La confisca dei beni dei Bonaffini: Era «… una motivazione del tutto carente»
Una motivazione «… del tutto carente e priva dei requisiti minimi di coerenza e logicità tale da risultare meramente apparente». Una motivazione «… che impone una nuova valutazione, alla luce della intervenuta revoca della confisca della società “Pescazzurra” e della avvenuta rivisitazione, da parte della stessa corte di appello, dell’originario prospetto di calcolo utilizzato dal Tribunale».
Ecco perché, in estrema sintesi, nel novembre del 2023 la 5° sezione penale della Cassazione si pronunciò per la terza volta sulla confisca di beni al gruppo imprenditoriale di Sarino Bonaffini, che come primo atto vide il maxi sequestro nell’ormai lontano ottobre del 2011, per un valore stimato di 450 milioni di euro. In quella sede i giudici romani annullarono integralmente con rinvio, per un nuovo procedimento davanti alla corte d’appello. E adesso sono state rese note le motivazioni di quella decisione, che accolse il ricorso dell’avvocato Salvatore Silvestro e degli avvocati Carlo Autru Ryolo e Isabella Giuffrida. All’epoca anche il procuratore generale si pronunciò per l’accoglimento dei ricorsi.
Già nelle puntate giudiziarie precedenti, rispetto al compendio globale che fu sequestrato in origine, si sono registrati per un verso la restituzione di tutti i beni al socio storico di Bonaffini, il gruppo Chiofalo, e più di recente, nel maggio 2023, la stessa corte d’appello di Messina ha restituito una parte dei beni cui erano stati apposti i sigilli in origine.
E un’altra tappa giudiziaria del maxi sequestro Bonaffini-Chiofalo, in questo caso sul piano penale, si è consumata nell’ottobre del 2021, con quattro assoluzioni con la formula «perché il fatto non sussiste» decise dalla corte d’appello di Reggio Calabria nei confronti degli imprenditori Gaetano Chiofalo e Domenico Chiofalo, Sarino Bonaffini e Angelo Bonaffini.