
Interrogazione del M5S – Lo sherpa di Lucia Borgonzoni, il messinese Fabio Longo, al bar: “Tremila euro, ma spari solo su Giuli”
DI THOMAS MACKINSON - “Guarda, per loro puoi sparare su Giuli e il ministero quanto ti pare, non gliene fotte niente. Basta che lasci stare la Borgonzoni, il conflitto di interessi della Sbarigia, queste cose qui”. Detto col sorriso, davanti a un caffè. Come fosse la cosa più normale del mondo. Sono le perle di un incontro avvenuto lo scorso febbraio in un bar romano con Fabio Longo, lo sherpa mediatico della sottosegretaria con delega al cinema e all’audiovisivo (ma anche alle altre industrie culturali e creative, dal design alla moda).
Suonavano fuori luogo allora ma ancor di più oggi, nel giorno in cui Giuli è costretto a rimangiarsi l’orgogliosa esclusione della collega dal vertice col mondo del cinema al Collegio Romano, previsto per la mattina di venerdì 6 giugno. Retromarcia ordinata dal potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Fazzolari previa chiamata di Salvini per evitare che lo scontro tra ministro e sottosegretaria diventasse un ulteriore western tra Fdi e Lega.
E a maggior ragione se alla vigilia Giorgia Meloni in persona interviene sul tema coprendo con queste parole le tensioni in atto: “Non mi stupisce che chi ha beneficiato di questi lauti contributi contesti il governo. Non butterò soldi dei cittadini per pagare cose che non meritano di essere pagate”. Per la compiacenza dei invece giornali sì?
Fabio Longo (messinese, classe 1983, già collaboratore di Giovanni Miccichè presidente del Parlamento siciliano) è l’ex consulente per la comunicazione di Sangiuliano, caduto col caso Boccia, ma mai troppo lontano dal giro e sempre in piedi, in un crescendo di attività ed ambizioni: uno nel Dipartimento per le Attività Culturali (Dac) del ministero (che controlla le 3 Direzioni generali Cinema e Audiovisivo, Spettacolo, Creatività Contemporanea), l’altro in Cinecittà, più un contratto con l’Associazione dei produttori televisivi Apa e uno alla Rai, ed altri ancora (il festival TaoBook di Taormina)…
Decine e decine di fatture come consulente di comunicazioni su variegati fronti… Incarichi invisibili sui siti ufficiali, ma operativi nei corridoi romani, in simpatica confusione tra “pubblico” e “privato”. Longo da tempo coltiva anche un canale privilegiato con Marina Berlusconi, intanto si tiene strettissimo quello con Lucia Borgonzoni e Chiara Sbarigia, dopo essere stato scaricato da Sangiuliano.
Appuntamento in un bar di via Sabotino, proprio dietro gli uffici della confindustriale Apa. Mai visto prima, sentito mille volte nell’estate calda di Sangiuliano, Longo si presenta puntuale e sorridente. In tasca, una proposta di tregua, di pacificazione. “Ti ricordi il vecchio Festival di Roma sulle serie televisive? Si rifarà a giugno, ma Lucia lo vuole a Rimini e Riccione che sono il suo feudo. Abbiamo pensato anche a te”.
Va dritto al punto: “Tremila euro per moderare un convegno, ma sulla cifra si può trattare. Io però gliel’ho detto che non è che smetti di scrivere, non è che ti posso proprio controllare, ma a loro va bene anche se sei meno cattivo, che magari la prossima volta hai un occhio di riguardo per loro”.
E chi sarebbero queste “loro”? Lucia Borgonzoni, irrefrenabile madrina dell’Italian Global Series Festival, reboot balneare del vecchio Roma Fiction Festival (2007-2016). Chiara Sbarigia, presidente della pubblica Cinecittà e contemporaneamente della privata Apa, la lobby che organizza l’evento. E Manuela Cacciamani (molto stimata da Arianna Meloni), amministratrice delegata di via Tuscolana che prende circa 2,5 milioni dal ministero per dirottarli sulla rassegna, dribblando più d’un conflitto d’interessi.
Sono le tre regine indiscusse dell’audiovisivo italiano, e nemiche giurate di chiunque osi insidiare il loro trono, ministro compreso. L’ultimo festival uscito dal cilindro è l’occasione perfetta per tenere i riflettori ben puntati su di loro anziché e lasciare il resto al buio, gli studi vuoti, il settore in crisi acuta etc.
La campagna acquisti è già partita. Centottantamila euro in pubblicità, contratti firmati da Cinecittà, in parte poi allegramente girati ad Apa, in assenza totale di pubblica trasparenza. Cinecittà utilizzata come cassa del ministero della Cultura: un “ufficiale pagatore” sempre disponibile, prono rispetto ai desiderata della sottosegretaria. Dentro anche testate che hanno sempre fatto le pulci alle signore del cinema. A suon di 30-40mila euro.
