11 Settembre 2025 Giudiziaria

Il caso Elkann. L’intervista a Sebastiano Ardita: “Questa non è giustizia equa. Legge Cartabia è salva-evasori”

Di Antonella Mascali - Procuratore Ardita (aggiunto di Catania, ndr), il presidente di Stellantis, John Elkann ha appena chiesto la messa alla prova, dopo l’accusa di truffa ai danni dello Stato mossa dalla procura di Torino per le vicende di presunte tasse non pagate e presunti artifizi messi in opera a proposito della residenza della nonna Marella Caracciolo Agnelli. Elkann starebbe anche versando all’Agenzia delle Entrate 183 milioni di euro complessivi di tasse e imposte evase e conseguenti sanzioni. Una vittoria dello Stato?

Dipende dai punti di vista. Se lo Stato avesse quale unico suo obiettivo quello di fare cassa potrebbe intravedersi qualche lato positivo. Ma naturalmente occorre sempre capire quale sia la proporzione tra l’importo versato e quello evaso. Se, invece, guardiamo all’ortodossia di un sistema penale, al suo livello complessivo di equità e di pari trattamento tra cittadini, allora forse questi strumenti fanno sorgere qualche dubbio.

La messa alla prova è stata ampliata dalla riforma dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia. A grosse linee cosa è cambiato?

La messa alla prova è uno strumento moderno che serve da un lato a sfoltire i processi, dall’altro a consentire all’imputato un’opportunità per dimostrare al giudice di aver compreso l’errore commesso. A quel punto si sospende il processo, il soggetto viene affidato a un ente e dopo aver dimostrato di aver preso coscienza dell’errore commesso, si può dichiarare estinto il procedimento. Si tratta con tutta evidenza di uno strumento dedicato a situazioni di minore gravità sociale (guida in stato di e brezza senza patente) o utilizzato preferenzialmente per i minorenni, per i giovani, e per categorie a rischio (alcol, o tossico dipendenti ) ovvero per persone per cui sussistono evidenti margini di cambiamento. La sua recente estensione – con la legge Cartabia – a reati diversi, più gravi anche con pene fino a 6 anni, pone problemi di coerenza con la struttura e la finalità dell’istituto, che non si addice a chi commette reati che presuppongono una forte personalità, già strutturata.

Perché lei è critico nei confronti di questo strumento? In fondo l’indagato accetta di fare lavori socialmente utili e di risarcire un danno, si alleggeriscono le carceri con problemi di sovraffollamento …

Ci sono reati per i quali la messa alla prova non ha proprio senso. Nei reati fiscali, finanziari, di corruzione, dove in genere è coinvolta la classe dirigente di una società, è impensabile che possano esserci margini credibili ed efficaci per attuare uno strumento come la messa alla prova. Il soggetto dovrebbe dimostrare di avere capovolto la prospettiva che lo ha condotto a commettere un reato. Il tossico dipendente deve dimostrare di non avere assunto più droga, l’alcol dipendente che non berrà più, il motociclista spericolato deve provare di aver imparato a rispettare sempre i limiti velocità. Mi chiedo che prova dovrebbe dare chi ha commesso reati fiscali. Fonte: Il Fatto Quotidiano