
L’indagine su Prestipino e quel Ponte sullo Stretto in mano alla mafia
di Luca Grossi - La notizia è nota: il procuratore aggiunto della Dna Michele Prestipino è indagato dalla Procura nissena per rivelazione di segreto d'ufficio con l'aggravante di aver agevolato la mafia.
I particolari sono tutti racchiusi in quella famosa cena del primo aprile di quest'anno che il magistrato ha avuto con Gianni De Gennaro (non indagato ma probabilmente monitorato come terzo), ex capo della polizia e oggi presidente di Eurolink il consorzio di imprese, general contractor per la progettazione e costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, e Francesco Gratteri, ex direttore dell'anticrimine e consulente per la sicurezza della società Webuild, socio di maggioranza del consorzio.
Dettagli a parte, l’indagine comunque verrà trasmessa alla Procura di Roma. Tuttavia rischia di essere l'ennesimo flop poiché l’avvocato di Prestipino, Cesare Placanica, ha depositato una memoria nella quale un punto è l'inutilizzabilità delle intercettazioni.
La sentenza a Sezioni Unite della Cassazione del 2019 impedirebbe l’uso delle conversazioni captate in un procedimento diverso per un reato più grave. La sentenza della VI sezione n. 24753 del 2022, però introduce un’eccezione. L’intercettazione è sempre utilizzabile se è essa stessa corpo del reato come accade nelle rivelazioni di segreto di ufficio intercettate.
Nel frattempo il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ha ritirato immediatamente le deleghe di indagine a Prestipino per quanto riguarda 'Ndrangheta e mafia garantendo che “l’ufficio che dirigo e le Procure distrettuali che conducono le indagini relative a ogni tentativo di condizionamento mafioso delle attività d’impresa collegate alla realizzazione del Ponte sullo stretto di Messina continueranno ad assicurare il loro comune impegno e la loro immutata dedizione per la completezza e la tempestività delle investigazioni”.
Una dichiarazione che, come riportato da Antonio Esposito sul 'Fatto Quotidiano', "smentisce platealmente le infondate dichiarazioni rese lo scorso anno con le quali l’ex poliziotto antimafia, già braccio destro di Giovanni Falcone, sentenziava:''Nessun rischio di infiltrazione per la realizzazione del Ponte sullo Stretto... Mi sento assolutamente sereno e tranquillo sul fatto che ci saranno tutte le condizioni per lavorare in trasparenza, legalità e rispettando le norme''. Si tratta dello stesso De Gennaro che, per anni è stato a capo di quella Direzione investigativa antimafia (Dia, voluta da Falcone, ndr) che, a partire dal 1995, con una serie di relazioni, dava l’allarme sugli “interessi della ’Ndrangheta e di Cosa Nostra sollecitati dal progetto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto”.
Anche il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini dovrebbe ripensare a cambiare la sua solita pantomima sulla realizzazione di un eco mostro che servirebbe solamente a far passare i carri armati della NATO e che ha già condannato migliaia di famiglie a lasciare le proprie case.
Un'opera inutile, dannosa per il territorio, che viene calata dall'alto per questioni economiche, politiche e geopolitiche. Il procuratore aggiunto facente funzioni di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nel 2023 ne aveva già parlato: "Del ponte se ne discute da sempre, anche in ambienti criminali. Il rischio qual è? Che il ponte non colleghi due coste ma colleghi due cosche. Questo assolutamente non deve avvenire. Perché dico questo? Perché ci sono stati anni in cui tutta l'area del messinese era un'area che faceva capo a famiglie di 'Ndrangheta. Certamente gli appetiti ci saranno, ma non saranno più appetiti legati alla singola articolazione territoriale che controlla quel territorio, ma certamente a componenti di più alto livello.
Stiamo parlando di soggetti che ovviamente hanno un compito di comporre quella che è la direzione strategica. È evidente che non può che muoversi quel livello nel momento in cui un'opera come il Ponte sullo Stretto di Messina si decida davvero di realizzarla. C'è un livello molto alto nelle due componenti calabresi e siciliane in cui le due componenti diventano una Cosa unica".
Un'altra voce ad aver detto la verità è stata quella di Don Luigi Ciotti (a cui spetterebbero delle scuse): "State attenti che con questa grande opera c’è il rischio di non unire soltanto due coste ma due cosche” aveva detto ad aprile del 2024. "La mia non era una battuta ad effetto. Al di là delle valutazioni Ponte sì-Ponte no e di altre infrastrutture che non sono state fatte, qui a mancare sono soprattutto strade e autostrade…”.
Il ministro Salvini dalla sua poltrona si era scagliato contro il sacerdote invitando lui, e tutti quelli che denunciavano la mafia, a espatriare: "Mi fa schifo - aveva detto Salvini - che qualcuno pensi che Sicilia e Calabria rappresentino le cosche. Fino a che c'è qualcuno all'estero che dipinge l'Italia come mafia pizza e mandolino, fa schifo ma è all'estero. Se c'è qualche italiano che continua a dipingere l'Italia come mafia, pizza e mandolino, se espatria fa un favore a tutti".
Una frase che riassume tutta la filosofia del leader leghista. Chissà se dal governo qualcuno si farà sentire.
Di certo sappiamo che ci sono inchieste delicatissime in corso sulle due sponde dello Stretto, e la Procura Nazionale Antimafia sta coordinando ben cinque procure: Catanzaro, Catania, Messina, Reggio Calabria e Milano, che si è attivata poiché sembra che i boss stiano acquistando terreni e aprendo nuove società pronte a sfruttare ogni occasione di subappalto.
Il buon senso imporrebbe un 'alt' immediato ai lavori e un dirottamento delle risorse verso la realizzazione sulle strutture che contano davvero. Ma ci sarà sempre chi dirà laconicamente: 'Aspettiamo le sentenze definitive della magistratura'. Tanto a pagare saranno sempre i cittadini.