
Indagine sulla pista nera per via D’Amelio, la gip si riserva di decidere. L’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, si è opposto alla richiesta di archiviazione della procura
La gip di Caltanissetta Graziella Luparello si è riservata di decidere sull’eventuale archiviazione della “pista nera” per la strage di via D’Amelio. Ieri, nel corso di un’udienza camerale, i pm della procura di Caltanissetta hanno chiesto di procedere all’archiviazione mentre l’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, si è opposto ed è tornato a chiedere un nuovo supplemento di indagini. Le parti hanno prodotto e depositato altra documentazione da acquisire nel fascicolo. Era stato proprio Repici, lo scorso luglio, a chiedere alla gip di fissare una nuova udienza alla luce di un verbale che era stato appena rinvenuto, risalente al 15 giugno 1992, sulla strage di Capaci. Il verbale in questione risulta firmato anche dal giudice Paolo Borsellino. Alla riunione, svoltasi a Palermo, presero parte Pietro Giammanco, procuratore capo, Vittorio Aliquò e Paolo Borsellino, procuratori aggiunti, Vittorio Teresi, sostituto procuratore e Pietro Maria Vaccara, sostituto procuratore a Caltanissetta. Nel verbale emerge, che i magistrati presenti alla riunione si scambiarono informazioni riguardanti la strage di Capaci e altre sulle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte nei confronti del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero (nel frattempo deceduto) e della sua ex compagna Maria Romeo, nel corso delle quali si accennava a Capaci. Lo Cicero e la sua compagna, sono stati i primi a raccontare della presenza di Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, in Sicilia nei giorni dell’attentato di Capaci. I documenti prodotti da Repici, dimostrerebbero come Borsellino fosse interessato alle dichiarazioni di Lo Cicero, il pentito che ha raccontato del coinvolgimento degli estremisti neri nelle stragi. Nel corso dell’udienza l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, si è opposto alla riapertura delle indagini. Trizzino ha sempre sostenuto che una delle cause più accreditate sull’attentato, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, sia da ricercare nel dossier “Mafia e appalti”, che svelò pericolosi intrecci tra Cosa nostra, politica e imprenditoria.