L’intervista – INTI-ILLIMANI: Nelle lotte per l’ambiente la seconda giovinezza del Pueblo Unido
Di Tonino Cafeo - Un mito che si rinnova, quello degli Inti Illimani: cinquantasette anni di attività, centinaia di canzoni entrate nella storia, una su tutte, El pueblo unido, vero e proprio inno di resistenza al fascismo e alle dittature militari. Il gruppo cileno non è mai stato semplicemente un gruppo folk ma si è identificato con la lotta per la democrazia e la giustizia sociale. Oggi anziché limitarsi a celebrare una vicenda artistica e umana più che dignitosa vanno ancora in giro per il mondo a cantare per la pace e contro gli effetti del cambiamento climatico.
Li abbiamo incontrati a Messina al termine di un tour italiano ricco di soddisfazioni. A parlare del passato, del futuro ma anche del nuovo disco Agua, registrato in vinile- come si conviene a chi è a tutti gli effetti un classico contemporaneo- uno dei fondatori, Marcelo Coulòn Larranaga e Giulio Wilson, nato nel 1983 a Firenze, particolare figura di cantautore “old school”, che ha scritto gran parte dei nuovi brani e li ha eseguiti insieme alla storica formazione in tutti i concerti.
Che bilancio fate di questo viaggio in Italia oramai alle battute finali?
Giulio: Io ovviamente salgo su un cavallo che galoppa, perché non ho la stessa notorietà che hanno loro. Molte persone che arrivano ai concerti non mi conoscono, perciò devo essere all'altezza della situazione e non è facile. Però vedo che, nonostante ci siano delle canzoni nuove, vengono recepite molto bene. In realtà non è facile mai attrarre al primo ascolto chiunque, perché non è umano. Le persone hanno bisogno di sentire più volte la canzone. E queste canzoni hanno questo denominatore comune, che è quello anche dell'immediatezza. Quindi non sono canzoni eccessivamente complicate da comprendere: hanno un linguaggio molto semplice, che io reputo anche molto latino-americano, come le poesie di Neruda.
Quindi questa capacità di arrivare in profondità con una certa leggerezza, andando dritto, con la tenerezza che c'è spesso nelle parole dei più importanti scrittori sudamericani.
Marcelo: Io direi che gli Inti Illimani sono un cavallo che ha bisogno di chi lo monta abbia una mano potente per guidarlo e portarlo alla meta, no?
Questo è un momento molto importante. Penso che gli Inti Illimani, questa lunga storia chiamata Inti Illimani, stiano vivendo la loro seconda giovinezza. Sì, perché ritroviamo i nostri vecchi amici e però incontriamo anche i nipoti degli amici di un tempo.
Non è facile fare un concerto con sette/ otto canzoni nuove per un pubblico che magari si aspetta il classico concerto degli Inti Illimani, il revival. Tanti che vengono a sentirci non sanno che questo è un lavoro nuovo meraviglioso fatto tutti insieme, noi e Giulio.
Le canzoni sono il frutto di una mescolanza anche di lingue: metà in italiano, metà in spagnolo, qualcuna anche in itagnol (il dialetto degli italo ispanici. N.d.r.)
È veramente un'esperienza incredibile. Compreso quello di Messina abbiamo fatto 41 concerti.
Vengono a vedervi persone di tutte le età: i vecchi fans e i loro figli e nipoti. Se, parafrasando la canzone degli Stadio, una ragazza di quindici anni chiedesse “chi erano gli Inti Illimani” che cosa rispondereste?
Marcelo: In un piccolo libro che mio fratello Jorge ha scritto con Federico Bonadonna c’è una risposta: Gli Inti Illimani erano una buona idea.
I componenti del gruppo possono cambiare ma resta l’idea. Un’ identità molto forte che consiste nell’eredità di Victor Jara, di Violeta Parra e degli altri componenti del movimento della Nuova Canzone Cilena. È impossibile tradire una tradizione così bella in cui il canto avrà sempre un senso molto chiaro. Il canto è la vita.
Sei d’accordo Giulio?
Si, assolutamente. L'eredità storica che portano loro avanti non ha scadenza. Anzi, è un valore aggiunto a maggior ragione in una società in cui è diventato quasi più di nicchia rispetto al passato, quando era sulla bocca di tutti.
