15 Luglio 2022 Giudiziaria

ECCO TUTTE LE RICHIESTE DELL’ACCUSA: Maxiprocesso alla mafia dei Nebrodi, i pm di Messina chiedono 1.045 anni di carcere per le truffe agricole all’Ue

Nell’aula bunker di Gazzi, a Messina, la richiesta complessiva della procura contro gli imputati del «maxiprocesso Nebrodi» è da record: 1.045 anni di carcere. In pratica, una media di oltre 10 anni e due mesi di carcere per i 102 imputati. Senza considerare multe e confische per un valore di circa 30 milione di euro. Se dovesse essere confermato l’impianto accusatorio del più grande processo mai celebrato in Europa in tema di truffe ai fondi pubblici erogati all’agricoltura, sia italiani sia Ue, significherebbe che la media delle condanne supererebbe i 10 anni e due mesi. Giusto per fare un paragone, se si prende in considerazione lo «storico» «maxiprocesso di Palermo» allora i 460 imputati ricevettero 2.665 anni di carcere: 5 anni e otto mesi a testa in media.

Tutte le richieste dell'accusa

ARCODIA Laura (32 anni di Maniace): 3 anni e un mese di reclusione

ARMELI Sebastiano (55, Tortorici): 10 anni e 4 mesi

ARMELI Giuseppe (39): 12 anni

ARMELI MOCCIA Giuseppe (38): 11 anni e 10 mesi

ARMELI MOCCIA Rita, (46): 14 anni e 10 mesi

ARMELI MOCCIA Salvatore (40): 4 anni e 7 mesi

BARBAGIOVANNI Calogero (29) 14 anni e 2 mesi di reclusione

BONTEMPO Alessio (34): 2 anni

BONTEMPO Gino (54) 15 anni e mezzo

BONTEMPO Giovanni (Adrano, 38): 2 anni

BONTEMPO Giuseppe (31) 2 anni e 4 mesi

BONTEMPO Lucrezia (36): 2 anni e 2 mesi

BONTEMPO Salvatore (Biancavilla, 44): 14 anni e 4 mesi

BONTEMPO Sebastiano “u biondino”: 30 anni, in continuazione con le precedenti condanne BONTEMPO SCAVO Sebastiano: 3 anni

CALA’ CAMPANA Sebastiana (67): 2 anni e 2 mesi

CALA’ LESINA Salvatore “moccia” (50): 18 anni

CALABRESE Maria Chiara, (29, Capizzi): 5

CALCO’ LABRUZZO Gino (63): 15 anni di reclusione

CALI’ Antonino (Leonforte, 27) 3 anni e 3 mesi

CAPUTO Andrea (54) 8 anni e 4 mesi

CAPUTO Antonio (Cesarò, 55: 12 anni e 7 mesi di reclusione

CARCIONE Arturo (Rocca di Caprileone, 68): assoluzione parziale, 5 anni.

