Via d’Amelio: pm nisseni chiedono archiviazione di Maurizio Avola, l’ultimo ‘corvo’ della strage
di Jamil El Sadi - Maurizio Avola, l’ultimo “corvo” di via d’Amelio, è stato messo a tacere dalla richiesta di archiviazione avanzata dai pm di Caltanissetta al gip per l’ennesima inchiesta sulla Strage che costò la vita al magistrato Paolo Borsellino e agli agenti di scorta, partita proprio dalle sue esternazioni. Dichiarazioni fuorvianti che sono state inserite nel libro dello storico giornalista Michele Santoro “Nient’altro che la verità” (ed. Marsilio), scritto assieme al contributo di Guido Ruotolo. "Io posso dire che c'ero e sono uno degli esecutori materiali della strage di via d'Amelio. E sono l'ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino prima di dare il segnale per l'esplosione". Sono queste alcune delle parole dell’ex killer di Cosa nostra catanese, con cui nel 2021 - in maniera tardiva e rocambolesca - ha tentato di riscrivere la storia delle stragi messe in atto dalla mafia nei primi anni ’90. Già qualche anno prima aveva raccontato nuovi risvolti sulla morte del giudice della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto 1991, in località Piale di Villa San Giovanni, su Matteo Messina Denaro e sulla strage di Capaci, tanto da essere stato sentito nei processi 'Ndrangheta stragista e Capaci bis.
Ma a differenza di quanto testimoniato nel corso di altri processi, in cui è risultato attendibile e veritiero, con quanto dichiarato a Santoro, che ne ha ampiamente dibattuto nello speciale “Mafia - La ricerca della verità” realizzato dal TgLa7 e da La7 condotto da Enrico Mentana con la presenza anche di Fiammetta Borsellino (figlia del magistrato), la Procura nissena aveva diramato un comunicato ufficiale in cui si affermavano le falsità dette da Avola rispetto al suo coinvolgimento nella strage di via d'Amelio. Dichiarazioni per cui lo stesso Avola ha rischiato di essere indagato per calunnia e autocalunnia avendo additato anche Aldo Ercolano e Marcello D’Agata. Tutti e tre sono stati iscritti come indagati nell’inchiesta che ora è sul tavolo del gip per ricevere il timbro “archiviazione”.
A raccogliere i primi verbali di Avola sulla strage di Via d’Amelio fu il procuratore nisseno Amedeo Bertone, uno del pool dello storico processo Orsa Maggiore che portò alla sbarra il gotha della mafia catanese. A gennaio 2019, il pentito catanese si è presentato a Roma davanti a Bertone e ai magistrati del pool stragi che era composto dall’aggiunto Gabriele Paci e da Pasquale Pacifico.
Fin da subito abbiamo evidenziato come le dichiarazioni di Avola, oltremodo tardive, rappresentassero l’ennesimo tentativo di depistaggio delle indagini che ancora oggi faticano a dare un volto e un nome ai mandanti esterni all’eccidio e a coloro che - con molta probabilità - in veste istituzionale hanno prelevato l’agenda rossa di Paolo Borsellino per poi “perderla” durante un imprecisato passaggio di mano della valigetta di pelle che la conteneva. Ed ora, a mettere la parola fine alle spocchiose dichiarazioni - come si è sempre definito lo stesso Avola - è l’istanza di archiviazione. I racconti di Avola sulla strage del 19 luglio 1992 non hanno trovato alcun riscontro oggettivo dagli accertamenti investigativi sia di natura documentale che storica.
Parole senza riscontro.
"Borsellino scende dalla macchina e lascia lo sportello aperto - disse il pentito catanese -. Io mi fermo, mi giro e lo guardo, mi accendo una sigaretta. Lo guardo, mi giro e faccio il segnale, verso il furgone a Giuseppe Graviano e vado a passo elevato. Mi dà 12 secondi per allontanarmi. Ho avuto la sensazione che Emanuela Loi ha visto il led rosso dell'auto, lei alza il passo e non capisco se sta andando verso la macchina. A quel punto mi sono allontanato. Se non esplodeva la macchina avrebbero attaccato con i bazooka".
Già da queste affermazioni sorgevano alcune perplessità. Perché nelle testimonianze di Antonio Vullo, l'agente sopravvissuto all'attentato, non vi è il dato dello sportello della macchina lasciato aperto dal giudice. E se così fosse stato sarebbe stato anche facile ipotizzare che la borsa del giudice all'interno dell'auto non sarebbe stata ritrovata pressoché intatta. Ma è un'altra affermazione di Avola che non solo ci ha lasciato perplessi, ma ci fa fortemente dubitare del dichiarato del collaboratore di giustizia. "Il nostro ottavo uomo - ha affermato - era lo Stato non i servizi segreti. Hanno fatto una ricostruzione diversa, posso giurare che non c'erano uomini dei servizi. Io dovevo fare la guerra allo Stato".
E poi ancora ha affermato di essere stato lui a caricare la macchina, la Fiat 126 che rubò Gaspare Spatuzza, di esplosivo sconfessando quel che disse lo stesso ex boss di Brancaccio rispetto alla presenza di un uomo “non di Cosa nostra” all'interno del garage in via Villasevaglios. Oltre a parlare di sopralluoghi tecnici, Avola parlò a lungo con Bertone anche dell’incontro avvenuto il 17 luglio 1992 – due giorni prima della strage – in un appartamento proprio nei pressi del garage di via Villasevaglios a Palermo “dove c’erano tanti pupazzetti rosa”. Sotto quella palazzina Avola ci è andato con gli uomini della Dia di Roma – secondo quanto accertato –, ma indicando i posti agli inquirenti ha sbagliato.
“Io credo che lui abbia visto Aldo Ercolano - ha detto -. Io ero al garage e lui non era un uomo d'onore. Ha detto una rilevante parte, ma non era un esecutore materiale della strage e non può sapere alcuni retroscena della strage Borsellino. O ha visto me o Aldo Ercolano. Lo dico con certezza. Non c'era nessuno dei servizi, ma solo boss e tutti di Cosa nostra”. Poi ha anche parlato dell'esplosivo usato e della preparazione dell'auto.
Nel comunicato viene citato anche il fatto: l'accertata presenza di Avola a Catania, "addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell'ex collaboratore egli, giunto a Palermo nel pomeriggio del venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all'interno di una abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la Fiat 126 poi utilizzata come autobomba". Il Procuratore facente funzioni di Caltanissetta Gabriele Paci si disse colpito da Avola, che “anziché mantenere il doveroso riserbo su quanto rivelato a questo ufficio, abbia preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di Via d'Amelio, oltre a quello di Messina Denaro, Graviano e altri, attraverso interviste e la pubblicazione di un libro. Lascia altresì perplessi che egli abbia imposto autonomamente una sorta di 'discovery' compromettendo così l'esito delle future indagini, dopo che l'ufficio aveva provveduto a contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori che inducevano a dubitare della veridicità di tale sua ennesima progressione dichiarativa".