26 Dicembre 2025 Sport Cultura Spettacolo

“Una storia semplice” di Leonardo Sciascia alla sala Laudamo. Quando il teatro indaga le “possibilità che restano, forse, alla giustizia”

Di Tonino Cafeo. Quando uscì ‘Una storia semplice’, nel 1989, il maxiprocesso di Palermo a Cosa Nostra era in pieno svolgimento mentre si era appena alla vigilia della fase più dura della guerra fra i corleonesi di Totò Riina e la Repubblica, culminata con le stragi di Capaci e via D’Amelio nella prima metà del 1992. È in questo contesto drammatico che Leonardo Sciascia scrive il suo ultimo, breve, romanzo. Un racconto d’indagine che, come le opere più note dello scrittore di Racalmuto, parte con chiarezza e semplicità, smentite poi dall’intrico della trama ma soprattutto dalla riflessione filosofica e politica sulla giustizia.

A trentasei anni dalla prima edizione del libro e a trentaquattro dal film omonimo di Emidio Greco, con Gianmaria Volontè, Ennio Fantastichini e Massimo Ghini, è sul palcoscenico messinese della Sala Laudamo che le parole diSciascia, intrise di ironia e passione civile, sono tornate a risuonare

Una storia semplice, per la regia di Roberto Bonaventura, ha infatti concluso per il 2025 la rassegna Disvelamenti prodotta dalTeatro Vittorio Emanuele nell’ambito del ricco cartellone 25/26, andando in scena con grande successo dal 14 al 23 dicembre scorso.

La storia del brigadiere della Polizia di stato Antonio Lagandara, che indaga sulla misteriosa scomparsa del diplomatico in pensione Giorgio Roccella scoprendo – attraverso dettagli apparentemente insignificanti - un’intricata trama di mafia che coinvolge uomini delle istituzioni, compreso il commissario suo diretto superiore, “non è un giallo, scrive Bonaventura nelle sue note di regia, ma “un racconto di potere, di omertà e di silenzio” che ha “la capacità crudele di farci sentire complici senza accorgercene.

È una strana telefonata giunta al commissariato di una cittadina siciliana nel clima distratto della vigilia della festa di San Giuseppe a dare il via allo sviluppo della vicenda. Lha fatta Giorgio Roccella, dopo avere scoperto nella villetta di campagna abbandonata, dove è tornato dopo una lunga assenza, l’installazione di un telefono mai richiesta e un quadro che risulterà rubato. Quando il giorno seguente il brigadiere Lagandara scoprirà il corpo senza vita del diplomatico con accanto una vecchia pistola risalente alla Prima guerra mondiale, quello che era stato considerato uno scherzo assumerà ben altri contorni. Il macabro ritrovamento però non smuoverà le granitiche certezze del Procuratore della Repubblica e del Questore, convinti di trovarsi davanti a un suicidio, mentre la consueta rivalità fra Polizia e Carabinieri rallenterà le indagini. Nel frattempo, un altro fatto poco chiaro complica ulteriormente la vicenda: l’omicidio del capostazione e di un manovale delle Ferrovie, scoperto per via di un treno rimasto troppo a lungo fermo a causa della durata eccessiva di un segnale rosso sulla linea locale. Un testimone oculare, l’uomo della Volvo, che era stato mandato dal macchinista del treno a vedere che cosa fosse successo alla stazione, sostiene di averli vivi e per questo finisce per essere arrestato per falsa testimonianza e complicità con gli assassini.

Vano ricercare una soluzione della trama poliziesca: mentre il commissario, vistosi scoperto dal suo collaboratore come complice della mafia, muore in uno scontro a fuoco con il brigadiere, che verrà insabbiato come incidente, l’uomo dellaVolvo, una volta chiarito l’equivoco della sua testimonianza, riconoscerà uno degli assassini nelle sembianze dell’ineffabile sacerdote padre Cricco ma preferirà tacere per non correre altri rischi.

C’è materia incandescente nel lavoro che Sciascia ha voluto intitolare, con ironia, Una storia semplice. Roberto Bonaventura l’ha resa drammaturgicamente illuminando di una luce cruda glieventi e i protagonisti. Non ci sono quinte sul palco a nascondere particolari, effetti speciali. La macchina e l’azione teatrale coincidono e gli elementi della scenografia- essenzialissimi sono maneggiati dagli stessi attori e attrici modulando di volta in volta cambi di scena che sono al tempo stesso coreografie rigorose e suggestive. Si vede tutto il possibile sul palcoscenico, a partire dalle prime battute dello spettacolo, in cui i personaggi si fannosorprendere dagli spettatori seduti attorno a un grande tavolo, come fossero intenti a fare la prova del testo a tavolino. Ciò che è invisibile è quel che non si vuole vedere perché autoingannarsi è comodo e aiuta a non cacciarsi di nuovo in un guaio, e più grossoancora, come dice sul finale luomo della Volvo, supertestimone mancato.

La scena -concepita dalla regia come una scacchiera in cui undici pedine si danno il cambio nei posizionamenti- allude a una terra in cui ogni evento si svolge sotto gli occhi di tutti ma appare ineluttabile e inafferrabile nella sua essenza più profonda. Convincente la prestazione del cast, con Gabriele Casablanca (il brigadiere), Alessio Bonaffini (il questore), Luca d’Arrigo (il Procuratore della Repubblica), Moreno Pio Mondì (l’uomo della Volvo), Giulia Mondello (la Narratrice), Gianfranco Quero (la vittima/il professor Franzò) che non hanno sovrastato l’azione rigorosamente corale voluta dalla regia. Originale la scelta di affidare il ruolo di padre Cricco a un attore/trice diverso/a ogni replica. Si sono alternati nella parte Stefano Cutrupi, Mariapia Rizzo, Lelio Naccari, Antonio Lo Presti e Antonio Previti.

Le musiche originali di Mario Galluppi di Cirella, le luci di Stefano Malarazza e i costumi di Cinzia Preitano hanno dato un contributo essenziale alla resa complessiva dello spettacolo, che voleva essere un contributo potente al dibattito sulle “possibilità che forse restano ancora alla giustizia” (Dürrenmatt) e c’è riuscito in pieno.