21 Maggio 2024 Giudiziaria

Stragi 93: indagato a Firenze generali Mori

Il generale dei Carabinieri Mario Mori, ex comandante del Ros, è indagato a Firenze nel fascicolo aperto sulle presunte complicità esterne delle stragi mafiose del 1993. A renderlo noto è lui stesso: “Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto dalla Procura della Repubblica di Firenze un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico”. L’indagine in corso nel capoluogo toscano, coordinata dai procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli, ha l’obiettivo di individuare i presunti ispiratori politici delle bombe mafiose di via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e san Giovanni in Laterano e san Giorgio al Velabro nella Capitale. Nel fascicolo, già archiviato e riaperto più volte, è indagato il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e, fino alla sua morte, lo era anche l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Mori è stato già processato e assolto in via definitiva (dopo una condanna a 12 anni in primo grado) nel procedimento sulla Trattativa Stato-mafia, in cui era accusato di violenza e minaccia a un corpo politico dello Stato per aver trasmesso (insieme agli alti ufficiali Giuseppe De Donno e Antonio Subranni) ai governi in carica la minaccia di Cosa nostra: altre stragi e altri omicidi eccellenti se non fossero state allegerite le condizioni carcerarie dei detenuti appartenenti ai clan.

Nel capo d’accusa redatto dai pm fiorentini si legge che il militare, “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano, nonché il fallito attentato allo stadio Olimpico, “sebbene fosse stato informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”.

“Quelle a mio carico, com’è agevole a tutti comprendere, sono accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni”, commenta il generale. “Dopo una violenta persecuzione giudiziaria che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita. Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di cinque pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche“, attacca, in riferimento alle motivazioni della Cassazione sul processo Trattativa.