16 Maggio 2023 Giudiziaria

IL SIGILLO DELLA CASSAZIONE: Associazione mafiosa, definitiva la condanna per Rosario Pio Cattafi

La Cassazione ha messo il sigillo definitivo sulla sentenza per associazione mafiosa a carico di Saro Cattafi

di Edg - Diventa definitiva la condanna a sei anni inflitta dalla Corte d'appello di Reggio Calabria per Rosario Pio Cattafi, accusato di far parte di Cosa nostra barcellonese fino al 2000 e considerato il trait d'union fra mafia e istituzioni nella provincia di Messina. 

Lo ha deciso la prima sezione penale della Cassazione (Presidente Monica Boni), poco prima delle 20 e dopo circa cinque ore di camera di consiglio, che ha rigettato il ricorso difensivo, confermando la sentenza - emessa in sede di rinvio dalla Corte d'appello di Reggio Calabria - di condanna a 6 anni di reclusione per associazione mafiosa, come anche sollecitato in udienza dal sostituto pg della Suprema Corte Assunta Cocomello e dalle parti civili. Cattafi è stato anche condannato a rifondere le spese sostenute dalle parti civili nel processo.

Il dispositivo.

“RIGETTA IL RICORSO E CONDANNA IL RICORRENTE AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI. CONDANNA, INOLTRE, L'IMPUTATO ALLA RIFUSIONE DELLE SPESE DI RAPPRESENTANZA E DIFESA SOSTENUTE NEL PRESENTE GIUDIZIO DALLE PARTI CIVILI: COMUNE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO, SPESE CHE LIQUIDA IN
COMPLESSIVI EURO 4.621,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE; COMUNE DI MAZZARRA' SANT'ANDREA, SPESE CHE LIQUIDA IN COMPLESSIVI EURO 4.429,00, OLTRE
ACCESSORI DI LEGGE; CENTROSTUDI ED INIZIATIVE CULTURALI PIO LA TORRE, SPESE CHE LIQUIDA IN COMPLESSIVI EURO 4.000,00 OLTRE ACCESSORI DI LEGGE; ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMILIARI VITTIME DELLA MAFIA, SPESE CHE LIQUIDA IN COMPLESSIVI EURO 2.000,00 OLTRE ACCESSORI DI LEGGE”.

Le dichiarazioni del legale di Cattafi.

Il suo difensore, l’avvocato Salvatore Silvestro, ieri ha rilasciato una breve dichiarazione: «Posso soltanto dire che resto sorpreso che possa ritenersi attendibile un collaboratore come D’Amico, il quale davanti la Corte di appello di Messina rende una dichiarazione e poi ne rende un’altra completamente diversa, riferendo fatti appresi da un morto… questa è la correzione che ha indotto la Cassazione a sconfessare sé stessa».

"Il suo importante ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e il potere legale".

Cattafi fu arrestato il 24 luglio 2012 su richiesta della Dda di Messina con l'accusa di capo dell'organizzazione mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. Condannato a dodici anni di reclusione, per effetto della diminuzione del rito abbreviato, dal gup di Messina il 16 dicembre 2013, aveva ottenuto la riduzione della condanna a sette anni e l'esclusione dell'aggravante di capoclan dalla Corte di appello di Messina il 24 novembre 2015. L'1 marzo 2017 la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, accogliendo il ricorso del difensore di Cattafi, l'avvocato Salvatore Silvestro, annullo' la sentenza con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria. La Corte reggina il 6 novembre 2021 confermo' la condanna di Cattafi con una motivazione che sottolineo' il suo importante ruolo di cerniera fra Cosa Nostra e il potere legale, rideterminando la pena in sei anni di reclusione.

I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria scrissero nelle motivazioni della sentenza come Rosario Pio Cattafi, «almeno dall’ottobre del 1993 al marzo del 2000, abbia fatto parte della cosca mafiosa barcellonese».

La sentenza venne impugnata dalla difesa di Cattafi. Nel corso dello stesso processo, denominato "Gotha 3", Rosario Cattafi e' stato condannato anche per calunnia, commessa ai danni dell'avvocato Fabio Repici e del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. Per la calunnia la sua condanna e' diventata irrevocabile gia' l'1 marzo 2017.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA D'APPELLO.

"Non ci sono dubbi" sul fatto che Rosario Pio Cattafi, almeno dall'ottobre del 1993 al marzo del 2000, abbia fatto parte della cosca mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), non solo come persona di fiducia del boss Pippo Gullotti (di cui era stato testimone di nozze) ma anche, dopo l'arresto di quest'ultimo avvenuto nel febbraio del 1998, come "riferimento di spicco dell'organizzazione" per gli altri affiliati e storici vertici, "assumendo compiti e rapporti con le Istituzioni deviate e i colletti bianchi".

