
Le balle di Mori & De Donno di Fabio Repici
di Fabio Repici - Ormai da anni impazza in giro per l'Italia un nuovo duo (più o meno) comico, quasi degno delle glorie di Totò & Peppino, Tognazzi & Vianello, Ric & Gian e, al giorno d'oggi, Ficarra & Picone. Sono Mario Mori e Giuseppe De Donno, ex ufficiali dell'Arma, poi consulenti dell'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno (sì, quello), poi imprenditori (G-Risk), i quali, immancabilmente in coppia (Mori & De Donno), furoreggiano nelle librerie, nei teatri, nelle scuole e nelle sale pubbliche di ogni latitudine, da Bolzano a Pachino, oltre che nelle aule giudiziarie e nella mitologia (Atreju).
Da ultimo la coppia ha raccolto applausi (giuro!) da un pubblico di bocca buona, formato dai componenti di maggioranza della Commissione parlamentare antimafia.
E, fin qui, tutto bene, diciamo. Peccato che, nel solco della letteratura che piace alla famiglia Meloni, troppo spesso Mori & De Donno scadano nel fantasy.
Il 16 aprile scorso, alla prima in Commissione antimafia, Mori & De Donno hanno depositato alla Commissione antimafia il testo della pièce che hanno iniziato in quella stessa data a declamare.
Nel copione, per fortuna divulgato senza pretese di diritti d'autore, una volta ricevutolo, ho potuto verificare che la mia modestissima persona aveva ottenuto ben sette menzioni. Ecco, ho pensato, per meritare l'apprezzamento di Mori & De Donno, in misura tanto significativa, qualche merito devo pur averlo.
Sennonché, anche nel dedicarmi la loro attenzione, Mori & De Donno hanno scorrazzato nel genere fantasy. Vediamo.
Così si legge alla pag. 127 (dulcis in fundo; oppure, in cauda venenum) del copione: «Il legale dell'ing. Salvatore Borsellino, quindi un esperto in materia processuale, ha esposto le sue convinzioni che, per quanto si riferisce ai fatti che hanno riguardato me e il dott. Giuseppe De Donno, alla luce degli esiti già processualmente definiti, sono del tutto prive di fondamento. Egli sostiene che la morte di Paolo Borsellino non derivi dal suo interesse per “Mafia e appalti”, che giudica un “falso scopo” inventato da noi per coprire le nostre responsabilità. Infatti, citando un altro ufficiale, il tenente colonnello Carmelo Canale, Repici afferma che nel colloquio del 25 giugno 1992 tra noi e Paolo Borsellino non si parlò dell'indagine del ROS, bensì dell'anonimo del “Corvo 2”, perché il magistrato sospettava che il cap. De Donno ne fosse l'autore […] Carmelo Canale che, peraltro, come da lui sempre correttamente sostenuto, non era presente al nostro colloquio con il dott. Borsellino, ha chiarito che il tema dell'incontro alla caserma “Carini”, era riferito al dossier “Mafia e appalti”. Il ten. col. Canale ha affermato anche, in questa sede, che il dott. Borsellino aveva effettivamente saputo di voci, arrivategli da suoi colleghi, che indicavano il cap. De Donno quale possibile autore dell'anonimo del “Corvo 2”. Infatti, quel pomeriggio, appena il magistrato vide l'ufficiale gli disse, testuale: “Ho sentito parlare molto male di lei, ma se si fidava Falcone mi posso fidare anch'io”. Subito dopo, ottenuta la nostra disponibilità a proseguire l'indagine “Mafia e appalti”, ne propose i tempi di sviluppo indicandone l'inizio nella metà del mese successivo, cioè al suo rientro da una rogatoria da condurre in Germania».
È chiaro, dunque: le mie erano invenzioni, almeno secondo il duo. Avendo Mori & De Donno, però, indubbia autorevolezza, per qualche momento ho dubitato della saldezza della mia memoria. Per questo mi sono impegnato a recuperare il verbale delle dichiarazioni di Carmelo Canale del 13 novembre 2012, che avevo indicato come fonte.
L'ho trovato, quel verbale. Vediamo che dice: «Quanto alla c.d. indagine Mafia appalti, devo dire che un giorno Borsellino mi disse che era pervenuto un anonimo, molto voluminoso, diretto a moltissime persone. Borsellino mi disse che qualche suo collega, qualche magistrato della Procura di Palermo per meglio chiarire, era convinto che autore dell'anonimo fosse il capitano De Donno, in servizio all'epoca presso il Ros centrale, il reparto che aveva fatto le indagini su mafia appalti. Nell'anonimo si parlava, infatti, di queste indagini. Borsellino mi disse che voleva parlare con questo De Donno. Mi disse: “dobbiamo fare di tutto per incontrarlo”. Ed io organizzai un incontro, tramite Adinolfi, al quale partecipò Mori, alla caserma Carini. Prima di allora, Borsellino non aveva mai manifestato interesse a vedere De Donno, né interesse riguardo all'indagine mafia appalti. Tra l'altro, aveva conosciuto De Donno a Marsala, perché ci aveva portato proprio il rapporto “mafia appalti”, ma neanche lo ricordava, a dimostrazione della sua mancanza di interesse».
