19 Luglio 2022 Attualità

ON. FRANCESCO D’UVA: RICORDIAMO PAOLO BORSELLINO, CERCANDO VERITÀ E GIUSTIZIA SUI DEPISTAGGI A TRENT’ANNI DALLA STRAGE DI VIA D’AMELIO

“Sono le 16:58 del 19 luglio 1992. Un forte boato scuote Palermo. In via D’Amelio, è esplosa da qualche secondo un’autobomba con cinquanta chili di tritolo, arrivati qualche giorno prima appositamente per l’attentato.

A trovare la morte, quel giorno, sono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, prima donna a far parte di una scorta e prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Quella di via D’Amelio non è una strage inaspettata. Dopo l’uccisione dell’amico e collega Falcone, Paolo Borsellino era cosciente che sarebbe stato lui il prossimo bersaglio, era consapevole che la mafia non si sarebbe fermata dopo la strage di Capaci. Così come ne erano consapevoli gli agenti di scorta che hanno continuato a prestare servizio e a proteggere Borsellino fino all’ultimo giorno.  

Nonostante questo e nonostante l’isolamento di Borsellino, lasciato solo dopo la morte di Falcone, la paura non ha mai prevalso sulla rettitudine e sulla correttezza dell’uomo e del giudice, non ha mai offuscato la sua ricerca di giustizia e verità. 

Paolo Borsellino non era un eroe, come non lo era Giovanni Falcone, non lo erano i loro agenti di scorta e le donne e gli uomini dello Stato che hanno perso la vita combattendo le mafie. Se li considerassimo tali cadremmo in un errore, quello di ritenere che combattere la mafia e l’illegalità sia una missione straordinaria, fuori dalle possibilità di ciascuno di noi.

Le loro storie, invece, ci insegnano che la grandezza dell’uomo risiede proprio nel coraggio di proseguire il proprio cammino e il proprio lavoro contro la criminalità a testa alta e a schiena dritta, senza lasciarsi condizionare dalla paura. Donne e uomini servitori dello Stato, con raro senso e attaccamento allo Stato e alle Istituzioni, che hanno fatto della legalità la loro ragione di vita.

Per onorare l’esempio di vita di Paolo Borsellino e degli agenti che morirono servendo lo Stato, non possiamo limitarci a un mero esercizio di memoria ma dobbiamo cercare e pretendere la verità sulla strage di via D’Amelio, quella verità che i familiari di Borsellino e degli agenti di scorta continuano a cercare ancora oggi dopo trent’anni. 

Le indagini sulla strage di via d’Amelio, infatti, sono state oggetto di manipolazioni da parte di uomini delle Istituzioni che hanno portato a quella che la magistratura ha definito il più grande depistaggio della storia d’Italia.

Anche se qualche giorno fa si è concluso, con un esito deludente, il processo di primo grado sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio che vedeva imputati tre poliziotti, non bisogna cedere allo scoramento. Bisogna continuare incessantemente nella ricerca della verità, sostenendo la famiglia Borsellino in questo iter giudiziario, che non è ancora concluso, oltre che sul versante dell’inchiesta parlamentare”, così in una nota il deputato messinese Francesco D’Uva.