E' quanto si legge nelle motivazioni con cui la Corte d'Appello di Reggio Calabria (presieduta da Filippo Leonardo, consiglieri Adriana Trapani e Antonino Laganà) il 6 novembre 2021 ha condannato Cattafi a 6 anni di carcere per associazione di stampo mafioso. Una sentenza, alla luce delle 116 pagine depositate in cancelleria, maturata grazie e soprattutto al contributo dichiarativo di cosi' tanti collaboratori di giustizia che "e' davvero arduo accreditare la tesi secondo cui l'imputato sarebbe vittima di un ordito complotto ai suoi danni".

Tra i tanti pentiti, il collegio 'valorizza' la figura di Carmelo Bisognano (ex capo del clan dei 'Mazzarroti') che "nel tempo ha fornito ampie, confermative e dettagliate affermazioni in ordine alla partecipazione di Cattafi al sodalizio mafioso".

E analogo discorso vale anche per il collaboratore Carmelo D'Amico, che faceva parte dell'ala militare esecutiva del gruppo, "secondo il quale Cattafi aveva il compito di gestire i rapporti, per conto della cosca, con i cosiddetti 'colletti bianchi', pur non essendo lui un colletto bianco, visto che il boss era a tutti gli effetti un uomo d'onore... un associato". D'Amico e' stato ritenuto attendibile anche quando ha affermato che "Cattafi era a capo di una potente loggia massonica che, comprendendo uomini politici e personaggi delle Istituzioni e dei servizi segreti, dimostra il livello del personaggio in esame". Due esempi tra tutti: "Cattafi era uno dei pochi sodali a conoscere il luogo dove Nitto Santapaola trascorreva la sua latitanza". Tanto e' vero che, all'indomani della cattura dello stesso Santapaola, D'Amico "venne convocato da Gullotti che, su mandato dei vertici di Cosa Nostra, gli affido', quale killer esperto e fidato, il compito di uccidere Cattafi, sospettato di aver tradito Santapaola di cui conosceva il rifugio". Incarico poi rientrato perche' Cosa Nostra scopri 'il vero responsabile' del tradimento.

Il secondo esempio, che acclara la "credibilita' del narrato di D'Amico", e' legato alla morte del dottor Attilio Manca, l'urologo 34enne che Cattafi avrebbe accompagnato, su incarico di un generale dei carabinieri, presso il luogo in cui era rifugiato Bernardo Provenzano, che aveva bisogno di cure urgenti. "Per evitare che si potesse disvelare il rifugio di Provenzano - scrive la corte d'appello di Reggio Calabria nelle sue motivazioni -, Manca e' stato ucciso dai servizi segreti. Da qui il "risentimento", riferito da D'Amico alla corte, del cognato di Gullotti, cioe' il medico di base Salvatore Rugolo (deceduto nel 2008 in un incidente stradale) che considerava Cattafi "moralmente responsabile" della morte di Manca (avvenuta nel 2004) per i rapporti che aveva con le istituzioni deviate. E ancora, D'Amico racconto' che, nel carcere milanese di Opera, il boss palermitano Antonino Rotolo "gli confermo' che Provenzano era stato curato in Francia da Manca, poi ucciso dai servizi segreti". Per la corte e' importante anche evidenziare, proprio in riferimento alla morte di Manca, che nel 2004 "non c'erano dubbi sull'intranita' alla cosca di Barcellona da parte di Cattafi", andando ben oltre il periodo storico (1993-2000) oggetto di contestazione processuale.

Nei 6 anni di reclusione inflitti dai giudici di appello calabresi che erano partiti da 9 (poi ridotti di un terzo per la scelta del rito), va ricordato che e' compresa anche la condanna a un anno e mezzo di reclusione in ordine alla calunnia commessa da Cattafi per aver falsamente accusato l'avvocato Fabio Repici (parte civile in questo processo) di aver determinato la collaborazione di Carmelo Bisognano, al fine di indurlo a rilasciare nei confronti dello stesso boss alcune dichiarazioni accusatorie. "Tale ultimo delitto - si legge nelle motivazioni - e' stato accertato in via definitiva, avendo la Cassazione disposto il rinvio al fine di determinare il trattamento sanzionatorio, dipendente dal giudizio in ordine al delitto associativo".

A Cattafi non sono state concesse le circostanze generiche "attesa la gravita' dei delitti commessi e in assenza di alcun reale contributo collaborativo, da lui reso, in favore dell'accertamento della verita' dei fatti, salvo ovviamente il legittimo diritto di difendersi, proclamando la propria innocenza".