Ma come? Prima dell'anonimo «non aveva mai manifestato interesse a vedere De Donno, né interesse riguardo all'indagine mafia appalti», «neanche lo ricordava, a dimostrazione della sua mancanza di interesse»? E com'è possibile, allora, che «ottenuta la nostra disponibilità a proseguire l'indagine “Mafia e appalti”, ne propose i tempi di sviluppo indicandone l'inizio nella metà del mese successivo»? Niente, letteratura fantasy. Probabilmente sarà apprezzata dalle sorelle Meloni.
Anche perché «alla metà del mese successivo», secondo Agnese Borsellino(dichiarazioni del 27 gennaio 2010 alla Procura di Caltanissetta), a proposito del superiore di Mori & De Donno, suo marito le «disse che il gen. Subranni era “punciuto”. Mi ricordo che quando me lo disse era sbalordito, ma aggiungo che me lo disse con tono assolutamente certo».
Tuttavia, il copione del duo contiene un'altra gag altrettanto grossa, sempre a me dedicata. Vediamo, a pag. 128 del copione di Mori & De Donno: «Il Repici, inoltre, riprendendo precise e ripetute accuse di alcuni magistrati, ci rivolge l'addebito di “atteggiamento omertoso” per l'ingiustificabile ritardo con cui avremmo parlato dell'incontro con il dott. Borsellino. In tutte le vicende che ci hanno riguardato, i censori del nostro operato, nelle ricostruzioni dei fatti, quando non conviene, con puntuali taglia, cuci e incolla, costruiscono le versioni da loro sostenute che, senza qualche omissione o invenzione, non starebbero in piedi. Nella fattispecie, l'avv. Repici, che pure ha partecipato con incarichi professionali alla serie dei processi relativi alla strage di via D'Amelio, dimostra di ignorare il verbale di sommarie informazioni testimoniali rese, nel dicembre 1992, dall'allora cap. Giuseppe De Donno nel quadro delle indagini svolte in merito dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta. L'Ufficiale, in quella circostanza, riferì ai magistrati requirenti sui contenuti dell'incontro che, il precedente 25 giugno 1992, insieme a me, aveva avuto con il dott. Paolo Borsellino».
Effettivamente, io ho sostenuto che, se fosse stato vero che Mori & De Donno si fossero resi subito conto che la strage di via D'Amelio era stata eseguita per impedire a Paolo Borsellino di coordinare le indagini del duo (sotto la supervisione del “punciuto” Subranni) su mafia e appalti, allora indubbiamente avrebbero commesso, come minimo, i delitti di favoreggiamento e di omessa denuncia per anni, visto che fino al 1997 non ne avevano mai parlato. Per loro fortuna, per quei reati sono innocenti, visto che quella storia è, di nuovo, con grande apprezzamento delle sorelle Meloni, pura letteratura fantasy.
Ma cosa disse in quel verbale, dell'11 dicembre 1992, Giuseppe De Donno, senza il compagno di coppia, alla Procura della Repubblica di Caltanissetta? Vediamo: «Non ebbi molti contatti con il dr. Borsellino; pochi giorni prima dell'attentato di via D'Amelio il dr. Borsellino volle incontrarmi negli uffici del R.O.S. di Palermo. Mi chiese notizie sull'indagine ed io gli dissi che cosa ne pensavo della vicenda oggetto dell'informativa di cui sopra e, in particolare, del ruolo di Angelo Siino, sottolineando che a mio parere costui era il punto nodale di raccordo tra l'organizzazione mafiosa ed il sistema economico-imprenditoriale; persona non soltanto importante ma a mio parere addirittura insostituibile per la difficoltà di riallacciare le reti di collegamenti che egli aveva saputo crearsi». E come? In questa monumentale dichiarazione di De Donno l'incontro con Borsellino si sarebbe svolto non alla Caserma Carini ma «negli uffici del R.O.S. di Palermo» (cioè a Monreale), si sarebbe parlato di Siino (che era stato arrestato su richiesta della Procura di Palermo già l'anno prima ed era ancora in carcere) ed era addirittura assente la metà del duo, Mario Mori. E senza il minimo sospetto su “mafia-appalti” come causale per la strage di via D'Amelio. Anche perché l'unico nome fatto da De Donno, Angelo Siino, era, come detto, detenuto da parecchio. Ma che storia è? Chi è che «taglia, cuce e incolla» e, soprattutto, inventa?
Niente, l'unica conclusione ragionevole è che la pulsione teatrale ha preso la mano al duo Mori & De Donno.
Tuttavia, per aiutare la presidente Chiara Colosimo a non far scadere la sua Commissione antimafia nella commedia all'italiana, e per cercare (in questo tempo di foia revisionista che sposta perfino l'orario dei minuti di silenzio) di ripristinare un minimo di rispetto per il principio di realtà (e lasciare il fantasy alle sorelle Meloni), appena possibile invierò alla Commissione antimafia il verbale delle sommarie informazioni di Carmelo Canale del 13 novembre 2012 e il verbale delle sommarie informazioni di Giuseppe De Donno dell'11 dicembre 1992.
Giusto perché le future relazioni di quella Commissione non sembrino scritte da Tolkien. O da Totò e Peppino.