
Il Ponte che non sta in piedi: tutte le magagne
Di Gaetano Benedetto - Il Ponte sullo Stretto di Messina ha due elementi fortemente critici candidamente presenti nella carte progettuali: la tenuta dei cavi che reggono l’impalcato e la presenza di una faglia sismica nell’immediata prossimità del pilone (alto 399 metri) sul lato calabrese. Per verificare la tenuta dei cavi il progetto definitivo raccomanda “test da fatica” in sede di progetto esecutivo, rispetto alla faglia, invece, Società di Messina Spa ritiene che questa non sia “sismogenetica, ovvero in grado di produrre scuotimento sismico del suolo”. Delle due questioni si può discutere all’infinito, ma ad oggi i “test da fatica” non sono stati fatti e ancora non è stato presentato uno studio “in cui siano maggiormente approfonditi i rilevamenti geologici e geomorfologici, le indagini geofisiche, sismologiche e paleosismologiche, e la caratterizzazione delle faglie, con particolare riferimento alle faglie capaci e ritenibili ancora attive” così come richiesto dalla Commissione VIA VAS con la prescrizione n. 34 del parere n. 19/2024.
Questioni di dettaglio? Non sembra proprio. È ideologico chiedere che prima d’impegnare 13,5 miliardi di euro (cifra certamente destinata a crescere) sarebbe di buon senso acquisire questi test ed approfondimenti? È ideologico chiedere poi che queste risultanze vengano valutate da Enti o Istituti pubblici “terzi” perché non coinvolti nella progettazione del Ponte?
Tale questione ha un riflesso pratico di enorme gravità perché il governo Meloni lo scorso anno ha autorizzato per legge (tramite decretazione d’urgenza e voto di fiducia) la possibilità di cantierare il ponte per fasi costruttive: di fatto la progettazione esecutiva potrà non essere unica, ma per parti separate corrispondenti alle fasi di cantiere.
Questo significa che se il Cipess approverà definitivamente l’opera e se la Corte dei Conti si pronuncerà favorevolmente sulla delibera, si procederà all’affidamento dell’appalto (con penali più che salate a carico dello Stato qualora l’opera non dovesse realizzarsi) e senza un progetto esecutivo unico e completo si apriranno subito i cantieri. Questo lo dice il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che questa procedura ha fortemente voluto, e significa che gli espropri (tema delicatissimo e socialmente rilevante) partiranno subito per gli interventi per cave e depositi, demolizioni e sbancamenti preliminari; il progetto vero, quello esecutivo sull’impalcato, procederà in parallelo e i “test da fatica”, così come la predisposizione degli approfondimenti sismici prescritti e quindi obbligatori, verranno ultimati ad appalto affidato. Ma se questi non dovessero dare i risultati attesi?
Ideologico è chi contro ogni evidenza insiste nelle proprie affermazioni agendo in coerenza a queste e non in ragione delle evidenze fattuali. Oggi l’approccio ideologico non è quello degli oppositori al Ponte, che argomentano e documentano le proprie affermazioni, ma di chi continua a sostenere la realizzazione dell’opera non sciogliendo dubbi essenziali.
Tutti ricorderanno quando con volgare ironia si è tentato di ridicolizzare gli ambientalisti che denunciavano gli impatti ambientali che il Ponte produrrà (“non gli resta che attaccarsi all’uccello”). Questi impatti sono ora acclarati, ammessi, documentati sempre dagli stessi progettisti dell’opera che per essere realizzata in deroga ai vincoli ambientali ha avuto bisogno di una procedura speciale (detta valutazione d’Incidenza ambientale di III livello) che si basa su una delibera del Consiglio dei ministri del 9 aprile di quest’anno che approva i “Motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” che giustificherebbero la necessità di realizzarla comunque.
