Ardita: 41-bis ha le ore contate. Opinionisti e politici solidarizzano coi colpevoli
L’intervista al procuratore aggiunto di Catania a ‘La Sicilia’
Il 41-bis è un sistema penitenziario che ha “le ore contate, perché esiste nel paese una sensibilità politica trasversale, opposta al sentimento comune dei cittadini, che tende a vanificare l’esperienza penitenziaria. Sia con riguardo l’obiettivo della sicurezza che rispetto a quello della rieducazione”.
Sono state queste le parole del procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita in un’intervista rilasciata al quotidiano ‘La Sicilia’. Il tema principale è il 41-bis, il cosiddetto carcere duro, introdotto nel 1986 con lo scopo di impedire “il contatto dei personaggi vertice della criminalità mafiosa con l’esterno”.
Per Ardita rimane uno strumento valido “pur nel totale degrado della sicurezza penitenziaria -, le sezioni che ospitano i detenuti sottoposti a questo regime, quantomeno consentono di impedire che essi commettano reati dal carcere”.
L’applicazione, data l’importanza, è subordinata a un decreto firmato dal Ministro della Giustizia, che valuta le proposte che arrivano dagli organi investigativi antimafia. “La cosa più grave - ha continuato il magistrato - è che esiste una quantità di opinionisti, politici e pensatori, che si scandalizzano nell’immediatezza della commissione dei reati ma, quando vengono individuati i colpevoli, solidarizzano con questi ultimi a prescindere. C’è un meccanismo di identificazione della classe dirigente con la condizione degli indagati che appare a volte disarmante”. Ardita ha rimarcato dicendo che “senza una misura costante dell’impegno istituzionale per la sicurezza dei cittadini e per la rieducazione dei condannati, siamo costretti ogni mattina a svegliarci con una novità alla quale diamo il carattere dell’emergenza, senza cercare di capire da quale errore istituzionale essa sia stata generata. Cerchiamo le responsabilità dei misfatti dopo anni e chiudiamo gli occhi di fronte agli errori ed alle responsabilità evidenti che si consumano sotto i nostri occhi ogni giorno”.
Infatti “l’equilibrio nel nostro Paese lo ha spesso determinato l’emergenza. Non siamo stati mai capaci come nazione di prevedere e contrastare anzitempo un fenomeno criminale; e poi di programmare un trattamento sistematico dei reclusi che consenta loro di cambiare la propria vita. Ci siamo sempre mossi dopo un omicidio eccellente, dopo una strage, dopo una crisi di Stato. E una volta cambiata prospettiva, celebrati processi e ottenute le condanne, pensiamo di avere vinto per sempre il contrasto alla mafia o al terrorismo”.
Fonte: ‘LaSicilia’