17 Settembre 2024 Cronaca di Messina e Provincia

5 i colpi di pistolaLa morte di Michele Lanfranchi: spari sull’auto del proprietario della casa, il 40enne Giovanni Lagana’

Che per molti, all'interno del popoloso quartiere di Giostra, la tragica morte del 19enne Michele Lanfranchi la sera dell'1 giugno scorso, abbia creato tensioni e contrasti, lo si era capito fin da subito. Dal giorno successivo. Che si fosse creata un rottura netta tra chi considera Giovanni Laganà, che è il proprietario dell’abitazione di via Rizzo dove a giugno si è verificata in circostanze ancora poco chiare la tragica morte del 19enne, che a quanto pare si sarebbe sparato accidentalmente un colpo di pistola con una 7.65 con matricola abrasa mentre la mostrava al suo amico, da quella sera l'assassino 'du picciriddu', il responsabile della morte del giovane Michele, e chi lo considera solo il testimone di un tragico incidente, lo avevamo raccontato in un articolo del 5 giugno (che ripubblichiamo sotto). "U mazzau to patri e buttato fuori casa come un cane, come un sacco i munnizza", scrissero in quei giorni in tanti alla figlia sulle pagine social della ragazza, 'quel bastardo di tuo padre...'. Un clima teso che da quella notte non si è mai più rasserenato.

C'è chi, evidentemente, non ha mai creduto alla disgrazia. Tensioni che un paio di notti fa, sono sfociate in un attentato. Qualcuno ha sparato cinque colpi di pistola contro l’auto del quarantenne Giovanni Laganà. A questo episodio inquietante, che complica ulteriormente il quadro investigativo sulla vicenda, ci stanno lavorando i carabinieri che sono intervenuti l’altra notte subito dopo il fatto. L’inchiesta sul caso, lo ricordiamo, gestita dalla pm Liliana Todaro, con il coordinamento dell'aggiunto Vito Di Giorgio, non è ancora conclusa.

 

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Di Enrico Di Giacomo -  Col passare delle ore emergono maggiori particolari dalle indagini della procura, gestita dall'esperta pm Liliana Todaro, con il coordinamento dell'aggiunto Vito Di Giorgio, sulla morte del diciannovenne Michele Lanfranchi, trovato senza vita sabato scorso in una pozza di sangue sul marciapiede di via Rizzo, una traversa secondaria del viale Giostra dove al massimo ci puoi trovare un barbiere con l'insegna rossa, bianca e blu. Giovanni Laganà, il quarantenne proprietario del piccolo appartamento e testimone chiave, risulta da domenica anche indagato con l'accusa di omicidio. E' un atto dovuto, anche a tutela dell'indagato in vista delle successive fasi delle indagini. Allo stato non è stata richiesta alcuna misura. Ieri la pm Todaro ha conferito l'incarico al medico legale di eseguire nel pomeriggio di oggi, alle 17.30, all'ospedale Papardo, l'autopsia sul corpo di Michele Lanfranchi per l'esame autoptico e tossicologico, in attesa dei risultati dei rilievi scientifici sull'arma detenuta illegalmente, sul bossolo e sugli esami stub, ovvero i rilievi col guanto di paraffina sulle mani delle persone presenti in casa quella sera per verificare se ci sono residui di polvere da sparo. Inoltre si dovrà verificare la traiettoria del proiettile e se vi sono tracce di materiale biologico e segni di colluttazione con terzi. E' stato autorizzato anche l'esame della tac per individuare la sede del proiettile. Il consulente di parte è il dott. Giovanni Crisafulli. Sarà fondamentale il deposito della relazione tra 60 giorni per capirne di più. Sono infatti ancora troppi i dubbi da chiarire, le domande senza risposte, le ricostruzioni che attendono conferme. L'unica certezza che si ha, fino ad adesso, è che il contesto in cui si è sviluppata la tragica vicenda riguarda un pezzetto di quella periferia che per l'ennesima volta diventa il palcoscenico ideale per lutti, dolore, pistole e falsi miti. Un confine a poche centinaia di metri dal centro città ma che sembra distante migliaia di chilometri, nemici all'orizzonte, una discesa all'inferno.

L'OMAGGIO DEGLI AMICI.

