
Non ci fu la corruzione giudiziaria. Il boss barcellonese Gullotti assolto
L'accusa di corruzione giudiziaria che aveva coinvolto l’ex pm in servizio per anni a Barcellona Pozzo di Gotto Olindo Canali e i boss mafiosi barcellonesi Giuseppe Gullotti e Carmelo D’Amico, è caduta ancora una volta ieri a Reggio Calabria con l’assoluzione dell’ultimo imputato coinvolto, ovvero Gullotti. La sentenza, con la formula "perché il fatto non sussiste", decisa con il rito ordinario dal tribunale presieduto dalla giudice Greta Iori, è arrivata nel primo pomeriggio di ieri. Sia l’ex pm Canali che il boss D’Amico, che poi da pentito aveva raccontato questa storia della presunta corruzione in atti giudiziari, erano stati già assolti nei mesi scorsi con il rito abbreviato.
La sentenza d’appello che a Reggio Calabria ha assolto il magistrato Canali risale al 16 maggio del 2024. E ha confermato il verdetto di primo grado del novembre 2022. Lo stesso pm della Distrettuale antimafia reggina, Salvatore Rossello, aveva chiesto l’assoluzione di Gullotti con la formula dubitativa, quella ex art. 530 secondo comma, sostenendo che il pentito D’Amico era da ritenere credibile ma non riscontrato.
Gullotti - secondo quanto ha riferito il pentito D’Amico, ma la vicenda è poi “caduta” in tuti i processi -, avrebbe corrotto il magistrato Canali con una promessa di 300 mila euro, di cui consegnati 50 mila, per ottenere grazie a lui l’assoluzione nel giudizio d’appello del maxiprocesso Mare Nostrum dal duplice omicidio Iannello-Benvenga, e per fargli ottenere la revisione per l’omicidio del giornalista di Barcellona Pozzo di Gotto Beppe Alfano, delitto per il quale Gullotti è stato già condannato a 30 anni con sentenza definitiva.
LE IPOTESI D'ACCUSA SMONTATE NEI VARI PROCESSI.
LA PRIMA IPOTESI
La prima ipotesi di corruzione in atti giudiziari – tra il 1997 e il 14 aprile 2000 – riguardava l’attività che Canali svolse in relazione al primo processo per il triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino del 4 novembre 1993. Un caso in cui lavorò come “applicato” alla Procura di Messina. In quella fase storica erano accusati dell’esecuzione Carmelo D’Amico e Salvatore Micale. Secondo quanto scrive l’aggiunto Paci, Canali avrebbe “accettato per sé la promessa e quindi ricevuto la somma di denaro di cento milioni di lire al fine di compiere atti contrati ai propri doveri d’ufficio nell’ambito del suddetto procedimento”. E c’è un passaggio ancora più preciso nel capo d’imputazione, perché la somma sarebbe stata “consegnata in due distinte occasioni”. Sono quattro le condotte individuate dalla Procura di Reggio: il boss D’Amico tramite Rugolo avrebbe indotto la moglie di una delle vittime del triplice omicidio a ritrattare al processo d’assise, nel 1998, quanto aveva dichiarato nel corso delle indagini, e cioè di aver riconosciuto proprio il boss D’Amico durante l’esecuzione tra i killer; l’ex pm Canali non avrebbe proposto entro i termini di scadenza (3 aprile 2000) l’atto di appello contro la sentenza assolutoria di primo grado per D’Amico e Micale; avrebbe depositato l’atto di impugnazione il 7 aprile 2000 nonostante vi avesse apposto la data di effettiva scadenza del 3 aprile 2000, e avrebbe poi rinunziato in data 14 aprile 2000 all’impugnazione “per errore di calcolo”; infine Canali avrebbe omesso di avvertire dei vari passaggi l’allora titolare del procedimento, l’ex sostituto della Dda di Messina Gianclaudio Mango, e l’allora capo della Procura, Luigi Croce.
L’ALTRO CASO
L’altro caso di corruzione in atti giudiziari contestato – tra il 2008 e il 2009 – in concorso con Rugolo, D’Amico e il boss Gullotti, vede al centro il maxi processo “Mare Nostrum” e l’indagine per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Sempre secondo il capo d’imputazione l’ex pm Canali avrebbe “accettato per sé la promessa della consegna di denaro di trecentomila euro, della quale riceveva una prima parte di cinquanta mila euro“, sempre da D’Amico. Per fare cosa? In sostanza per cercare di “ammorbidire” la posizione del boss Gullotti scrivendo quel famigerato memoriale che ‘piombò’ letteralmente in aula durante il maxiprocesso “Mare Nostrum“. Memoriale in cui esprimeva forti dubbi sulla colpevolezza di Gullotti per la morte di Alfano, e in cui scriveva che “occorreva chiedere ed ottenere la revisione della sua condanna”.