19 Maggio 2022 Giudiziaria

L’ARRESTO DEL SINDACO PENNISI: Un affiliato del clan Cintorino orchestrava dal carcere le pressioni su sindaco e assessore

Era stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa, è stato arrestato di nuovo con la stessa accusa. Si tratta di Carmelo Pennisi, 41 anni, di Moio Alcantara, comune del Messinese travolto dallo scandalo per l’operazione della Guardia di Finanza, coordinata dalla procura di Messina guidata da Maurizio De Lucia, che ha svelato un sistema di controllo su appalti pubblici del comune di Moio Alcantara e su quello di Malvagna, gestito proprio da Pennisi, considerato affiliato al clan catanese dei Cintorino, direttamente dal carcere dove si trovava ristretto dopo l’accusa di mafia nell’operazione della procura di Catania “Isola Bella”. Da lì dava indicazioni al padre Giuseppe e alla sorella Clelia, di 42 anni, vice sindaca di Moio. Tutti e tre sono stati arrestati oggi dai finanzieri messinesi, assieme al sindaco di Moio Alcantara, Bruno Pennisi, omonimo ma non parente degli altri Pennisi tratti in arresto, che ha aderito al partito di Cateno De Luca Sicilia Vera. Arrestato anche l’assessore ai lavori pubblici di Malvagna Luca Giuseppe Orlando e il dirigente comunale, Antonio D’Amico, responsabile al Territorio e ambiente. Ai domiciliari invece, Santo Rosario Ferraro, imprenditore di Santa Teresa di Riva, comune costiero.

La zona è quella che ruota intorno a Taormina, nella provincia di Messina, e che dai comuni della costa ionica si estende fino all’interno, nel comune che ospita le note gole dell’Alcantara. In questa zona, da sempre sotto il controllo della mafia catenese, i Pennisi secondo l’accusa si muovevano sotto l’egida del clan Cintorino, ma muovendosi in totale autonomia, di fatto dando vita a una cellula quasi a se stante. Così condizionavano appalti ed elezioni comunali. I lavori pubblici, come il rifacimento di una strada o la realizzazione di una condotta d’acqua venivano vinti da una ditta compiacente, dietro il pagamento di una tangente. Ma non solo: il sindaco Bruno Pennisi, rappresentante di commercio, secondo l’accusa si assicurava anche che le ditte che vincevano l’appalto andassero poi ad acquistare i materiali necessari ai lavori, come ghiaia o calcestruzzo, dall’azienda di cui era rappresentante. Se insorgevano controversie poi erano i Pennisi ad intervenire, sedando ogni questione tra le parti. Tutto gestito dal carcere da Carmelo, che era in seguito stato assolto per l’accusa di mafia ma era stato poi messo sotto misura alternativa per un’altra accusa di traffico di droga. Oltre gli appalti, il gruppo condizionava il voto a favore del sindaco compiacente.

Questa è quanto emerso dalle indagini scaturite dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Carmelo Porto, affiliato al clan Cintorino, che dopo l’operazione Isola Bella ha reso una precisa ricostruzione dei gruppi mafiosi catanesi Cinturino-Cappello, Laudani e Brunetto-Santapaola. In ogni territorio in cui era spartita l’area era presente un referente della famiglia mafiosa di riferimento, ha raccontato il collaboratore, specificando che per la zona di Moio Alcantara tale ruolo era ricoperto da Giuseppe Pennisi e dal figlio Carmelo che “fanno capo a Cintorino” e la sorella vicesindaca. “I gruppi sono in buoni rapporti, se fanno estorsioni si dividono il provento ed una parte la inviano ai clan di Catania”, ha detto Porto. Che ha raccontato di una riunione del 2016 “in una campagna di amici”, che aveva sancito l’accordo tra i gruppi criminali. Alla riunione erano andati i Pennisi, padre e figlio, e “un assessore di cu non ricordo il nome (più in là avrebbe riconosciuto l’assessore di Malvagna, Luca Giuseppe Orlando, come si legge nell’ordinanza, ndr)… l’assessore era d’accordo con noi che avrebbe sovrafatturato in modo da recuperare i proventi per i gruppi malavitosi”.

“Se avevamo una ditta a noi vicina, ci rivolgevamo a Pennisi”. Queste le dichiarazioni del collaboratore che ha rivelato una gestione degli appalti pubblici e una pressione sull’attività comunali poi svelata anche, nel corso delle indagini, dalle intercettazioni delle Fiamma gialle di Messina. I Pennisi gestivano i rapporti con i politici locali con “spregiudicatezza”, come scrive la gip Tiziana Leanza nell’ordinanza. La vice sindaca si rivolgeva addirittura con veemenza al sindaco che eseguiva immediatamente le direttive di lei. In un’occasione in particolare, lei chiedeva conto al sindaco di un “non meglio precisato credito” che la famiglia Pennisi vantava, quindi lui si sarebbe mosso tempestivamente, così che la vicesindaca poco dopo riferiva in carcere al fratello Carmelo che “mercoledì te li portiamo”. I soldi però non sono arrivati con tempestività. Per questo Clelia Pennisi, il 30 ottobre del 2019, richiamava il sindaco: “Bruno… io mi sono arrabbiata… mi sto arrabbiando troppo assai… ma ora non è più questione di duecento euro, è questione di presa per il culo… io mi sono rotta le palle… rinfacciandogli il fattivo contributo della famiglia Pennisi alla sua elezione – scrive la gip – “quand’è che dobbiamo aiutare agli altri, siamo sempre pronti ad aiutare a tutti”.