“Mafia-appalti? No, Borsellino morì per quello che disse a Casa Professa”
L’inchiesta mafia e appalti non è tra le cause, “men che meno quella scatenante”, dell’uccisione di Paolo Borsellino. L’ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli lo ribadisce nella seconda parte, ieri, dell’audizione davanti alla Commissione antimafia. Ha, invece, un’ipotesi privilegiata sull’accelerazione decisa da Cosa Nostra per compiere la strage di via D’Amelio: il discorso del 25 giugno 1992 a Casa Professa, a Palermo, nel trigesimo della morte di Falcone. Borsellino lo tiene di sera, ma nel pomeriggio incontra Mario Mori e Giuseppe De Donno. Su cosa si dicano non vi è certezza. Si sa, però, che i due avevano già iniziato gli incontri con Vito Ciancimino, in un primo momento collocati dopo la strage di via D’Amelio, salvo poi ammettere che ce ne furono alcuni già dopo Capaci.
A Casa Professa, Borsellino dichiara di avere delle “convinzioni” sulla morte di Falcone, ma che poteva riferire solo “all’autorità giudiziaria”, la Procura di Caltanissetta. Non farà in tempo. Secondo Caselli quel discorso” per i mafiosi era una “‘bomba’ pronta a scoppiare e la dovevano disinnescare”. Altro che “mafia e appalti” come suggeriscono Mori e De Donno, molto ascoltati dalla maggioranza della Commissione . Per Caselli “è del tutto evidente” che sono altre le ragioni della strage di via D’Amelio. Borsellino, quando si confida nelle ultime settimane di vita con la moglie e gli amici più cari, non parla mai di timori legati al dossier del Ros: “Agnese Borsellino non ha mai parlato del rapporto ‘Mafia e appalti’, eppure Paolo le confidava anche i segreti più delicati e scabrosi, come il fatto di aver appreso che il generale Subranni era ‘punciutu’”. Non lo fa neppure quando scoppia in lacrime e confida a due pm di Marsala, amici, Alessandra Camassa e Massimo Russo, che era stato “tradito da un amico”. Borsellino non fa il nome, i pm non lo chiedono. Caselli riferisce, inoltre, che l’ex pm Teresi ha ipotizzato che Borsellino a Caltanissetta “magari voleva parlare della pista nera legata a Capaci”, qualora l’avesse appresa dal confidente dei carabinieri Alberto Lo Cicero. Lo stesso Teresi, che “riferiva a Borsellino”, dice Caselli, lo sentì su incontri con il boss Marco Tullio Troia e l’ex deputato Msi-An, Guido Lo Porto, amico di infanzia di Borsellino.
Caselli ha puntualizzato anche che la perquisizione inutile nella casa di Riina, trovata vuota dopo l’arresto, fu responsabilità del Ros che non sorvegliò il covo, come “ordinato” dalla Procura. Le domande a Caselli sono state rinviate a una prossima seduta. Maurizio Gasparri ha anticipato che parlerà delle “molte imprecisioni”. All’unica domanda, della presidente Chiara Colosimo, Caselli ha ricordato che il falso pentito Scarantino “non fu mai usato dalla Procura di Palermo”.