1 Ottobre 2025 Giudiziaria

Ardita: ”Oggi collaborare con la giustizia non conviene più. È un problema”

L’intervento del procuratore aggiunto di Catania alla rassegna di Our Voice. Ospiti anche Giorgio Bongiovanni e Maddalena Oliva

Oggi non è conveniente collaborare con la giustizia. Questo è il vero problema. E se i collaboratori non parlano più, noi perdiamo lo strumento che ha permesso di conoscere l’essenza dei fenomeni criminali, gli intrecci tra mafia, politica e apparati dello Stato”. Con queste parole, ieri sera al Cre.Zi. Plus di Palermo, il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita è intervenuto nel talk conclusivo della rassegna culturale “Resistenzə”, organizzata da Our Voice dal 25 al 28 settembre.
Sul palco, insieme a lui, il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni e la vicedirettrice de Il Fatto Quotidiano Maddalena Oliva, collegata da remoto. A condurre l’incontro Marta Capaccioni di Our Voice, che ha incalzato gli ospiti con domande su riforme della giustizia, normativa antimafia e libertà di informazione come baluardo della democrazia.

Sempre meno collaborazioni

Ardita ha ricordato come “da circa vent’anni vengono introdotte norme che scoraggiano la collaborazione con la giustizia”, fino a rendere inutile la scelta del pentimento. “Un mafioso oggi non ha alcuna convenienza a collaborare: ottiene benefici, scarcerazioni, possibilità di uscire dal 41 bis senza dare alcun contributo. Perché dovrebbe rompere con Cosa Nostra?”. Una situazione che il magistrato ha definito “un arretramento grave, che ci riporta al livello normativo precedente alla morte di Giovanni Falcone”.

Un “cortocircuito” scaturito dalla volontà di adeguamento della normativa per ottenere i “presupposti sulla base dei quali una persona che era mafioso, che non aveva collaborato, potesse avere i benefici e uscire dal carcere; quindi, potesse compiere un'attività che poteva diventare potenzialmente devastante per i cittadini innocenti”.
Cosa è accaduto? “Quello che noi temevamo che sarebbe accaduto – ha aggiunto -. Ovvero che quando manca la prova dell'interruzione dei rapporti attraverso questa ‘acqua fresca’ che è la richiesta di partecipare a giustizia riparativa, quindi il risarcimento del danno, la revisione dichiarata del percorso individuale precedente, ecc, si è preteso di provare l’interruzione dei rapporti con l’organizzazione. Ecco il cortocircuito. In pratica noi abbiamo situazioni nelle quali moltissimi soggetti rischiano di uscire dal carcere, moltissimi soggetti che hanno partecipato a gravissimi reati sono nella condizione di avere riacquistato la libertà senza avere dato nessun contributo. E quindi domando: perché un mafioso dovrebbe collaborare se ottiene comunque la libertà in queste condizioni?”.

Separazione delle carriere

Ampio spazio è stato dedicato anche alla riforma della separazione delle carriere, oggi al centro del dibattito politico. “Si tratta di una propaganda mascherata da riforma costituzionale – ha spiegato –. Si dice che il giudice si senta condizionato perché il pubblico ministero è suo collega. Ma questa è una delle offese più gravi all’intelligenza dei cittadini e alla professionalità dei magistrati. Il nostro compito è cercare la verità: se un collega sostiene una tesi che non sta in piedi, il giudice ha ancora più ragione per riaffermare ciò che è giusto”. Secondo Ardita, la conseguenza concreta sarebbe quella di “legittimare un pubblico ministero sganciato dalla giurisdizione, simile a un politico, preoccupato di comunicare il numero di arresti e di fare carriera invece che di distinguere ciò che serve davvero alla collettività”.
Quindi un pubblico ministero che opererebbe “in una dimensione che non giova ai cittadini, con un potenziale interesse di diventare soggetti politici, magari ingraziandosi quella che è l'opposizione e attaccando a testa bassa il governo, anche in modo strumentale. Questo può accadere quando si perde l'ombrello della giurisdizione nella gestione delle questioni che riguardano la giustizia, le indagini, le attività investigative”.

Tra riforme e revisionismo storico

Critiche dure anche alle ultime riforme varate o annunciate: dall’abolizione dell’abuso d’ufficio alle nuove regole sulla custodia cautelare. “Quando si interviene su singole norme - ha detto - il segnale è chiaro: c’è un obiettivo concreto da raggiungere. E in questo caso l’obiettivo è tutelare una classe dirigente che vuole evitare il rischio non solo del processo, ma persino delle misure cautelari”. Ardita ha avvertito: “Un incensurato con fedina penale pulita può essere un colletto bianco capace di inquinare prove o influenzare testimoni. Dire che si abolisce la custodia cautelare per risolvere il sovraffollamento carcerario è un inganno”.

Infine, il magistrato si è soffermato sul tema del revisionismo delle stragi, rilanciato dalle recenti dichiarazioni del figlio di Totò Riina. “La storia è piena di questi fenomeni – ha detto –: il male conclamato viene negato o banalizzato. Oggi accade con la scarsa memoria delle persone e con l’indifferenza della politica. Ma quando lo Stato è debole, anche la comunicazione distorta prende piede”. Da qui il monito: “Non si tratta di schierarsi per partito preso, ma di difendere i valori assoluti delle istituzioni. Perché rimettere lo scettro in mano a chi ha operato per il male significa tradire la memoria di chi ha pagato con la vita”.
La battaglia per la giustizia non è mai solo giuridica, ma anche culturale - ha concluso Ardita ringraziando l’organizzazione della rassegna -. È la capacità di resistere, di raccontare la verità, di non cedere alla propaganda”.