Il grande equivoco del Ponte: la bocciatura era inevitabile. Lo stop della Corte dei Conti era scritto nelle forzature messe in campo dal leghista per far felice il costruttore Webuild
di Carlo Di Foggia - Per capire l’imbuto in cui si è infilato il governo nella vicenda del Ponte sullo Stretto di Messina basterebbe un dettaglio. Il giorno dopo lo stop della Corte dei Conti alla delibera con cui il Cipess, il comitato per i grandi progetti pubblici, ad agosto aveva approvato il progetto definitivo, i giornali vicini alla destra e le pagine social della galassia che sostiene la maxi opera si sono riempiti di attacchi alla magistrata contabile Valeria Franchi che ha istruito la valutazione poi rimessa in sede collegiale. “Una giudice giallorossa”, “una ex M5S” che “ha lavorato con i governi di centrosinistra”, ha scritto La Verità (a non dire degli insulti nei commenti sulle pagine Facebook pro ponte), visto che “è stata consigliera giuridica dell’allora ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova” e poi “del 5Stelle Stefano Patuanelli al ministero dello Sviluppo Economico, sempre nel Conte 2”. Franchi però non ha mai lavorato per Patuanelli – basterebbe dare un’occhiata al Cv online per verificarlo – ma per il leghista Giancarlo Giorgetti nel governo Draghi. L’attuale ministro dell’Economia la chiamò come esperta giuridica e poi la promosse Vice capo di Gabinetto fino alla caduta dell’esecutivo, sintomo che ne aveva piena fiducia. Quindi c’è una giudice “leghista” dietro lo stop al Ponte? È indicativo che si sia arrivati a questo livello imbarazzante.
La sciatteria dei lobbisti dell’opera fa il paio con il dilettantismo con cui Matteo Salvini e i suoi uomini al ministero dei Trasporti hanno gestito il dossier ma non può e non deve oscurare la vera questione di fondo: la forzatura messa in atto dal leghista fin da quando, a marzo 2023, ha deciso di far rinascere l’opera insieme al contratto con Eurolink, il consorzio costruttore capitanato dal colosso Webuild che aveva vinto la gara del 2005. Da essa discendono tutte le altre forzature messe in atto in questi due anni che hanno portato all’epilogo del 29 ottobre.
Dopo lo stop della Corte dei Conti, Meloni&C. hanno minacciato di chiedere la registrazione “con riserva” dell’atto illegittimo, salvo poi prendere tempo, forse per paura delle possibili contestazioni erariali future. “Quando la Corte pubblicherà le motivazioni, risponderemo a tutti i rilievi”, ha detto Salvini, ma non c’è da rispondere a nulla perché la procedura è chiusa. L’unica soluzione, oltre all’atto di forza, sarebbe rifare la delibera Cipess adeguandosi a quanto chiesto dai magistrati. E qui veniamo al grande equivoco.
La Cdc contesta il fatto che sul progetto definitivo gravino oltre 150 prescrizioni, tra cui quelle ambientali: troppe e troppo rilevanti, in termini di impatto sui costi, per poterle rimandare al progetto esecutivo, che non a caso Salvini ha concesso di realizzare per “fasi”. Cioè si partirebbe da subito lavori che stravolgeranno il territorio senza sapere se il ponte si potrà davvero fare. Non si è mai vista una cosa del genere. Manca, per dire, la microzonazione sismica delle aree dello Stretto coinvolte. I tecnici del Mit ci hanno messo del loro consegnando le prescrizioni aggiornate, che pure avevano da luglio, solo il giorno prima dell’adunanza. Sembra una scortesia istituzionale ma il punto è che alcune di queste prescrizioni prevedono studi e prove che durerebbero mesi o anche anni.
Ci sono poi le mancanze procedurali, tra documenti non firmati, assenza di computi metrici estimativi e stime di traffico solide. Su queste ultime il ministero di Salvini ha deciso di escludere la valutazione dell’Autorità dei Trasporti, inventandosi addirittura che quello che pagheranno i mezzi che attraverseranno il ponte non è un “pedaggio”. Si è affidato a una società privata che ha partorito stime assai ottimistiche che non è riuscito a motivare adeguatamente (sono per loro natura “evanescenti”, hanno ammesso i tecnici del Mit in adunanza).
Il vero nodo però riguarda la possibile violazione delle norme Ue (come la direttiva Habitat sulle aree protette), soprattutto quelle che impongono di rifare la gara se il costo supera del 50% quello dell’appalto originario. I costi sono passati dai 3,9 miliardi della gara del 2005 ai 10,5 miliardi del contratto attuale (13,5 con le opere complementari). Il ministero ritiene che l’aumento sia dovuto solo all’inflazione ma non ha fornito ai magistrati contabili gli atti scambiati durante le discussioni con la Commissione. Una scelta apparentemente suicida ma che si spiega solo col fatto che non può esistere un lasciapassare di Bruxelles in grado di blindare l’atto in caso di ricorsi alla Corte di Giustizia europea. Senza considerare che Salvini&C. dovrebbero motivare perché oggi l’infrastruttura è tutta a carico dello Stato senza nemmeno fingere il concorso dei privati.
Insomma Salvini ha deciso di riaffidare la maxi opera a un colosso che è in causa con lo Stato che dodici anni gli intimò di fermarsi perché era uno spreco di soldi. La bocciatura era inevitabile. Fonte: Il Fatto Quotidiano