate e i colletti bianchi". A scriverlo, nero su bianco, è stata la corte d’Appello di Reggio Calabria, (presieduta da Filippo Leonardo) che nel 2021 aveva condannato Cattafi a 6 anni di carcere per associazione di stampo mafioso. 116 pagine di motivazione di sentenza in cui i giudici reggini mettono luce su quella che sarebbe la vera identità avuta da Pio Cattafi, da lui sempre rinnegata. Uno spaccato inquietante su uno degli uomini più misteriosi di Barcellona Pozzo di Gotto, frutto del contributo dichiarativo di così tanti collaboratori di giustizia, scrive la Corte d’Appello, che “è davvero arduo accreditare la tesi secondo cui l'imputato sarebbe vittima di un ordito complotto ai suoi danni”, come sostengono i suoi legali.

All’esito delle risultanze riportate, si legge nella sentenza, “si può affermare, al netto delle obiezioni riportate e superate, che vi sono fatti precisi, del tutto sintomatici della adesione associativa di costui fino al marzo 2000, dovendosi rilevare che la pluralità delle fonti assunte e la loro strutturale convergenza in ordine all'unico decisivo thema probandum, vale a dire la sua partecipazione al medesimo sodalizio, non lascia spazio a dubbi né a tesi alternative ipotetiche, vagliate e ritenute inidonee a incidere sull’assunto accusatorio, qui sposato”. La Corte infatti - riportando le rispettive dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’Amico, Siracusa, Castro, Bisognano e Mirabile - ritiene “comprovato” che l’imputato “ha partecipato ad una riunione associativa nel 1993” (dich. D’Amico);” “ha partecipato ad un altro convegno di mafia, dopo la sua scarcerazione nel ‘97” (dice. Siracusa); “È stato presentato da Barresi Eugenio come sodale del gruppo nel 2000, tale continua ad essere considerato ancora verso 2000 durante i convegni elettorali (dice Castro)”; “ancora nel 2002 è certamente ritenuto un affiliato al medesimo gruppo” (dich. Bisognano). E infine “nel 2004 Rugolo (Salvatore, medico di base deceduto nel 2008 in un incidente stradale, ndr) continua a ritenerlo certamente associato, considerandolo responsabile, in via morale, della morte del dott. Manca” (dich. Mirabile).

Nel caso Manca la veridicità del dischiarato di D’Amico.
E a proposito di Manca, la Corte “valorizza” il dichiarato di Carmelo D’Amico circa l’adesione di Cattafi alla compagine mafiosa barcellonese rifacendosi alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia sulla misteriosa morte dell’urologo 34enne, anch’egli di Barcellona Pozzo di Gotto, avvenuta a Viterbo il 12 febbraio 2004.
A detta di Carmelo D'Amico, ex membro dell'ala militare esecutiva del sodalizio, Cattafi avrebbe accompagnato, su incarico di un generale dei carabinieri, presso il luogo in cui era rifugiato il boss stragista Bernardo Provenzano, al tempo latitante da oltre 40 anni, che aveva bisogno di cure urgenti. "Per evitare che si potesse disvelare il rifugio di Provenzano - scrive la corte d'appello di Reggio Calabria nelle sue motivazioni -, Manca è stato ucciso dai servizi segreti. Da qui il "risentimento", riferito da D'Amico alla corte, del cognato di Gullotti, cioè il medico di base Salvatore Rugolo che considerava Cattafi "moralmente responsabile" della morte di Manca (avvenuta nel 2004) per i rapporti che aveva con le istituzioni deviate. E ancora, D'Amico raccontò che, nel carcere milanese di Opera, il boss palermitano Antonino Rotolo "gli confermò che Provenzano era stato curato in Francia da Manca, poi ucciso dai servizi segreti". Per la corte è importante anche evidenziare, proprio in riferimento alla morte di Manca, che nel 2004 "non c'erano dubbi sull'intranità alla cosca di Barcellona da parte di Cattafi", andando ben oltre il periodo storico (1993-2000) oggetto di contestazione processuale. Concentrandosi poi nuovamente sulla figura di Cattafi, D’Amico, come riportano i giudici di Reggio, sostiene che “aveva il compito di gestire i rapporti, per conto della cosca, con i cosiddetti 'colletti bianchi', pur non essendo lui un colletto bianco, visto che il boss era a tutti gli effetti un uomo d'onore... un associato". D'Amico è stato ritenuto attendibile anche quando ha affermato che "Cattafi era a capo di una potente loggia massonica che, comprendendo uomini politici e personaggi delle Istituzioni e dei servizi segreti, dimostra il livello del personaggio in esame". Questo, al punto che “Cattafi era uno dei pochi sodali a conoscere il luogo dove Nitto Santapaola (capo mafia di Cosa nostra catanese, ndr) trascorreva la sua latitanza". Tanto è vero che, all'indomani della cattura dello stesso Santapaola, D'Amico "venne convocato da Gullotti che, su mandato dei vertici di Cosa Nostra, gli affidò, quale killer esperto e fidato, il compito di uccidere Cattafi, sospettato di aver tradito Santapaola di cui conosceva il rifugio". Incarico poi rientrato perché Cosa Nostra scopri 'il vero responsabile' del tradimento. Nei 6 anni di reclusione inflitti dai giudici di appello calabresi che erano partiti da 9 (poi ridotti di un terzo per la scelta del rito), va ricordato che è compresa anche la condanna a un anno e mezzo di reclusione in ordine alla calunnia commessa da Cattafi per aver falsamente accusato l'avvocato Fabio Repici (parte civile nel processo) di aver determinato la collaborazione di Carmelo Bisognano, al fine di indurlo a rilasciare nei confronti dello stesso boss alcune dichiarazioni accusatorie. "Tale ultimo delitto - si legge nelle motivazioni - è stato accertato in via definitiva, avendo la Cassazione disposto il rinvio al fine di determinare il trattamento sanzionatorio, dipendente dal giudizio in ordine al delitto associativo". A Cattafi non sono state concesse le circostanze generiche "attesa la gravità dei delitti commessi e in assenza di alcun reale contributo collaborativo, da lui reso, in favore dell'accertamento della verità dei fatti, salvo ovviamente il legittimo diritto di difendersi, proclamando la propria innocenza".