4 Febbraio 2025 Giudiziaria

L’INDAGINE DELLA DDA: Carmelo Ofria rimesso in libertà dal Riesame

Il Tribunale di Messina, collegio per il riesame contro provvedimenti in materia di misure cautelari personali, riunito in camera di consiglio e composto da tre magistrati – presidente Massimiliano Micali, Maria Vermiglio e Alessia Smedile – in accoglimento delle richieste degli avvocati Giuseppe Lo Presti e Salvatore Silvestro, ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Messina, il 19 dicembre 2024, ed eseguita dalla Polizia di Stato il successivo 14 gennaio 2025 nei confronti di Carmelo Ofria, 32 anni, figlio di Salvatore Ofria e di Luisella Alesci. Ne dà notizia il quotidiano Gazzetta del Sud.

Al giovane, ritornato in libertà, infatti, si contesta, in concorso con altri dipendenti dell’azienda confiscata, di aver coadiuvato la madre Luisella Alesci ed il fratello Giuseppe (che restano entrambi in carcere) nell’agevolare la vendita in nero di parti meccaniche di ricambi d’auto usati sottraendo gli incassi destinati all’azienda Bellinvia che era stata confiscata ed affidata al custode giudiziario, anch’egli arrestato lo scorso 14 gennaio.

Da ieri Carmelo Ofria – essendo cessate le esigenze cautelari – è tornato in libertà, così come in libertà era ritornata per prima la sorella Chiara Ofria che era stata precedentemente sottoposta ai domiciliari. Gli stessi giudici del Tribunale del Riesame hanno invece ritenuto attenuate le esigenze cautelari per altri due imputati che erano finiti in carcere in attuazione della stessa ordinanza di custodia cautelare. A lasciare la casa circondariale grazie all’ottenimento del beneficio dei domiciliari, un altro dipendente della ditta Bellinvia. Si tratta di Fabio Andrea Salvo, 51 anni, difeso dagli avvocati Giuseppe Lo Presti e Francesco Scattareggia Marchese, per il quale la misura cautelare è stata sensibilmente attenuata, tramite la sostituzione della detenzione in carcere con gli arresti domiciliari. Un’altra sostituzione della custodia cautelare, sempre dal carcere ai domiciliari, è stata disposta dal Tribunale nei confronti di altro dipendente addetto alle vendite in nero, Giuseppe Accetta, 41 anni, il quale è difeso dagli avvocati Pinuccio Calabrò e Tindaro Grasso. Accetta, ieri ha potuto lasciare la casa circondariale, in quanto la detenzione carceraria è stata attenuata e sostituita con il beneficio dei domiciliari, con l’applicazione del braccialetto elettronico.

L'INDAGINE

La mattina del 14 gennaio scorso numerose unità di polizia giudiziaria del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile della Questura di Messina e del Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto, diedero esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare, emessa, nei confronti di 15 persone, dal G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta di questa Direzione distrettuale antimafia, per i reati di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, nonché per svariati delitti di estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori, violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, con l’aggravante del metodo e della finalità mafiosi.

La misura cautelare si fonda su un quadro di gravità indiziaria, raccolto nel corso di svariati mesi per effetto delle articolate indagini, coordinate dalla Procura di Messina-Direzione Distrettuale Antimafia, che ha diretto le investigazioni affidate al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, alla Squadra Mobile della Questura di Messina e al Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto.

Gli elementi acquisiti avrebbero disvelato l’esistenza e la operatività di una ben articolata compagine delinquenziale, di matrice mafiosa, dedita ai delitti, di estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori, violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, commessi con l’aggravante del metodo e della finalità mafiosi, attraverso la gestione illecita di un’impresa, con sede a Barcellona P.G., nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, smaltimento di rifiuti speciali e demolizione dei veicoli. L’impresa, a sua volta, era già destinataria di diversi provvedimenti giudiziari di sequestro e confisca, devenuti definitivi, all’esito di procedimenti penali e di misure di prevenzione antimafia.

In particolare, all’esito delle indagini già coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, il 16 giugno del 2011, era stato disposto il sequestro, dal G.I.P. di Messina, della medesima azienda, cui aveva fatto seguito un primo provvedimento di confisca da parte del G.U.P., nel primo grado di giudizio, in data 31 ottobre 2012, confermato dalla Corte d' Appello di Messina il 28.10.2014 e nuovamente confermato, dopo il ricorso in Cassazione e un giudizio di legittimità costituzionale, dalla medesima Corte di Cassazione, in data 11.06.2018.