Li, sul punto dove il corpo esanime di Michele Lanfranchi è rimasto per ore prono in un lago di sangue, adesso c'è una bandiera degli Stati Uniti con il volto di Michele (foto). E due mazzi di fiori rossi e gialli. E' un omaggio che gli hanno voluto fare gli amici di sempre. "Michy vivrai per sempre nei nostri cuori" è la frase impressa sulla foto del giovane. Da quella via dicono che passasse spesso con la sua lunga barba. Di vista lo conoscevano in tanti. E in via Michelangelo Rizzo è terminata la sua giovane esistenza dopo essersi fermato a trovare l'amico Lagana', che per l'età potrebbe essere un padre.

LA VERSIONE DI GIOVANNI LAGANA', INDAGATO PER OMICIDIO.

La notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del suo nome con la grave accusa di omicidio gli è stata comunicata da pochi minuti. Giovanni Lagana' si è appena svegliato, nonostante siano le 9 del mattino. Una notte insonne quella appena trascorsa. Ci sono le indagini ufficiali e poi tante voci con versioni discordanti che da 48 ore girano per il quartiere di Giostra. Ma anche sui social. Voci che raccontano altro, che si insinuano tra le versioni ufficiali messe nero su bianco in dei verbali di polizia e il chiacchiericcio di quartiere. Voci che sono arrivate anche all'orecchio del quarantenne, raccontategli dall'ex moglie, voci che lo descriverebbero come il responsabile della morte del giovane Michele. "U mazzau to patri e buttato fuori casa come un cane, come un sacco i munnizza", dicono e scrivono alla figlia. Siamo andati nell'appartamento dove è accaduto tutto. Giovanni Laganà ci accoglie, non per una intervista ufficiale, sui gradini da dove è uscito il corpo agonizzante di Lanfranchi.

"Sta succedendo un bordello. Io non ho fatto niente, è stato un incidente. So solo che da questa mattina stanno mandando messaggi a mia figlia di 17 anni su Facebook e Tik Tok. 'Quel bastardo di tuo padre...', la stanno minacciando perchè mi considerano il responsabile della morte di Michele". "Io non ho fatto niente, non ho niente da nascondere" - continua a ripetere. "Il mio sbaglio è stato solo che l'ho uscito fuori, ma lo volevo rianimare. Astura non m'avianu già attaccato?".

Giovanni, per tutti 'Nanni' Laganà - secondo il suo racconto - la sera della tragedia, si trovava seduto al tavolo della cucina soggiorno assieme a Lanfranchi. Seduti uno di fronte all'altro. Apparentemente una sera come tante. Il diciannovenne sembra fosse un habitué di casa Laganà. Poco dopo le 22, Michele Lanfranchi suona alla porta dell'amico di vent'anni più grande, che evidentemente considerava un fratello maggiore. Si siede al tavolo della cucina e inizia a parlare del più e del meno con Lagana'. "Mentre non so con chi ce l'aveva, perchè era un tipu fucusu, si parlava, si rideva, perchè lui era uno di famiglia". In casa si trovano anche la moglie di quest'ultimo e i loro due bambini. All'improvviso, Michele Lanfranchi esce dalla tasca una pistola, una calibro 7.65 con matricola abrasa (che il ragazzo non poteva detenere non essendo in possesso del porto d'armi), alza il braccio per mostrarla a Lanfranchi. Sono attimi, non completa neanche la frase che stava pronunciando, "Zio Gianni... questa cosa ammazza i cristiani". Parte il colpo, un proiettile che si conficca dritto in gola. Il ragazzo cade per terra in una pozza di sangue. "Mia madre e persone del vicinato mi hanno aiutato a portarlo fuori". Ma perchè le ha mostrato la pistola? "A modo suo si vantava che avia sta cosa... sicuramente aveva il colpo in canna e ci pattiu in una vota... Lui non è che se l'è puntata, il colpo è stato a salire". Mentre racconta simula il gesto della pistola e aggiunge, "se io gli sparo a uno non lo prendo a salire, per questo sono fuori, sono pulito".

E' la moglie ad aggiungere altri particolari. "Sentito lo sparo, sono entrata nella stanza, ho visto mio marito alzarsi dalla sedia e Michele per terra. Mia figlia ha visto tutto. Mio marito ha preso Michele dai piedi per tirarlo". "Nel frattempo si erano raccolte un mare di cristiani. Mia madre l'ha uscito, si può dire. 'Fallo rianimare', mi diceva", aggiunge Giovanni Laganà. "I miei figli sono terrorizzati, non dormono e non mangiano più. Mio marito non ha ucciso nessuno, è tre giorni che lo dice", dice con forza la donna.