Pure la Rai è mobilitata, farà uno speciale in onda il 22 luglio, un mese dopo l’evento. Sulla carta stampata invece già splende il sole patinato del Festival, il sole di Rimini con l’ombrellone che fa capolino. Ma nell’ombra, come sempre, c’è il regolamento di conti, il gioco degli equilibri di potere.
Quella linfa torbida del sottobosco ministeriale che traffica, media e compra silenzi. I giornalisti guastafeste li si invita al bar. “Tranquillo, basta che ti fai autorizzare dal giornale. Il pagamento poi non arriva dal ministero o da Cinecittà che ci mettono i fondi, tutto passa attraverso da Apa. Poi per loro puoi continuare ad attaccare il ministro Giuli e il ministero quanto ti pare, non gliene fotte niente. Ma lascia stare la Borgonzoni, il conflitto d’interessi della Sbarigia, quelle cose lì insomma. Vogliono solo essere sicure che poi non le accoltelli alle spalle”.
“Accoltellare”. Il giornalista-sicario, la stampa come trincea di una guerra che guidano loro: politici, dirigenti, lobbisti pubblici e privati, emissari di palazzo che dirottano risorse che immagini destinate a un cinema in coma, e invece servono per assecondare le loro personali ambizioni e strategie belliche. Per avere comunque e sempre le luci della ribalta.
Così, se qualcuno le dice dritte a “Lucia”, la contraerea di fango di giornali e siti “amici” scatta prima. Fosse anche Pupi Avati o il ministro in persona. Nessuno si salva. Serve un altro caffè. Il tempo di capire che no, non è un malinteso. Un’ora di colloquio. Due tazzine vuote, tremila euro sul tavolo che sono pure troppi per un’ora di convegno, ma una cifra mortificante se è anche il prezzo della compiacenza, la mercé del silenzio.
Soprattutto se a offrirli è l’emissario di chi smonta il cinema italiano ormai pezzo per pezzo, e poi tenta di comprare il silenzio di chi racconta i cocci o scrive pezzi sgraditi come questo. Testiamo il confine: “E le mostre sul cinema firmate Borgonzoni & Co., improvvisate curatrici d’arte, coi soldi del ministero?”. Lo sherpa si sporge, abbassa la voce. “Ecco, queste sono le cose da non evidenziare! Lascia stare, sai come si dice, no? Una mano lava l’altra… e da cosa nasce cosa”.
Il contratto vale ancor prima di firmarlo. Anche la tempistica è rivelatrice. Silenzio per tre lunghi mesi. Forse sono “loro” ad averci ripensato, chissà. Poi squilla di nuovo il 30 maggio, proprio l’indomani di un articolo del Fatto sul caos cinema. Titolo: “Giuli estromette Borgonzoni dal vertice con gli operatori”. Lo sherpa torna a farsi vivo. “La cosa con Giuli? No no, è tutto rientrato”. E torna a galla anche la proposta: “Ti ricordi quello che ci eravamo detti al bar per il Festival? Ecco, sentiamoci domani che ti dico i dettagli”. Magari al prossimo caffè. Offriamo noi. Fonte: Il Fatto quotidiano
“Soldi del ministero per zittire giornalisti”: M5s chiede a Giuli di rispondere in Aula dopo l’inchiesta del Fatto
Arriva in Parlamento la vicenda svelata dal Fatto del consigliere del Ministero Giuli che per “ammorbidire” i giornalisti più critici verso la sottosegretaria Lucia Borgonzoni e la presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia offriva loro compensi per moderare festival finanziati dal Ministero stesso. A portarcela è stato il deputato M5s Gaetano Amato intervenendo nell’aula della Camera dove ha chiesto al ministro un’informativa urgente “a nome di tutte le opposizioni” sul ruolo di Fabio Longo, titolare di un contratto “fantasma” come collaboratore al Dipartimento per le attività culturali e di altri proprio a Cinecittà. “Chiediamo un’informativa urgente del ministro Giuli in quanto settimana scorsa sul Fatto Quotidiano un articolo a firma di Thomas Mackinson chiarisce che fonti del Ministero, soldi del Ministero vengono usati per la compravendita di giornalisti per evitare attacchi ad alcune persone legate al governo. Ora noi ci auguriamo che anche la maggioranza voglia aderire a questa nostra richiesta in quanto la presidente Meloni ci aveva detto che non intende buttare i soldi pubblici per film che nessuno vede. Noi speriamo che la presidente Meloni non lo voglia buttare per comprare i giornalisti”. In seguito alla pubblicazione degli articoli Fabio Longo ha affermato di voler lasciare tutti gli incarichi, al momento però non c’è alcuna comunicazione ufficiale di questo.