20 Aprile 2022 Giudiziaria

Operazione “Matassa”: diventano definitive 22 condanne

E’ arrivato in tardissima serata il verdetto della Corte di Cassazione sul processo Matassa, l’inchiesta sugli affari dei nuovi clan messinesi e gli intrecci con i candidati alle elezioni regionali e amministrative del 2012-2013. La Suprema Corte ha respinto quasi tutti i ricorsi, rendendo definitive le condanne decise in secondo grado nel 2021. Soltanto per tre di loro il processo sarà da rifare. Tornano alla Corte d’appello gli atti per Fortunato Cirillo, Salvatore Pulio, Raimondo Messina (per i primi due bisogna rivalutare l’appartenenza al clan Ferrante mentre per Messina si tratta solo di un capo d’imputazione, quello che riguardava il tentato triplice omicidio dei parenti dell’ex boss Iano Ferrara al rione Cep). Per gli altri il verdetto è definitivo.

LE SENTENZE DI PRIMO GRADO E DI APPELLO.

Si era concluso, lo scorso 17 giugno, con 25 condanne e 16 tra assoluzioni e prescrizioni il processo d'Appello dell'inchiesta "Matassa". Era arrivata nel tardo pomeriggio la sentenza del maxiprocesso sulle commistioni tra mafia, politica e criminalità organizzata in città con al centro tre campagne elettorali tra il 2012 e il 2013, smantellate da una lunga indagine della Dda e della polizia nel 2016. Ma che ha rappresentato anche la ricostruzione della nuova geografia dei clan cittadini, con particolare attenzione ai gruppi criminali di Camaro e S. Lucia sopra Contesse. E tra i nomi eccellenti degli imputati c'erano da registrare le clamorose assoluzioni dall'associazione a delinquere degli ex parlamentari Francantonio Genovese e Franco Rinaldi e dell'ex consisgliere comunale Paolo David. La formula è “perché il fatto non sussiste”.

Poi erano stati dichiarati prescritti tutti i reati elettorali. Condanne invece per gli esponenti delle associazioni mafiose. Assoluzioni erano arrivate per: Baldassarre Giunti, Giuseppe Picarella, Pietro Santapaola, Rocco Richichi, Vincenza Celona, Gaetano Freni, Francesco Zuccarello, Lorenzo Papale, Antonino Lombardo, Vincenza Celona, Paola Guerrera, Francesco Perrello. Per il resto i giudici hanno disposto una serie di riduzioni di pena.

La Corte d’appello (presidente Alfredo Sicuro, consiglieri Carmelo Blatti e Silvana Cannizzaro) aveva condannato, invece, Giuseppe Cambria Scimone a 10 anni,Francesco Celona a 4 anni e 6 mesi, Giovanni Celona 11 anni e 10 mesi, Antonio Chillè un anno e sei mesi, Fortunato Cirillo 10 anni, Francesco Comandè 6 anni, Andrea De Francesco 7 anni, Francesco Foti 7 anni, Lorenzo Guarnera 10 anni,Salvatore Mangano 10 anni, Raimondo Messina 22 anni in continuazione con altre sentenze, Massimiliano Milo e Rocco Milo 3 anni e 6 mesi ciascuno, Gaetano Nostro 16 anni e 6 mesi, Giuseppe Pernicone 7 anni e 4 mesi, Adelfio Perticari 10 anni, Salvatore Pulio 10 anni, Francesco Tamburella 7 anni e 6 mesi, Concetta Terranova un anno e 10 mesi, Domenico Trentin 10 anni, Carmelo Ventura 13 anni e Giovanni Ventura 10 anni.

La requisitoria dell’accusa nel marzo scorso era stata essenzialmente incentrata su due punti-chiave: tutti i reati elettorali erano da considerarsi prescritti, e poi c'era il “nodo intercettazioni”, ovvero la loro eventuale utilizzabilità in secondo grado alla luce dell’ormai arcinota recente sentenza della Cassazione a sezioni unite, che ne ha fortemente limitato l’utilizzazione, esprimendosi in senso garantista per gli imputati. Li aveva esplicitati nel corso di un lungo intervento il sostituto procuratore generale Felice Lima. Che al di là di questi punti specifici, in linea generale aveva chiesto ai giudici d’appello la dichiarazione di prescrizione per tutti i reati di corruzione elettorale, la conferma per il resto della sentenza di primo grado, e infine la condanna a 24 anni di reclusione per uno degli imputati, Raimondo Messina, come unica posizione specifica rivisitata, anche in relazione al procedimento “Polena”. In primo grado nell’ottobre 2019 ci furono ben 39 condanne, a politici ed esponenti dei clan mafiosi. La sentenza di primo grado dimostrò secondo i giudici l’esistenza di tre associazioni criminali. O meglio quattro.

Tre di stampo mafioso, i clan Ventura e Ferrante a Camaro, con quest’ultimo sodalizio che in un determinato momento storico si è “avvicinato” parecchio al primo, e il gruppo Spartà a S. Lucia sopra Contesse. Una dedita invece al voto di scambio in più competizioni elettorali, capeggiata sostanzialmente dall’ex sindaco Francantonio Genovese e dal cognato Franco Rinaldi, entrambi ex parlamentari, uno nazionale e l’altro regionale. Ma fu l’esistenza del “sistema elettorale” dedito al voto di scambio a Messina e dintorni che ebbe una portata di grande novità dal punto di vista dell’accertamento processuale. Fu ricostruita una “rete di influenze” che in cambio dei voti contraccambiava non soltanto con generi alimentari, dai pacchi di pasta semplici alle “buste della spesa” complete, così come hanno raccontato in aula gli imprenditori Pernicone, ma poteva promettere per esempio assunzioni in cliniche private o partecipazioni delle coop nelle gare d’appalto. I numeri del primo grado parlano di 39 condanne, 6 assoluzioni totali e 2 dichiarazioni di prescrizione, rispetto ai 47 imputati iniziali.

Nell’ottobre del 2019 i giudici inflissero a Genovese 4 anni e 2 mesi, e a Rinaldi 3 anni e 4 mesi. Tra gli altri furono condannati anche gli ex consiglieri comunali Paolo David e Giuseppe Capurro, rispettivamente a 4 anni e 9 mesi, e a un anno (quest’ultimo rispondeva solo di corruzione elettorale ed aveva registrato a suo tempo l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare da parte dei giudici del Riesame). Al boss di Camaro Carmelo Ventura furono inflitti 18 anni. Agli imprenditori Angelo e Giuseppe Pernicone furono inflitti 11 anni e 10 anni e 4 mesi. Al medico Giuseppe Picarella fu inflitto un anno e 6 mesi.