È come la lava dell’Etna: è lì, pronta ad esplodere, però è sempre calda. E poi gli Inti Illimani rappresentano qualcosa che oggi si è persa: il buon gusto.
Voglio dire, loro riescono a essere come una bussola che ti indica il valore di un'opera d'arte, che è tale non solo perché è fatta bene, perché ci sono dietro un lavoro sulle emozioni, una ricerca di senso che si vede nell'uso del linguaggio, nel suonare dal vivo e non usare le basi e l’elettronica. In sintesi, è il frutto di una storia di vita vissuta che dura da mezzo secolo e ha pochi termini di confronto.
E Giulio Wilson invece chi è?
Giulio: Beh, innanzitutto uno che scrive canzoni. Poi oltre a scrivere canzoni sono anche un po' stratega.
Entro in un progetto e magari inconsapevolmente ne divento un po' partecipe ma non perché per forza io debba stare al centro. È una cosa che mi succede in tutto ciò che faccio, anche nell'agricoltura.
Mi piace interagire con le persone, mi piace creare un buon clima, mi piace rispettare gli altri e non prevalere. Non solo in termini artistici ma proprio umanamente.
Che cosa vi ha fatto incontrare e decidere di fare questo tour?
Giulio: Io scrissi una melodia molto andina, quasi un po' nativa, mi ricordava quelle degli indiani d'America. Non so perché subito mi è scoccata la voglia di mandarla agli Inti Illimani.
Per cui mandai questa canzone con un’e-mail, penso che l'abbiaascoltata Jorge Coulòn, il fratello di Marcelo, che rispose di averla trovata interessante. Jorge era a Roma. Era venuto per un altro progetto, così ci siamo incontrati e da lì abbiamo deciso di lavorare insieme e mi ha invitato a Santiago del Cile per registrare. Un’esperienza bellissima e coinvolgente per me. Così abbiamo realizzato in un giorno di registrazione il primo brano che è Vale la pena, un semplice inno alla vita.
E da lì è nata questa voglia di fare qualcosina in più. Abbiamo fatto un tour, che era il Vale la pena tour, dove io facevo soltantoun piccolo monologo iniziale e suonavo il brano Vale la pena con loro. Ho preso un po' di fischi, giustamente perché le persone non mi conoscevano, ero un po' un intruso.
In seguito, ho iniziato a pensare a come scrivere delle nuovecanzoni per Inti Illimani. Una cosa che non è semplice, perché houna cultura melodica, da cantautore italiano. Ma alla fine è venuto fuori un compromesso dove c'è un po' di italianità, un po' di cose cantautorali, un po' di tristezza a volte, un po' di malinconia…
Come la saudade dei brasiliani
Sì. E poi loro, ovviamente, hanno messo tutta la loro identità musicale, abbiamo condiviso poi i testi e li abbiamo analizzatiparola per parola, cambiando anche quello che non ci sembrava giusto. Infine, ci siamo chiusi in una casa a Santiago per un mesee abbiamo inciso il disco. È stato divertentissimo.
Marcelo: Questo incontro musicale ci ha fatti arrivare a un punto fantastico in cui due culture si sono mescolate benissimo. Giulio ci ha dato un po' di gioventù, visto che oggi per noi a settant’anni fare i rocchettari è un pochino complicato… comunque soprattuttoè stata una gioia suonare insieme e di fare un disco che è moltoonesto e che parla di cose importanti, non necessariamente controun singolo politico. Anzi le nuove canzoni non sono contro nessuno, sono solo un richiamo a noi tutti per salvare questa terra che è così martoriata.
In effetti l'impressione che si ha dopo aver sentito il concerto è quella di grande armonia fra la tradizione che voi rappresentate e l'affrontare i problemi nuovi, i problemi dell'ambiente, l'acqua, la desertificazione. Voi siete legati, è un dato di fatto, alla storia del Cile, alla storia del Cile democratico, al Presidente Allende, che avete ricordato in tutte le tappe del tour
Che rapporto pensate ci sia fra la vostra tradizione, le lotte operaie, sociali e questa nuova dimensione globale di difesa del pianeta? Come la vivete il rapporto fra queste due dimensioni?
