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Servirà attendere un mese per conoscere le motivazioni con cui la Corte dei Conti ha bocciato mercoledì la delibera del Cipess (il comitato interministeriale per i grandi progetti pubblici) che aveva approvato il progetto definitivo del ponte sullo Stretto. Uno stop che ha fatto infuriare Meloni e soci, che hanno provato a far passare la figuraccia come una questione di pure “formalità”, tipo l’assenza di firme sui documenti o le critiche per l’uso dei link invece dei file veri e propri (“ignorano l’esistenza dei computer”, ha ironizzato la premier). Insomma, un atto “politico”. Nulla di tutto questo. La procedura è stata seguita dal ministero di Matteo Salvini con un dilettantismo di cui il leghista si sta forse accorgendo solo ora, tra lacune ed errori tecnici. Molti dei rilievi, però, sono pesanti e sostanziali, alcuni sollevati non solo dai magistrati contabili: illuminano tutte le forzature della corsa avviata da Salvini nel marzo 2023 per far rinascere l’opera insieme alla Stretto di Messina, la società pubblica che dovrebbe realizzarla. Ecco una inesaustiva sintesi di quel che non torna.
La gara. Tutte le forzature di Salvini&C. discendono dalla decisione di non rifare la gara e riaffidare l’opera al vincitore di quella del 2005, il consorzio Eurolink oggi guidato da Webuild. Le norme Ue impongono di rifarla se il costo supera del 50% quello originario. Il governo però s’è inventato che la base da cui partire non è l’appalto originario (4,6 miliardi) ma il costo aggiornato del 2011 (6,1 miliardi). La differenza rispetto ai 10,5 miliardi attuali (13,5 considerate anche le opere complementari) la imputa all“inflazione”. Sia l’Autorità anticorruzione sia la Corte dei Conti hanno spiegato che è una procedura opaca e rischiosa, la seconda non ha ottenuto chiarimenti nemmeno sul dialogo in corso con Bruxelles. Anche a prendere per buona la procedura, ha avvisato Anac, qualsiasi nuovo aumento porterebbe a sforare il tetto del 50%, cosa che il ministero delle Infrastrutture non nega. Problema: siamo solo al progetto definitivo, manca l’esecutivo, l’unico in grado di chiarire i costi definitivi (a non dire delle varianti).
Il progetto. È quello vecchio del 2011, da aggiornare con modifiche ed enormi dubbi tecnici da sciogliere in sede esecutiva dove, per espressa richiesta del Cipess, serve adeguarsi a “151 prescrizioni”, alcune pesanti, a non voler contare le 68 “raccomandazioni” del Comitato tecnico scientifico della Stretto di Messina Spa. Sono incompatibili con la natura di un progetto definitivo che, ricorda la CdC, in quanto tale deve far sì che “non emergano significative differenze tecniche e di costo nella successiva fase esecutiva”. Il governo non ha nemmeno chiarito come ne stima i costi. E, visto che Salvini ha permesso di procedere per “fasi esecutive”, sarà di fatto impossibile avere un quadro completo. Altra anomalia: per il ministero non serve un nuovo passaggio al Consiglio superiore dei lavori pubblici, che però si espresse nel 1997 sul progetto “di massima” del 1992, che da allora è cambiato tantissimo. Secondo Salvini&C. basta il via libera del Comitato scientifico della Stretto di Messina, cioè i tecnici nominati dallo stesso Salvini (quelli delle 68 “raccomandazioni” peraltro). È un gigantesco salto nel vuoto.
Ambiente. La Valutazione di impatto ambientale è positiva, ma con oltre 60 tra prescrizioni e raccomandazioni, alcune delle quali richiedono fino a un anno per essere ottemperate (sempre nella solita fase esecutiva). Non è chiaro quanto costerà. Quella di incidenza ambientale sulle aree protette dalle normative Ue, invece, non è positiva, ma viene superata dagli “Imperativi motivi di interesse pubblico” (Iropi) con cui il Ponte viene dichiarato “opera militare ai fini Nato”. Solo che Salvini&C. non hanno chiarito l’iter seguito per permettere di verificare il rispetto delle procedure e nemmeno informato la Corte dei Conti del dialogo in corso con l’Ue, che sul tema ha chiesto chiarimenti.
Penali. La CdC non se ne occupa direttamente, ma sono l’unica cosa che conta davvero in questa storia. Dopo lo stop del 2012 del governo Monti, Eurolink ha chiesto 700 milioni di danni in forza di una penale garantita, tra gli altri, da una bizzarra modifica al contratto – che blindava l’indennizzo anche senza approvazione del Cipess – firmata pure dall’allora Ad di Stretto di Messina, Pietro Ciucci, richiamato ora al vertice da Salvini. In primo grado ha perso, l’udienza d’appello è slittata al 9 marzo. La nuova penale, sostengono Ciucci e soci, sarebbe ora di circa 420 milioni, ma nessuno conosce i nuovi contratti e il precedente non promette bene. Considerati oneri e danni aggiuntivi si torna sempre a circa 700 milioni, ma stavolta con molte più certezze per Eurolink di ottenere i soldi.
 
             
                         
                             
                         
                             
                         
                             
                        