Ulteriore e distinto provvedimento di confisca era stato disposto in data 11.6.2014 anche dal Tribunale di Messina-Sezione Misure di Prevenzione, nell'ambito del procedimento di prevenzione, su conforme proposta della Direzione distrettuale antimafia di Messina, con provvedimento ablativo, confermato dalla Corte d’Appello in data 3.11.2016 e, poi, dalla Corte di Cassazione il 6.07.2017. Sin dal primo provvedimento di sequestro, la ditta era stata affidata all’amministrazione di un commercialista, nominato amministratore giudiziario nel mese di giugno 2011. I citati provvedimenti giudiziari avevano riconosciuto la riconducibilità dell’impresa alla c.d. “famiglia mafiosa barcellonese”, essendo stata gestita da un noto pregiudicato per reati di mafia, figlio della titolare intestataria dell’impresa, ritenuto esponente apicale, attualmente detenuto, dovendo scontare una pena definitiva proprio per il reato di cui all’art. 416-bis cp.

Tuttavia, nonostante i diversi provvedimenti di sequestro e confisca, le attività di indagine avrebbero messo in luce un inquietante quadro fenomenico, riflettente la posizione dominante del medesimo capo mafia barcellonese, nella gestione dell'attività imprenditoriale sottrattagli, per effetto dell’intervento di decisioni giudiziarie, divenute definitive; e ciò pur a fronte di una amministrazione giudiziaria formalmente insediata da più di 13 anni per la gestione dell'impresa.

Gli elementi indiziari raccolti, allo stato, consentono di ritenere che lo stesso, quale esponente di vertice della cosca mafiosa locale dei barcellonesi - cui l'impresa è strettamente collegata per le attività criminali strumentali alle finalità dell'organizzazione medesima - abbia gestito, quale “titolare di fatto”, l'impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, ciò sarebbe stato reso possibile anche grazie ai comportamenti dell’amministratore giudiziario, pressocché completamente asservito al potere mafioso del clan, nei cui confronti avrebbe manifestato riverenza e compiacenza, omettendo l’adempimento dei doveri correlati all’esercizio delle sue funzioni.

Più nel dettaglio, l’attività investigativa ha consentito di ricostruire il modus operandi degli indagati al fine di creare illeciti guadagni, attraverso la vendita di pezzi di ricambio usati senza il prescritto titolo fiscale e lo smaltimento di rifiuti non censiti; tutto ciò grazie alla ritenuta complicità dell’amministratore giudiziario e di alcuni dipendenti, alcuni dei quali impiegati presso la ditta da oltre vent’anni.

Gli elementi di prova raccolti hanno, infatti, disvelato come l'impresa sarebbe stata utilizzata, anzitutto, quale strumento di illecito arricchimento, attraverso la quotidiana, continua appropriazione del denaro, non contabilizzato, dalle casse; conseguendo, in tal modo, il risultato della percezione, agli occhi della comunità, di un’organizzazione mafiosa in grado di gestire un’azienda, nonostante ben due provvedimenti di confisca e relativa amministrazione giudiziaria. Situazione, questa, che avrebbe consentito agli indagati di porre a segno condotte estorsive sia nei confronti del personale dipendente ritenuto non “affidabile” e per questo motivo allontanato dall’azienda, che nei confronti di altri imprenditori operanti in settori commerciali affini, avvalendosi, a tal fine, della “simbolica” presenza, quotidiana, del pregiudicato al vertice del clan e di tutti i suoi familiari, nei locali dell’impresa.

Sulla scorta del grave quadro indiziario così raccolto, il Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina-Direzione Distrettuale Antimafia, ha applicato la misura restrittiva della libertà personale della custodia cautelare in carcere a carico di 14 indagati e la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un altro soggetto, quasi tutti residenti o domiciliati nella città di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). 

I NOMI DEGLI ARRESTATI 

Sono 15 gli indagati: Giuseppe Accetta, 41 anni, nato a Milazzo; Luisella Alesci, 53 anni, nata a Messina; Salvatore Crinò, 57 anni, di Barcellona; Natale Antonino De Pasquale, 44 anni, anch’egli di Barcellona; Tiziana Francesca Foti, 52 anni, nata a Barcellona; Angelo Munafò, 44 anni, di Barcellona; Antonino Ofria, 21 anni, di Barcellona; Carmelo Ofria, 32 anni, nato a Milazzo; Chiara Ofria, 25 anni, nata a Milazzo; Domenico Ofria, 53 anni, nato a Barcellona; Giuseppe Ofria, 40 anni, nato a Milazzo; Salvatore Ofria, 60 anni, di Barcellona; Fabio Andrea Salvo, 51 anni, di Barcellona; Paolo Salvo, 54 anni, di Barcellona; Salvatore Virgillito, 60 anni, nato a Paternò.