20 Aprile 2022 Giudiziaria

Iniziato il processo a Davigo, Sebastiano Ardita parte civile

Prima udienza e primo breve intervento in aula di Piercamillo Davigo. Così si aperto nell’aula al piano terra del tribunale di Brescia il processo a carico dell'ex consigliere del Csm in cui si deve difendere dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio per aver diffuso i verbali segreti dell’ex avvocato Eni Piero Amara sulla fantomatica Loggia Ungheria.

«La vicenda è molto più semplice di quel che sembra: io credo di aver fatto il mio dovere nelle uniche forme in cui era possibile farlo data la situazione», ha detto l’ex consigliere del Csm in una breve passaggio di dichiarazioni spontanee rese dal collegio della prima sezione penale (presidente Roberto Spanò).

È stata una prima udienza in cui i pm Francesco Milanesi e Donato Greco, i difensori di Davigo (Francesco Borasi e Domenico Pulitanò) e l’avvocato Fabio Repici, legale di parte civile di Sebastiano Ardita, hanno discusso sull’ammissione dei testimoni. Un’interlocuzione che ha visto contrapposti Repici e i rappresentanti della procura. Per il primo serviva la citazione di quasi una trentina di testi per provare come Ardita, anche lui consigliere del Csm tirato in ballo da Amara, sia stato “danneggiato” personalmente e professionalmente da Davigo. Per i secondi invece la lista andava ridotta per non uscire dal perimetro del capo d'imputazione. Una contesa risolta dal tribunale con l’ammissione totale di tutti i testimoni. «Ammettiamo tutti i testimoni e faremo una valutazione strada facendo», ha detto il giudice Spanò preannunciando però la possibilità di sfoltire il numero con l’andare avanti del dibattimento.

Non sono state invece sollevate questioni di competenza territoriale. «Non ho fatto questioni di competenza territoriale perché ritengo che non si debba scappare dal giudice quando si è innocente - ha spiegato Davigo. Non mi importa di andare davanti a un altro giudice perché io credo di aver ragioni che possano essere apprezzate da qualunque giudice, in qualunque sede». L’ex magistrato del pool Mani Pulite ha poi contestato all’accusa una differente interpretazione delle sue condotte. «Mi viene contestata come rivelazione di segreto d'ufficio l’aver informato il vicepresidente del Csm ma non mi viene contestato di aver detto le stesse cose al primo presidente della Corte di Cassazione: perché è lecito se lo dico a Curzio ed è illecito se lo dico a Ermini? Questo pubblico ministero avrebbe il dovere di spiegarmelo». E ancora fuori dall’aula circondato da microfoni e telecamere: «Vorrei sapere perché comportamenti identici a volte vengono considerati reati e altri no».

Il processo è stato aggiornato al 24 maggio quando verrà sentito il pm di Milano Paolo Storari, iniziale co-imputato di Davigo poi assolto in primo grado all’esito del giudizio abbreviato. Decisione contro cui è ricorsa la procura. Poi il 28 giugno, prima della sospensione estiva, sul banco dei testimoni sfileranno il vicepresidente del Csm David Ermini e ad alcuni consiglieri di Palazzo dei Marescialli (Giuseppe Marra, Giuseppe Cascini e Ilaria Pepe).

Tutto la vicenda nasce dalle rivelazioni sull’esistenza di una presunta e paramassonica loggia segreta che avrebbe raccolto magistrati e alte personalità dello Stato. A parlarne è stato Amara, tra dicembre 2019 e gennaio 2020, interrogato dal pm Paolo Storari e dal procuratore aggiunto Laura Pedio che insieme indagavano sul presunto falso complotto Eni mentre a Milano era in corso il processo Eni Nigeria. Storari, convinto della necessità di aprire immediatamente un fascicolo autonomo su Ungheria, ad aprile 2020, a suo dire per “autotutelarsi” dalla presunta inerzia dei capi, «fuori da ogni procedura formale» ha consegnato i verbali a Davigo, che - si legge nel capo d’accusa - «lo ha rassicurato di essere autorizzato a ricevere copia degli atti” in quanto “il segreto investigativo su di essi non era a lui apponibile perchй membro del Csm».

Quei verbali sono stati poi portati a Roma dall’ex pm di Mani Pulite, mostrati a mezza dozzina di colleghi del Csm, tra cui il vicepresidente David Ermini, il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi e il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra. Una volta andato in pensione Davigo, gli atti segreti sono finiti nelle mani della sua ex segretaria, Marcella Contraffatto e da lei, secondo le accuse della procura di Roma, in quelle di due giornalisti che hanno poi denunciato tutto.