
Ardita: ”Lo Stato trattò con la mafia. Questo è emerso al di là delle sentenze finali”
L’intervista del procuratore aggiunto di Catania rilasciata a Gigi Marzullo nel programma 'Sottovoce' (Rai 1)
“Lo Stato ha trattato con la mafia perché questo è emerso da una motivazione storicamente accertata anche dai protagonisti, anche dagli imputati dei processi, al di là di quelle che poi sono le votazioni giuridiche e le sentenze finali”.
Sono state queste le parole del procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita a Gigi Marzullo nel programma 'Sottovoce' (Rai 1): tra i temi toccati anche il suo essere magistrato, le carceri e poi la chiamata al sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo.
“Lo Stato ha trattato - ha continuato Ardita - perché diciamo che la storia della nostra Repubblica è una storia molto complessa e che va conosciuta tutta. Poi la gente, i cittadini, si faranno un giudizio finale, avranno la loro idea alla fine, ma una cosa è certa, la verità deve essere conosciuta, sulla verità poi si fondano tutte le valutazioni e anche le impostazioni, le idee, il nuovo mondo, ma dobbiamo conoscere la verità, altrimenti saremo un popolo con una democrazia minore”.
Di Matteo: il dottor Ardita è sempre stato un punto di riferimento
Io e Ardita - ha detto Nino Di Matteo durante il suo intervento - “abbiamo condiviso tante cose: siamo entrati con lo stesso concorso in magistratura, lo abbiamo vinto nel periodo delle stragi, abbiamo scelto due procure siciliane, siamo come magistrati figli di quel periodo, e forse non è un male che a distanza di tanto tempo ricordiamo quel periodo, ricordiamo sempre i nostri morti e quello che è successo. Anche nell'ambito istituzionale, quando, prima di uccidere i colleghi come Livatino, ma soprattutto Falcone, Borsellino, Saetta, sono stati isolati e delegittimati”.
“Per me, il dottor Ardita Sebastiano è stato un punto di riferimento anche come magistrato perché in lui ho sempre visto quella che è l'essenza vera del magistrato. Ho sempre apprezzato la sua autonomia, la sua indipendenza da ogni altro potere, la sua passione per la giustizia, la sua passione per le parti offese ma per i più deboli nelle controversie di giustizia. e ancora di più queste cose le ho apprezzate durante il periodo di comune esperienza al Consiglio Superiore della magistratura. Credo di poter dire che siamo due innamorati della toga che indossiamo e forse proprio per questo abbiamo sofferto le degenerazioni della magistratura”, trasformata da “alcuni come strumento bieco di potere”, “la burocratizzazione del ruolo, il collateralismo con la politica”.
Al consiglio superiore della magistratura, ha continuato il magistrato palermitano, “abbiamo vissuto un'esperienza comune, non so se ci siamo riusciti o quante volte ci siamo riusciti, ma abbiamo sempre cercato di difendere la magistratura e i singoli magistrati veramente autonomi, veramente indipendenti, che molto spesso erano schiacciati dal sistema. C'è un sistema purtroppo che anche all'interno della magistratura finisce certe volte per danneggiare i magistrati liberi, i magistrati autonomi, i magistrati che si tengono fuori dai centri di potere, i magistrati non correntizzati. Ecco, noi abbiamo cercato di fare questo ma credo proprio come atto di amore per la toga che abbiamo sognato di indossare da piccoli e abbiamo avuto poi la fortuna di poter indossare veramente”.
L’essere magistrato
Io come magistrato sono sempre “stato abituato a giocare sempre all'attacco”, ho sempre “preferito risolvere i problemi e non girare intorno alle questioni” anche tenendo conto che la “giustizia non è una partita di calcio in cui c'è da sconfiggere qualcuno, è una partita nella quale giochiamo tutti e giocano le istituzioni” e questo “comporta il sapersi comportare, la necessità di trasmettere una dimensione di pacificazione e di bene pubblico attraverso l'azione pubblica, anche quando occorre compiere un'azione forte come potrebbe essere arrestare qualcuno o farlo condannare”. Per essere un magistrato devi essere consapevole che “la tua azione non può essere indifferente rispetto a quello che accade nella società. Devi lasciare una traccia positiva nella società, lasciare un'immagine di distensione, non devi mai agire, l'abbiamo detto in premessa, con la violenza, con la forza che non è comprensibile, verso tutti, intanto a difesa delle persone offese, delle vittime, dei ragazzi, dei più deboli, ma anche nei confronti di chi ha sbagliato, per un atteggiamento che sia equo. Devono riconoscere la giustizia e la giustizia non è mai violenza. Se chi lavora nella giustizia immette nel circuito giudiziario un altro veleno, svolge un'attività che è proprio l'antitesi di quello che è il senso della giustizia”.
Io, ha ribadito, sono entrato in un “momento in cui la giustizia era sotto attacco e ho creduto che la colpa fosse soltanto degli altri e invece forse in parte a volte è anche un po' nostra”.
Il procuratore aggiunto di Catania ha parlato anche delle carceri: al momento le strutture detentive “Stanno malissimo. Le carceri, la libertà, è un punto di incontro strategico che c'è tra i due significati della giustizia. e quindi ricerca dei colpevoli e prevenzione da un lato, e dall'altro la giustizia come riedificazione di una società partendo da chi ha sbagliato. Quello è il punto di incontro. Se non si riesce a trovare una quadra sul carcere, la democrazia sta messa male”. Occorre avere fiducia nello Stato?
La risposta è sì secondo Ardita e Di Matteo; ma, ha precisato quest’ultimo, “avere fiducia nello Stato significa anche sapere denunciarne le patologie, sapere senza nascondere la polvere sotto il tappeto, far venire fuori tutte le volte in cui lo Stato ha tradito la sua funzione, ha tradito i cittadini. Questo significa avere fiducia nello Stato e molto spesso questo non è compreso da tutti e facilmente. Certo che bisogna avere fiducia nello Stato, bisogna avere fiducia nello Stato avendo come faro la Costituzione e avendo come faro soprattutto quel principio costituzionale di eguaglianza di tutti dinanzi alla legge e quell'obbligo, cito il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, della Repubblica di rimuovere tutti gli ostacoli alla reale uguaglianza di tutti i cittadini”.
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