12 Settembre 2022 Attualità

Nuova base dei Carabinieri a Coltano: una piattaforma strategica per i reparti d’élite delle guerre moderne

di Antonio MazzeoNarrazione falsa e pericolosamente omissiva quella relativa al progetto di realizzazione della grande cittadella militare a Coltano (Pisa), all’interno del parco regionale di Migliarino – San Rossore – Massaciuccoli. Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri preannuncia mirabolanti effetti socio-economici ed ambientali sul territorio, enfatizzando in particolare i benefici per la popolazione in termini di sicurezza e ordine pubblico. Certo, ce ne vuole a parlare di “riqualificazione” quando si punta a cementificare 73 ettari di terreni, in buona parte ad uso agricolo, per realizzare - con la spesa di 190 milioni di euro - oltre 440.000 di edifici (caserme, alloggi per militari e famiglie, poligoni di tiro, ecc.). Ma forse quello che più offende il buon senso e la ragione è il maldestro tentativo della Difesa di spacciare l’agognata superfortezza dei corpi d’élite dei Carabinieri (i paracadutisti del “Tuscania”, gli incursori del G.I.S. e il Centro Cinofili) per una pacifica residenza di tanti simpatici protagonisti delle più note e fortunate serie televisive Rai, dal Maresciallo Rocca con il compianto Gigi Proietti, al maresciallo Cecchini (alias Nino Frassica) in Don Matteo.

In verità, ciò che non si vuol far sapere ai cittadini, è che il costosissimo progetto per la Cittadella dei CC di Coltano è funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico di quello che è ormai uno dei maggiori hub in Italia per proiettare le forze armate nazionali, USA, NATO ed extra-NATO in qualsivoglia scacchiere di guerra, ad Est come a Sud: il tridente toscano Pisa-Livorno-Firenze, con il megacomplesso di Camp Darby, l’aeroporto di San Giusto, il porto e l’accademia navale livornesi, le tante caserme dei parà della “Folgore”, il centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San Piero a Grado, il comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” che dal prossimo anno opererà come Multinational Division South NATO per gli interventi alleati nel Mediterraneo e nel continente africano, ecc..

 

Un reparto d’élite per le guerre globali

Il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” è il reparto ad altissima specializzazione dell’Arma dei Carabinieri. Fino ad oggi di stanza nella caserma “Vannucci” di Livorno (anche sede del Comando della Brigata “Folgore”, del 187° Reggimento Paracadutisti e del 9° Reggimento “Col Moschin” dell’Esercito italiano), il “Tuscania” è inserito nella 2° Brigata Mobile dei Carabinieri insieme al G.I.S. - Gruppo di Intervento Speciale e ad altri due reggimenti dell’Arma (il 7° “Trentino Alto Adige” con sede a Laives, Bolzano, ed il 13° “Friuli Venezia Giulia” di Gorizia).

Il “Tuscania” viene considerato come l’erede diretto della prima unità delle truppe aviotrasportate italiane, il 1° Battaglione Paracadutisti “Carabinieri Reali”, costituito a Roma il 1° luglio 1940 e confluito successivamente nella Divisione Paracadutisti “Folgore”. Dopo la costituzione questo reparto fu inviato dal regime fascista in Libia nel luglio 1941. Sei mesi più tardi, su ordine del feldmaresciallo Erwin Rommel, capo delle truppe tedesche in Africa settentrionale, il 1° Battaglione Paracadutisti venne impiegato contro le forze corazzate britanniche ad Eluet el-Asel in una delle battaglie più tragiche della campagna militare italiana in Nord Africa durante la Seconda guerra mondiale. (1)

L’unità venne ricostituita nel 1951 con il nome di “Reparto Carabinieri Paracadutisti” presso il Centro militare di paracadutismo di Viterbo; temporaneamente rischierata nel 1957 a Pisa, dal gennaio 1963 venne trasferita a Livorno alle dipendenze della rinata Brigata Paracadutisti “Folgore”. Al tempo venne impiegata principalmente come unità speciale antiterrorismo per fronteggiare una serie di attentati dinamitardi in Sud Tirolo.

