11 Giugno 2024 Giudiziaria

Non ci fu alcuna ipotesi di bancarotta. Assolti l’ex assessore Pizzo e la Romano. In primo grado erano stati condannati a 4 anni e mezzo

In quel contesto societario di ditte sanitarie si trattò di «vere e proprie scelte imprenditoriali adottate dalla dirigenza della “Sanagroup srl”», e non ci fu alcun intento di spogliare il patrimonio per i futuri creditori fallimentari. Si trattò cioè di «riallocazioni societarie» e non di «condotte distrattive». E oltretutto giocò un ruolo determinante la tempistica degli avvenimenti finiti tra le carte del processo, visto che i fatti contestati per l’ipotetica bancarotta si riferivano fra l’agosto e il novembre del 2010, mentre il mancato pagamento della compravendita della casa di cura “Cappellani”, divenne inaspettatamente concreto solo tra il febbraio e il marzo del 2011, portando al fallimento.

Sono probabilmente questi i due ragionamenti-chiave che hanno portato la sezione penale della corte d’appello, presieduta dal giudice Antonino Giacobello e composta dai colleghi Luana Lino e Carmine De Rose, a ribaltare completamente la sentenza di condanna del primo grado. I giudici hanno infatti assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” l’ex assessore regionale ai Trasporti Giovanni Pizzo e Grazia Romano, in qualità di amministratori della “Sanagroup srl” che era proprietaria all’epoca della casa di cura “Cappellani” e la rivendette per 3 milioni di euro al gruppo Giomi Spa. In primo grado, nell’ottobre del 2022, con l’ipotesi di bancarotta per distrazione aggravata e continuata, furono condannati entrambi a 4 anni e mezzo di reclusione, sul presupposto di aver messo in pratica “condotte distrattive” per complessivi 704mila euro.

Nelle motivazioni delle sentenza d’appello, scritte dal giudice De Rose, a fronte di una richiesta di conferma della condanna di primo grado da parte dell’accusa, vengono praticamente accolte in toto le motivazioni dei loro legali, gli avvocati Carmelo Scillia e Salvatore D. Giannone. I quali, sin dal primo grado avevano spiegato in sintesi che la “natura di holding della Sanagroup srl aveva reso necessarie scelte operative immediate, specie in campo patrimoniale e finanziario, del tutto tese alla salvaguardia delle società consociate, materialmente operanti nel settore sanitario con strutture all’avanguardia ed ampio bacino di utenza”. In quel determinato momento storico - hanno argomentato ancora gli avvocati Scillia e Giannone -, con la vendita della clinica privata Cappellani al gruppo Giomi Spa i due amministratori della società sanitaria effettuarono un’operazione finanziaria dell’importo complessivo di oltre tre milioni di euro a fronte di un fattore che faceva prevedere un futuro non roseo al comparto, per la contrazione dei finanziamenti erogati dal Servizio sanitario nazionale e dalla Regione Siciliana, con la conseguente riduzione del budget a disposizione del gruppo.

E il rifinanziamento della Ati Hospital con la prima tranche del pagamento - hanno ancora ragionato i due legali -, l’unica società residua estremamente produttiva che operava nel settore oncologico, non fu una condotta distrattiva ma la necessità di mantenere la società in piena funzionalità, perché era l’unico asset dotato di spiccata produttività e redditività.

Nelle motivazioni della sentenza il giudice De Rose fa anche riferimento alla testimonianza in aula dopo la riapertura del dibattimento del prof. Guglielmo Faldetta, che è stato consulente nel procedimento in sede civile, il quale ha chiarito la liceità dell’operazione contestata in origine dall’accusa. Il giudice parla tra l’altro di «finalità gestionali ed operative delle risorse societarie, necessarie per la salvaguardia degli interessi imprenditoriali di società collegate... laddove più che di depauperamento sic et simpliciter, risulta invero più corretto parlare di riallocazione infragruppo delle risorse finanziarie disponibili in capo alla società amministrata dagli imputati».