22 Maggio 2025 Giudiziaria

Fucile, caschi e radio presi a Messina. Un garage la base del delitto Scopelliti

È sempre più Messina lo snodo dell’inchiesta sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ammazzato a Villa San Giovanni il 9 agosto 1991, cinque mesi prima di discutere, davanti alla Suprema Corte, la sentenza del primo maxiprocesso a Cosa nostra. La Dda di Reggio, come scrive Giuseppe Lo Re su Gazzetta del Sud, sta cercando di mettere tutti i tasselli nel mosaico di un patto tra mafia e ’ndrangheta per far fuori il magistrato scomodo. E l’ultima pista – a conferma delle anticipazioni dei giorni scorsi della “Gazzetta” – porta a un garage a Messina, nei pressi degli imbarcaderi per la Calabria e nella disponibilità del messinese Francesco Romeo, marito di Concetta Santapaola, sorella del boss catanese Nitto, dove si sarebbe tenuta l’ultima riunione operativa in vista dell’agguato.
Incrociando sospetti, elementi di prova e dichiarazioni del pentito Maurizio Avola, killer della cosca nonché uomo di fiducia di Nitto Santapaola, la Procura antimafia reggina punta ad accertare movente, modalità dell’esecuzione e responsabili. I nuovi elementi hanno portato a ulteriori iscrizioni di nomi “pesanti” nel registro degli indagati – Pasquale Condello “il “Supremo” e Giuseppe De Stefano, i boss di Africo Giuseppe Morabito e di Limbadi Luigi Mancuso, Franco Coco Trovato e Giuseppe Zito – e ad una serie di perquisizioni a Messina.Avola, nei suoi verbali, si è soffermato sul luogo da cui, armato di un fucile e anche di due pistole poi non utilizzate, sarebbe partito il gruppo di fuoco. E lì, non a caso, gli inquirenti hanno cercato nei giorni scorsi elementi utili alle indagini. Il commando avrebbe ricevuto a Messina anche i caschi muniti di ricetrasmittenti, attraverso cui gli autori del delitto si sarebbe coordinati sul posto con i “supervisori”.

Sempre Avola ha confessato - ma è tutto da dimostrare - di avere ricevuto materialmente il mandato da Aldo Ercolano cinque giorni prima del delitto, mentre si trovava in villeggiatura a Fiumefreddo di Sicilia, e di essersi recato da Nitto Santapaola, allora latitante a Mascalucia, per riceverne conferma diretta. Da Messina - scrive ancora Gazzetta del Sud - sarebbe partito con Enzo Santapaola, figlio di Nitto e presunto esecutore materiale dell’omicidio che proprio a seguito di quest’agguato sarebbe stato formalmente ammesso in Cosa nostra. Avola avrebbe guida la moto Honda Gold Wing 1200 da cui avrebbe sparato il rampollo del boss, giunta in Calabria insieme a una Fiat Uno, una Mercedes e un’Alfa 164 in quello che la Dda definisce «un corteo». Sulla 164 ci sarebbero stati Matteo Messina Denaro ed Eugenio Galea, sulla Mercedes Aldo Ercolano (e al momento della fuga anche Enzo Santapaola), sulla Fiat Marcello D’Agata. In Calabria un informatore avrebbe consigliato di aspettare il ritorno di Scopelliti dal mare. E secondo la Dda di Reggio altre «informazioni operative relative alle abitudini di vita» di Scopelliti sarebbero arrivate da Salvo Lima, il politico siciliano della Dc ucciso l’anno dopo. L’arma del delitto, dopo la fuga, sarebbe stata smontata e seppellita nel terreno del cognato di Avola a Belpasso, lì dove effettivamente un fucile “Zabala Hermanos” calibro 12 di fabbricazione spagnola è stato ritrovato. Sempre secondo il racconto del pentito, i maggiorenti di Cosa nostra avrebbero voluto che l’arma venisse simbolicamente lasciata nell’auto della vittima; D’Agata, però, avrebbe ordinato di riportare fucile e moto nel garage di Messina e Avola, a sua volta, avrebbe disatteso l’indicazione nascondendo il fucile «nel timore che D’Agata stesso potesse uccidermi».

Il mandato sarebbe partito direttamente da Totò Riina in un summit a Trapani nella primavera del 1991, veicolato attraverso Matteo Messina Denaro ed Eugenio Galea. Il compito di dare le disposizioni operative, a cascata, sarebbe stato affidato a Nitto Santapaola e Aldo Ercolano.