Sebastiano Ardita: ”41-bis sotto attacco ed ergastolo ostativo ridimensionato”
Il procuratore aggiunto di Catania ospite a Lipari per presentare il suo libro "Al di sopra della legge".
Di Luca Grossi - In questi gironi sta avvenendo "la caduta degli strumenti più importanti che negli anni sono stati posti a presidio delle libertà e della autorevolezza dello Stato": “Il 41 bis è sotto attacco. L'ergastolo ostativo sta subendo un forte ridimensionamento. Ci sono dei forti tentativi di ridimensionare l'apparato investigativo e repressivo dello Stato". Ma uno dei problemi più gravi è che "il carcere non fa il suo dovere in questo momento".
Sono state queste le parole del procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, già membro togato del Csm e direttore dell'ufficio detenuti, durante la presentazione del suo libro "Al di sopra della legge" a Lipari. L'evento è stato organizzato dall'associazione culturale "Città Invisibili" in collaborazione con il "Centro Studi Eoliano".
A colloquiare con l'autore sono stati Antonella Longo e Alessio Pracanica.
Il mio problema principiare era di garantire una vita serena "ai 70 mila detenuti, anche ai 7 mila mafiosi" con un occhio alla "rieducazione che era più facile per i 63 mila" che non "per i settemila mafiosi, ma bisognava comunque provare" ha detto il magistrato sottolineato che ci sono stati dei gravi arretramenti nella gestione dell'ambiente penitenziario da parte dello Stato.
In carcere vi sono due ordinamenti: "Uno è quello previsto dalla legge, che funziona finché lo Stato è presente, finche gli agenti sono presenti, finché il direttore del carcere è presente, con gli educatori". "Quando vanno via scatta l'altro ordinamento, quello dei detenuti" quello "della mafia, quello dell'organizzazione criminale". "Dentro al carcere lo Stato comanda. È il presupposto di qualunque forma rieducativa. Immaginate se un maestro dovesse dire 'fate voi la disciplina, regolatevi da voi'. Ognuno sale sui banchi, sputa, si picchiano, che è quello che succede nelle carceri in questo momento. Dove c'è l'autogestione della sicurezza interna". "L'idea che ci possa essere un regime con le celle aperte - ha ribadito Ardita - con gli agenti fuori dalla sezioni, fuori dal carcere sostanzialmente, è una follia perché intanto viola la privacy della persone: io devo preoccuparmi non che abbiano più spazio, ma del fatto che ciascuno abbia il suo spazio. Cioè la sua dignità e la sua integrità. Perché il carcere è un posto in cui possono avvenire anche cose brutte, sottomissioni, violenze, anche sessuali". "Nessuno può denunciare un abuso subito, se poi rimane solo con le persone che lo hanno prodotto". "Subirà ancora altre violenze, perché lo Stato non è presente".
Eventi critici non più pubblicati dal 2015
"Durante la mia esperienza al Consiglio Superiore della Magistratura era stato fatto presidente della commissione che si occupava di esecuzione penale" e "avevo chiesto i dati all'amministrazione penitenziaria, i dati critici. Cioè quelli che io quando stavo al Dap pubblicavamo ogni sei mesi, suicidi, tentati suicidi, reati commessi dai detenuti, aggressioni, atti di autolesionismo o mancato rientro dal permesso che è una spia molto delicata della qualità della vita in carcere. Mi dissero: non li abbiamo", non "vengono più pubblicati" dal 2015, "l'anno in cui iniziò a diffonderei in modo sistematico la circolare delle celle aperte, l'autogestione". "Quindi dal 2015 gli eventi critici non vengono più pubblicati. Non ci vuole uno Sherlock Holmes per capire che forse ce un nesso di casualità tra le due cose e gli eventi critici. Li ho chiesti al garante dei detenuti. Mi sono spaventato quando li ho visti perché alcuni indici si sono quadruplicati: i reati che erano stati commessi e danno degli agenti penitenziari, che erano 3000 tra il 2015 e il 2021. Gli atti di autolesionismo si erano decuplicati. Quando una persona si fa del male? Quando chiede aiuto ma no può dirlo. Quando vorrebbe denunciare ma non può farlo. I mancati rientri dal permesso sono violazioni gravissime" ma "per non rientrare dal permesso vuol dire che dentro è un inferno: 'io no voglio tornare a costo di rovinarmi il percorso di rieducazione'". "Tutte queste erano cresciute all'impazzata".
La giustizia ripartiva
La giustizia ripartiva è "una cosa molto seria, ma leggerla come è stata scritta nell'ultima legge Cartabia è un'offesa, un oltraggio alle vittime perché permette all'indagato (quindi non chi è stato condannato con sentenza definitiva ndr) di essere ammesso a percorsi di giustizia ripartiva: io vengo arrestato per stupro, per violenza o per omicidio e posso incontrare le persone, la vittima, o i parenti del morto quando neanche c'è stato un processo. Ma come si fa a concepire una cosa del genere?".
"Qui si gioca con la vita delle persone. È un problema che nel nostro Paese non è chiaro a nessuno: se io provoco con un atto di superficialità la liberazione di una persona che uccide io sono responsabile, anche moralmente di quello che sta accadendo" ha detto il procuratore aggiunto ricordando il caso di un mafioso che, dopo aver commesso svariati omicidi ("bruciava le vittime sui copertoni dei camion") era uscito dal carcere dopo ventisette anni: aveva "detto che la sua vita era cambiata" ma il giorno che è uscito dal carcere "ha riorganizzato la cellula di cosa nostra e ha messo a ferro e fuoco un paesino vicino a Catania. Ha sequestrato un imprenditore, lo ha portato in campagna con altri quattro mafiosi, lo hanno torturato e umiliato, lo hanno fatto inginocchiare nudo, lo hanno strangolato con una garrota e poi lo ha bruciato sui copertoni dei camion. Cioè la stessa cosa che aveva fatto per sei volte". "Il nostro è un Paese capovolto - ha detto concludendo il magistrato - perché rispondiamo con atteggiamenti di dismissione a personaggi violenti, a capi criminali violenti, gli regaliamo la libertà, e invece a persone che potrebbero essere migliorate regaliamo le celle aperte, cioè la tortura e la violenza sessuale". Fonte: antimafiaduemila.com