24 Agosto 2025 Sport Cultura Spettacolo

Post democracy: al Cortile Teatro Festival va in scena la morte della democrazia nel nuovo spettacolo di Raimondo Brandi

Di Tonino Cafeo. “Il 2024 è l'anno in cui, in assoluto, hanno votato più persone nella storia”. Eppure la democrazia, quella liberale, europea, con la separazione dei poteri, il pluralismo eccetera, oggi non sembra godere di buona salute. No non siamo in un talk show di quelli che guardano i laureati la sera al posto delle assemblee che facevano da studenti. Siamo a teatro,precisamente al quarto appuntamento del Cortile Teatro Festival2025, alla tenuta Rasocolmo, e a fare questa affermazione impegnativa- con tanto di grafico dimostrativo alle spalle – è l’attore e regista Raimondo Brandi aprendo il suo spettacolo:Post democracyproposte drastiche per un futuro audace. Ma perché uno stand up comedian dovrebbe fare al suo pubblico delle proposte “drastiche” e perché avremmo tutti bisogno di un futuro “audace”? La prima risposta viene dalle slides che accompagnano tutto il percorso delineato dalle parole scoppiettanti del protagonista dello spettacolo. Sullo schermo si alternano le immagini dei principali protagonisti della scena politica mondiale degli ultimi decenni: Putin, Bolsonaro, Milei, Netanyahu, Trump, Orban, e – quasi come padri nobili e precursori - Berlusconi e il colonnello Gheddafi. Leaders diversi tra loro, ma accomunati dall’aver saputo accumulare grande consenso elettorale presentandosi come personaggi in grado di alleggerire l’uomo comune dal suo fardello di preoccupazioni e paure quotidiane e offrirgli di partecipare a un grande sogno di potenza e successo. In altre parole il populismo, che assedia la mite democrazia offrendo risposte semplici a problemi complessi e il regno “della poesia” sicuramente più affascinante rispetto alla “repubblica dei fatti”, delle statistiche e dei numeri “aridi” . Raimondo Brandi, sgargiante camicia a fiori e microfono alla mano, insinua il dubbio che il complesso di superiorità coltivato dal buon cittadino democratico che si sente dalla parte del buonsenso e della ragione sia perdente di fronte alla capacità manipolatoria   e soprattutto al potente dispiegamento di mezzi economici a disposizione dei nuovi “dittatori democratici”. Come possono i parlamenti, i tribunali indipendenti, le università, i libri, contrastare il regno delle fake news, della post verità, delle bugie elaborate dentroapposite fabbriche di disinformazione e ripetute milioni di volte? Non possono, semplicemente. Qui allora arriva la “proposta audace”: eleggiamo noi - quelli che leggono i libri e vanno a teatro e al cinema - un dittatore democratico fatto a nostra immagine e somiglianza.  Raimondo Brandi nuovo capo assoluto. Tanto peggio di quegli altri difficilmente potrà fare.

Post Democracy si configura dunque come uno spettacolo - comizio elettorale. Una cura omeopatica contro l’epidemia populista praticata utilizzando il suo stesso linguaggio e le sue stesse pratiche, però a piccole dosi. Un comico al potere: la sensazione di deja vu è netta. Del resto la commistione, l’identificazione piena fra il linguaggio della politica e quello dello spettacolo è uno dei bersagli polemici di Brandi, che tratta il tema – a scanso di equivoci – con dosi massicce di autoironia e di sarcasmo. Viene in mente il comico britannico Sacha BaronCohen, che con il suo Dittatore, ha messo in scena senza falsi pudori la vita non troppi immaginaria di un regime autoritario ispirandosi a Gheddafi e Saddam Hussein. Però Post democracy si spinge oltre. Il monologo, fra un aneddoto e un paradosso dietro l’altro, strappa grandi risate al ritmo di Mi vendo di Renato Zero, ma ha antecedenti illustri. Il richiamo alla Repubblica di Platone, con la sua idea di tirannide dei filosofi, è dichiarato esplicitamentee dai lustrini di una campagna elettorale fittizia all’americana fa capolino la “modesta proposta” di cannibalismo dei bambini con cui Jonathan Swift nel XVIII secolo polemizzava con Malthus  a proposito di rimedi contro la sovrappopolazione.

Lo spettacolo di Raimondo Brandi, con le sue peculiarità, si inserisce quindi in quel filone di teatro civile che usa il linguaggio giullaresco  e satirico per fare l’autopsia al nostro tempo e propone la figura dell’artista come “segnalatore di incendio” e coscienza critica della nostra società. Un testimone proveniente da un altro tempo per resistere sia alla(presunta) fine della storia, sia al suo nuovo inizio a base di guerre e stermini tutt’altro che metaforici.

foto di Giuseppe Contarini