Marcelo: quando Giulio ci ha proposto questa nuova canzone, Vale la pena, il Cile stava vivendo un momento molto forte, un... un levantamiento popolare che poi ha portato all’elezione di Gabriel Boric alla presidenza e al processo di riforma della Costituzione. Abbiamo capito che questo disco era da fare subito. Perché... il bello che io trovo di questo... di questo linguaggio è che non è soltanto un linguaggio politico, è il linguaggio dell'umanità, di una nuova sensibilità, che dà un senso diverso alla vita e si oppone a questo egoismo feroce che c'è adesso e che è ciò che sorregge il sistema neoliberista.
Allora si può credere che una canzone non cambierà nulla. Però è una voce che va e che va e che va, e ripete sempre un messaggio e alla fine lascerà qualcosa. Per esempio quando mio fratello Jorge parla della Palestina lo fa senza alcun riferimento evidente.
Parla di quella canzone che dice che quando un bimbo dormeognuno sta zitto ma quando i bambini vengono massacrati bisogna gridare. Questo è lo spirito del nostro lavoro. Le stesse parole prendono nuovi significati perché cambiano le circostanze. Non si dorme quello che è stato fatto.
Giulio, Il tuo punto di vista sul rapporto tra tradizione e futuro?
Giulio: Io sono molto più legato al passato che al futuro, nel senso che credo di avere proprio una sensibilità gucciniana cioè rivolta più all'emozione di quello che è stato vissuto piuttosto che al presente. Io do valore al passato, non so perché, a me le cose vecchie piacciono di più, sono collezionista di cose vintage, di macchine, mi piacciono gli odori dell'olio, del vino, mi piace proprio il passato in generale.
Il futuro lo vedo meno grazioso, lo reputo più indifferente, anche individualista, con meno- come dicevo prima- buon gusto. Anche per quanto riguarda le persone, preferisco chi legge e scrive libri piuttosto che gli influencer.
Con queste idee sarà difficile interagire con i più giovani
Diciamo che il pubblico che preferisco è un pubblico maturo. Non riesco a arrivare ai giovani. Potrei arrivarci musicalmente e ogni tanto lo faccio, nel cassetto ho delle cos anche molto easy, persino trap, riesco a fare anche la trap, non è un problema.
Però non è quello che mi fa stare bene. è come andare in un posto e non respirare quella che io chiamo la cultura, il buon gusto, e allora non mi prende bene. Preferisco stare nelle mie vigne( Giulio Wilson è anche enologo e produttore di vini, N.d.R ) sto tranquillo lì e sono felice con me stesso.
Gli Inti Illimani sono stati accolti dall'Europa nel terribile 1973 del golpe militare. Era un'Europa che andava avanti. l'Italia aveva il partito comunista più forte d'Europa; Il fascismo cadeva in Portogallo, cadeva in Spagna, mentre da voi si affermavano le dittature militari, nel sangue, nella tragedia collettiva. Ti saresti mai aspettato 40 anni dopo di vedere invece l’avanzata dall'estrema destra in tutta Europa e la guerra in Ucraina?
Marcelo: guarda che è un cambiamento che riguarda tutto il mondo , in America Latina abbiamo un esempio terribile che è quello dell'Argentina. Milei tutti lo chiamano pazzo, ma è una pazzia molto calcolata, bisogna stare attenti. Allora io non parlo più tanto di sinistra o di estrema destra perché la percezionecomune non è più quella di una volta.
Allora, veramente, io faccio una scelta molto chiara: quella di non stare fermo nel passato con la nostalgia, ma di coltivare la memoria, perché se uno non ha memoria non ha futuro, senza memoria non c'è futuro.
E questo è il compito per noi: di continuare con il nostro lavoro e cercare di tenere accesa una piccola luce per la gente.
Per finire: che succede alla fine di questo tour? Avete ancora progetti insieme oppure ognuno per la sua strada?
Giulio: Ma chi lo sa, non si può prevedere il futuro . Sicuramente è stata un'esperienza per entrambi molto proficua. Loro sono tornati in Italia in pompa magna e si sono anche ripresi una fetta di mercato, di pubblico. Quella parte di Italia che li aspettava da anni.
Per quel che mi riguarda, io non mi fermo mai. Continuerò a scrivere per me e per altri artisti. Però come succede a tanti che lavorano assieme, non vuol dire che dopo un tot di tempo non si possa riproporre qualcosa. L’hanno fatto Venditti e De Gregoridopo cinquant'anni possono farlo anche Giulio Wilson e gli IntiIllimani!