Questa procedura si basa però su tre elementi: l’assenza di alternative, la credibilità dei “motivi imperativi”, le compensazioni che devono bilanciare gli impatti ambientali certi prodotti dall’opera (se questi non ci fossero non si sarebbe neppure arrivati a questo livello procedurale). Erano forse ideologici i tecnici del Gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture che nel 2022 (governo Draghi) hanno documentato perché sarebbe stato opportuno analizzare altre soluzioni possibili? O ideologico è stato il governo Meloni che nel 2023 con un decreto legge convertito con voto di fiducia in un colpo solo ha resuscitato la Società di Messina Spa e il suo progetto del Ponte a campata unica? È ideologico chi riesce a dire che il Ponte risponde ad imperativo motivo d’interesse militare e di salute pubblica per eludere il parere dell’Unione Europea (che su questi temi non può pronunciarsi) o chi chiede la decenza di non essere preso in giro con queste argomentazioni? È ideologica la posizione dell’Ente regionale della Riserva di Capo Peloro che ha documento lo stravolgimento dei Laghi di Ganzirri, a Messina, o chi propone di compensare questo impatto con interventi al lago artificiale dell’Angitola, a Vibo Valentia?
Se per alcuni mettere una struttura fissa nel mezzo di una delle 25 rotte migratorie del mondo può essere cosa marginale, il costo di questa mega-opera dovrebbe però preoccupare chiunque. Per anni abbiamo sentito la propaganda per cui il Ponte avrebbe attratto investitori privati. Quando il governo Monti (anch’esso ideologico?) per legge ha chiesto contezza di quali e quanti sarebbero stati come condizione per proseguire l’opera, le carte non sono arrivate e conseguentemente la Società di Messina Spa è stata caducata. Ora si prevede una spesa di 13,5 miliardi a carico pubblico: 6,962 miliardi dal bilancio statale (e magari ricorrendo all’escamotage delle spese militari fuori dal Patto di Stabilità), 4,6 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione centrale, altri 1,6 miliardi dallo stesso Fsc ma per la parte in capo a Sicilia e Calabria e 370 milioni dalla Stretto di Messina Spa. Una cifra “virtuale”, sottostimata, ma che guarda caso costituirebbe il limite massimo di rialzo per evitare una gara internazionale e ridare l’appalto al consorzio Eurolink, guidato dalla società Webuilt. Il Presidente dell’Anac, l’avvocato Giuseppe Busia, ha segnalato formalmente (anche in audizioni parlamentari) l’anomalia della cosa, ma è rimasto sostanzialmente inascoltato. Che sia ideologico anche lui?
E non può certo passare inosservato il fatto che il prosciugamento dei Fondi per lo sviluppo e la coesione impedirà la realizzazione di altri interventi, ad esempio nel settore trasportistico (che a livello siciliano versa in una situazione più che paradossale) o in altri ambiti sociali (la Calabria è la regione col peggiore welfare in Italia). Ma il Governo ritiene che il Ponte produrrà una significativa crescita economica capace di aumentare il Pil tanto della Calabria che della Sicilia: “A fronte di un impegno di spesa previsto di 13,5 miliardi di euro, l’investimento genererà 23,1 miliardi di Pil, 22,1 miliardi di reddito per le famiglie, 10,3 miliardi di entrate fiscali e 36.700 occupati equivalenti”, questo perché l’insularità della Sicilia sarebbe causa principale del deficit economico dei territori. Noi, accusati di ideologismo, continuiamo però a domandarci come mai la Calabria, ben saldamente attaccata al continente, non sia economicamente decollata e perché abbia il Pil regionale pro capite (ed il welfare) peggiore d’Italia e perché la Sardegna abbia un Pil regionale pro capite superiore a quello dalla Sicilia. Per ribaltare questi dati non serve il Ponte, ma forse servirebbero i soldi che costerà, ovviamente altrimenti investiti.
*Presidente del Centro Studi del Wwf - Fonte: Il Fatto Quotidiano