CARCIONE Giuseppe (Messina): 4 anni e mezzo

COCI Jessica (Centuripe, 31): 5

COCI Carolina (28) 11 anni e un mese

COCI Domenico (30), 15 anni di reclusione

COCI Rosaria (66), 12 anni e 2 mesi

COCI Sebastiano (61) 13 anni e 2 mesi

CONTI MICA Denise (31): 2 anni di reclusione

CONTI MICA Sebastiano “U belloccio” (52): 30 anni, in continuazione

CONTI PASQUARELLO Giusi (39) 3 anni e 7 mesi

CONTI TAGUALI Ivan: assoluzione parziale, 14anni

COSTANTINI Massimo (Sondrio, 65): 8 anni e 2 mesi

COSTANZO ZAMMATARO Antonina (57): 3 anni e 9 mesi

COSTANZO ZAMMATARO Claudia (34): 2 anni

COSTANZO ZAMMATARO Giuseppe (72): 2 anni e 2 mesi

COSTANZO ZAMMATARO Giuseppe “u carretta” (40, Biancavilla): 20

COSTANZO ZAMMATARO Giuseppe “rummuluni” (37, Biancavilla): 13 anni

COSTANZO ZAMMATARO Loretta (47): 2 anni e 4 mesi

COSTANZO ZAMMATARO Romina (42): 2 anni

COSTANZO ZAMMATARO Valentina (37): 3 anni

CRASCI’ Barbara (39): 3 anni e 9 mesi

CRASCI’ Katia (43, Rocca di Caprileone): 10 anni e 8 mesi

CRASCI’ Lucio Attilio Rosario (classe ’58) 13 anni e 9 mesi

CRASCI’ Salvatore Antonino (classe ’53): 3 anni e 4 mesi

CRASCI’ Sebastiano (42): 13 anni e 2 mesi

CRAXI’ Sebastiano (46): 20 anni e 7 mesi

CRIMI Sara Maria (60): 2 anni di reclusione

DELL’ALBANI Salvatore (30, Caltagirone): 5 anni e 3 mesi

DESTRO MIGNINO Santo (classe ’88, Sant’Agata Militello): 13 anni di reclusione

DESTRO MIGNINO Sebastiano (62): assoluzione parziale, 11 anni

DI BELLA Pietro (39, Enna): 2 anni di reclusione

DI MARCO Marinella (47, San Teodoro): 12 anni

DI STEFANO Maurizio (31, Caltagirone): 3 anni e 2 mesi

FARANDA Antonino (classe ’41): 14 anni e 2 mesi

FARANDA Aurelio Salvatore (50, Caltagirone): assoluzione parziale, 30 anni

FARANDA Davide (39): 12 anni

FARANDA Emanuele Antonino (43): 13 anni e mesi 8 di reclusione

FARANDA Gaetano (52): 18 anni e 8 mesi di reclusione

FARANDA Gianluca (39): anni 13 di reclusione

FARANDA Massimo Giuseppe (49): 24 anni e 9 mesi di reclusione

FARANDA Rosa Maria (28) 11 anni e 10 mesi

FERRERA Giuseppe (39, Caltagirone): 10 anni e mezzo

FLORIDIA Innocenzo (43, Caltagirone): anni 10 di reclusione

FOTI Valentina (28, Acquedolci) 2 anni

GALATI GIORDANO Vincenzo (classe ’58): 4 anni e euro 30 mila di multa

GALATI GIORDANO Vincenzo “lupin” (53): 30 anni, in continuazione

GALATI MASSARO Santo (31, Centuripe): 2 anni e 10 mesi

GALATI PRICCHIA Daniele (21): 2 anni e 3 mesi

GALATI SARDO Emanuele (40): 12 anni e 9 mesi

GLIOZZO Giuseppina (31, Cesarò), assoluzione parziale, 5 anni

GULINO Mario (53, S. Piero Patti): 6 anni

HILA Alfred (31, Torrenova): – 10 anni di reclusione

LINARES Roberta (39, Augusta) 5 anni e 3 mesi

LOMBARDO FACCIALE Pietro (classe ’55): 11 anni e 9 mesi

LUPICA SPAGNOLO Francesca, (’64): 10 anni e 7 mesi

LUPICA SPAGNOLO Rosa Maria (60): 11 anni

MANCUSO CATARINELLA Jessica (31, Capizzi) 2 anni

MANCUSO Cristoforo Fabio (59, Acicastello): 5 anni e 3 mesi

MARINO Agostino Antonino (60): 16 anni di reclusione

MARINO Rosario (30): 14 anni di reclusione

MILITELLO Alessandro Giuseppe (49, Troina): 2 anni

NATOLI Giuseppe (classe ’66, Tusa): 12 anni e 7 mesi

PATERNITI BARBINO Antonino Angelo (70): 9 anni e 2 mesi

PIRRIATORE Massimo (44, Maniace): – 5 anni di reclusione ed euro 2.000,00.- di multa

PRUITI Elena (40): 12 anni di reclusione

PROTOPAPA Francesco (30): 15 anni di reclusione

REALE Angelamaria (38, Messina): 2 anni

RIZZO SCACCIA Danilo (40, Maniace): 5 anni di reclusione ed euro 2 mila di multa

SCINARDO TENGHI Giuseppe (38, Capizzi) 12 anni e mezzo

SCINARDO Giuseppina (49, Capizzi: 3 anni e 3 mesi

SCINARDO TENGHI Elisabetta (45, Capizzi): 1 anno e 8 mesi

SPASARO Angelica Giusy (26): 10 anni e 6 mesi

SPASARO Giuseppe Natale (classe ’55, Galati Mamertino): 10 anni e 4 mesi

STRANGIO Antonia (38, Capo d’Orlando): 11 anni e mesi 7 di reclusione

TALAMO Mirko (35): 2 anni e 8 mesi di reclusione

TERRANOVA Salvatore (classe ’93, Nicolosi): 10 anni di reclusione

VECCHIO Giovanni (classe ’58, San Giovanni La Punta): 10 anni e 3 mesi

ZINGALES Carmelin (classe ’74, Capri Leone) 10 anni di reclusione

Il blitz
All’alba del 15 gennaio del 2020 i carabinieri del Ros e i finanzieri del Gico — coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, guidata da Maurizio de Lucia — condussero un grande blitz che si concluse con 94 arresti (48 furono ristretti in carcere e 46 ai domiciliari) a vario titolo associazione per associazione a delinquere di stampo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, uso di sigilli e strumenti contraffatti, falso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata. Inoltre furono sequestrate 151 aziende. Per le accuse, c’era un fiume di denaro su cui scorrevano gli interessi dei clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici. Un operoso centro messinese a vocazione agricola, popolato da migliaia di onesti lavoratori, aggrappato sui Monti Nebrodi. Come si legge nelle carte dell’ordinanza del Gup di Messina: «la mafia ha scoperto che soldi pubblici e finanziamenti costituiscono l’odierno tesoro e come siano diminuiti i rischi pur se i metodi restano criminali…..» e che «il campo di maggiore operatività è divenuto il grande business derivante dalle truffe ai danni dell’Unione Europea, come detto più remunerative e meno rischiose». Un meccanismo interrotto da un coraggioso presidente dell’allora Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, che fu il primo a tagliare l’erba sotto i piedi della mafia. Ideò un “protocollo di legalità” che poi prese il suo nome e che, nel 2015, entrò nel codice Antimafia. Qualche mese dopo, il 18 maggio del 2016, fu vittima di un attentato mafioso. Per i magistrati di questo maxiprocesso «nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato... Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia». Tornando al dibattimento odierno, in poco più di un anno, si è arrivati già alla richiesta della Procura che, nel frattempo, ha sollecitato l’esame di 307 testimoni, mentre le difese degli imputati hanno chiesto di sentire oltre 400. Senza considerare che sono state riconosciute come parti lese civili associazioni «antimafia» come Libera e Addiopizzo Messina; il Centro studi «Pio La Torre» e il Comune di Tortorici.