Ma l'ipotesi che Lanfranchi quella sera si volesse vendicare di qualcuno? "Non lo so, lui ha uscito la pistola per mostrarmela, poi quello che voleva fare dopo sono cose sue". "Io non ho fatto niente", ripete ancora Giovanni Laganà, di mestiere allevatore di cani. "Dentro casa che scopo avrei avuto, per quale motivo l'avrei fatto? Non mi sono vendicato quannu mazzaru a me frati, figuriamoci se avessi potuto fare una cosa del genere adesso...".

Laganà è agitato, sa che la sua posizione giudiziaria si è complicata. E si ripete sempre, quasi a volersi e volermi convincere.

"Io l'amavo a lui, era sempre con me dalla mattina alla sera. Per me era come un figlio, un fratello più piccolo. A me un fratello me l'hanno ucciso. Su Facebook ci sono i video che lo possono dimostrare (foto in home). Gli compravo i vestiti, di recente gli avevo regalato una maglietta. Lui era di famiglia, lo sanno anche sua mamma e suo padre. Perchè questo accanimento?".

Laganà mi fa entrare nel piccolissimo soggiorno cucina, che una volta ospitava un panificio molto noto in zona, per mostrarmi il tavolo dove si erano seduti quella sera. Sulla parete una fotografia di Giacomo, il fratello ucciso nell'ottobre del 1999 a Faro Superiore, nell'androne del complesso "Apeiron". Per terra, proprio dove sarebbe caduto sanguinante il corpo di Michele, una grande statua di Padre Pio. "Cu c'ha desi stu schifo i pistola a chistu in ti mani...", si chiede, "quando l'ha uscita gli è partito il colpo. Era la prima volta che lo vedevo con la pistola". Ma chi ha spostato la pistola, portandola dall'interno all'esterno (foto)? "La pistola gliel'hanno messa per terra a lui, qui c'era un macello, non so chi gliel'ha messa accanto". Nel frattempo lo raggiungono alcuni amici. Giovanni Lagana' è più preoccupato per le minacce alla figlia che per le accuse degli inquirenti.

L'ipotesi degli inquirenti è che dopo l'incidente Michele Lanfranchi sia stato preso di peso e trasferito in strada. Gli investigatori si sono insospettiti del fatto che il suo corpo sia stato trovato all'esterno con la pistola in mano come per creare una messinscena.

Un amico di Lagana' mi fa ascoltare un vocale di quella sera in cui il genero lo avverte della tragedia. "Si mazzau Michele, si sparau sulu". Lo fa per dimostrarmi che la versione dell'incidente, che poi è la versione concorde di tutti loro, è la prima a circolare quella sera. "U problema è che ormai si vidunu sti film i Gomorra, camminano con le pistole nti sacchitti", aggiunge un altro amico di Laganà che nel frattempo lo ha raggiunto. "Io mi fici u guantu i paraffina e non mazzai a nuddu" ripete ossessivamente Lagana' che aggiunge "dicono in giro che ho sparato tre colpi, che ci scippai a pistola di mani e ci ghiavai tri coppa". "Semu a Giostra, dicono minchiate, io sono un figghiolu onesto. Ho tanti precedenti penali ma questa cosa non l'ho fatta. Ma che omicidio, ho soltanto una famiglia distrutta". "Se lo sapevo manco lo facevo entrare. Sa ceccau picchi' era fucusu, sta Gomorra da minchia. Iddu a nisciu per farmela vedere e ci pattiu un coppu. E se non succedeva questa cosa lui quella sera faceva danno".

Giovanni Laganà adesso deve andare via. Deve incontrare il legale che lo difende, l'avvocato Salvatore Silvestro. "Lei lo deve scrivere, io non ho fatto niente". Il quartiere di Giostra intanto si divide. Per alcuni Laganà da qualche ora è l'assassino 'du picciriddu', per altri avrebbe conquistato il 'rispetto' di tanti. Mentre il corpo di un ragazzo, neanche ventenne, giace all'interno di una cella frigorifera di un obitorio guardato a vista dagli occhi lucidi e sfiniti di una giovane madre.