Le prime condanne
Nel corso del tempo, il banco degli imputati è diminuito di 18 posizioni perché il Gup di Messina per alcuni aveva inviato gli atti a Catania per incompetenza territoriale mentre altri quattro hanno già patteggiato la pena e, con il rito abbreviato, sono arrivate in Appello, lo scorso aprile, tre assoluzioni e cinque condanne con pene che hanno raggiunto anche i 24 anni per Sebastiano Bontempo. Gli inquirenti, hanno ricostruito da un lato il nuovo assetto del clan dei Batanesi, operante nel Tortoriciano; dall’altro si sono invece concentrate su quello dei Bontempo Scavo. Secondo l’accusa, le cosche di quest’area aveva guadagnato una caratura criminale tale da poter «dialogare» con quelle del Catanese, dell’Ennese e del Palermitano. Come disse il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho questa mafia ha compiuto «un salto di qualità anche a livello nazionale, con inserimenti nell’economia legale con sistemi illegali. Chi doveva controllare non controllava, chi doveva sostenere la formazione del fascicolo aziendale per ottenere i finanziamenti era complice dei clan che si arricchivano». I due clan oggetto dell’inchiesta «Nebrodi» per finanziarsi, utilizzavano anche il lucroso metodo di ottenere contributi comunitari concessi dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) che aveva portato nelle casse delle cosche circa 10 milioni di euro, a partire dal 2013. Milioni di euro sottratti agli onesti agricoltori e allevatori dei Nebrodi che sono la maggioranza e da secoli fertilizzano quei terreni con ettolitri di sudore. Cittadini che si trovano dal 23 dicembre del 2020 devono affrontare l’onta di vedere il proprio Comune commissariato per infiltrazioni mafiose. Nell’inchiesta non sono finiti solo presunti associati ai clan ma anche «colletti bianchi» fra cui ex collaboratori dell’Agea e persone dei centri di assistenza agricola che avevano conoscenza ottima dei meccanismi con cui vengono erogati milioni e milioni di euro e dei metodi di controllo.

Il «protocollo Antoci»
Un sistema che si «inceppò» a causa dell’intuizione dell’allora presidente del Parco dei Nebrodi e che fu fortemente voluto anche dall’allora prefetto di Messina, Stefano Trotta. «Il protocollo Antoci è importante — ricordò in conferenza stampa il giorno del blitz, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho — perché per primo permise di scoprire questo tipo di attività e poi diventato uno strumento fondamentale di contrasto alle mafie». Dal giorno dopo l’attentato — sventato solo grazie alla prontezza con cui rispose al fuoco dei poliziotti Daniele Manganaro e Tiziano Granata — la vita di Antoci è una delle più blindate in Italia. «Mi hanno tolto tutto, libertà, serenità, mi hanno costretto ad una vita complicata costringendo la mia famiglia a vivere in una casa blindata e presidiata dall’Esercito — spiega Antoci — Due cose però non sono riusciti a togliermi con quell’attentato mafioso: la vita e la dignità e grazie a quest’ultima che attenderò la sentenza per poterli guardare negli occhi e poter dire loro: abbiamo vinto noi, voi avete perso. perché oggi lo Stato anche con questo processo dimostra che quando si muove unitariamente, quando fornisce mezzi normativi alle forze di polizia e alla magistratura per combattere le mafie, arrivano anche i risultati importanti come le condanne in media quasi doppie rispetto allo “storico” maxiprocesso di Palermo».

L’esempio
Quel processo che segnò una linea di demarcazione nella storia giudiziaria della lotta alle mafie di questo Paese. «Ci fu un prima e un dopo quel capolavoro giuridico a cui dette un contributo decisivo quel santo civile di Giovanni Falcone — ricorda Antoci che oggi è presidente onorario della Fondazione intitolata a Nino Caponnetto, papà del pool Antimafia palermitano — e anche in questa parte di Sicilia prima del mio “protocollo” per tanti anni nessuno si azzardava a interrompere il meccanismo delle frodi e chi come me c’ha provato ha rischiato la vita. Queste durissime richieste seguono già un primo giudizio celebratosi al rito abbreviato con condanne elevatissime e ringrazio tutti i magistrati di Messina che non si non si sono risparmiati lavorando alacremente tutti i giorni. Un vero esempio di efficienza della tanto vituperata giustizia italiana che con un’azione senza precedenti contro una mafia dei terreni ricca, potente e violenta». Fonte: corriere.it