Con la ristrutturazione dell’Esercito del 1975, il reparto ricevette la denominazione di 1° Battaglione Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, svolgendo contestualmente le missioni militari tipiche delle truppe aviotrasportate e le funzioni di polizia e controllo dell’ordine pubblico e di “contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo”. Il 15 marzo 2002, a seguito della costituzione in forza armata autonoma dell’Arma dei Carabinieri, il “Tuscania” uscì dai ranghi dell’Esercito per essere posto alle dipendenze della 2^ Brigata Mobile Carabinieri.

Attualmente al reparto specializzato dei Carabinieri sono assegnati 500 effettivi circa. “Il 1° Reggimento Paracadutisti si caratterizza oggi più che mai per una doppia anima, da un lato la veste di corpo di polizia di pronto impiego per missioni ad alto rischio, dall’altro quella di unità militare aviolanciabile di élite, con forti vincoli affettivi ed addestrativi che permangono, anche dopo l’elevazione al rango di Forza Armata dell’Arma dei Carabinieri, con la Brigata Paracadutisti Folgore”, scrive Alberto Scarpitta, ex ufficiale dei Lagunari, su Analisi Difesa. “Si tratta pertanto di un reparto estremamente duttile, dotato di una straordinaria flessibilità di impiego ed in grado di operare con efficacia nella vasta zona grigia compresa tra le funzioni di polizia e quelle militari, un ambito di impiego di grande attualità nei moderni scenari internazionali”. (2)

In combattimento, ai militari del “Tuscania” viene affidata l’occupazione preventiva di punti sensibili in territorio ostile; l’interdizione e la contro-interdizione d’area; l’attività di controguerriglia e di contro insurrezione in scenari ibridi ed in missioni di stabilizzazione; il supporto delle Forze Speciali in attività di ricognizione, azione diretta, assistenza militare e controterrorismo; l’evacuazione di cittadini italiani da Paesi a rischio o da zone di guerra. “All’interno dei plotoni che lo compongono sono presenti elementi specializzati, in particolare spiccano gli addetti alla bonifica di ordigni esplosivi; il Joint-Terminal-Attack Controller per il coordinamento degli attacchi aerei di precisione; gli operatori al designatore laser dei bersagli; i tiratori scelti, ecc.”, aggiunge Alberto Scarpitta.

Per affinare le capacità di impiego anche in ambito NATO nella “conduzione delle operazioni, a seguito di aviolancio, in ambienti operativi non permissivi per la conquista e la tenuta di posizioni strategiche”, i militari del “Tuscania” svolgono periodicamente complesse esercitazioni congiuntamente ai reparti di trasporto aereo e guerra elettronica dell’Aeronautica Militare e alle unità aviotrasportate d’élite delle forze armate e della Guardia Nazionale USA. Annualmente si tiene nelle aree addestrative della Toscana l’esercitazione multinazionale ed interforze “Mangusta”, sotto la guida della Brigata “Folgore”. Ad una delle ultime edizioni, i parà italiani del “Tuscania” e della “Folgore”, il Centro Carabinieri Cinofili di Firenze e i militari statunitensi hanno simulato un intervento delle forze alleate per “conquistare l’aeroporto occupato da forze ostili con l’aviolancio di una prima aliquota con lo scopo di preparare il terreno per l’entrata in teatro dei successivi scaglioni”. (3)

In Italia il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti viene impiegato principalmente a supporto tattico del G.I.S - Gruppo di Intervento Speciale, all’interno dei cosiddetti dispositivi UnIS(Unità d’Intervento Speciale) del Ministero dell’Interno. “Dopo gli attentati di Parigi e di Bruxelles, che hanno visto l’insorgere di una minaccia diffusa ed imprevedibile in tutto il continente europeo, il “Tuscania” è stato inoltre chiamato dal Comando Generale dell’Arma a costituire, assieme ad elementi del GIS, delle apposite Task Unit Antiterrorismo (TUAT) di alto profilo qualitativo schierate in punti sensibili ed in occasione di eventi particolari per affrontare la nuova minaccia rappresentata da attentatori suicidi pronti a colpire obiettivi civili in situazioni di combattimento urbano”, spiega ancora l’ex ufficiale Alberto Scarpitta di Analisi Difesa.

Oltre a partecipare alle azioni dirette alla “liberazione di ostaggi”, il “Tuscania” opera a fianco dei reparti territoriali dell’Arma nella ricerca di  latitanti e nell’addestramento specifico dei Carabinieri destinati alle missioni militari all’estero. (4) Gli istruttori del “Tuscania” provvedono anche alla selezione e formazione del personale assegnato agli Squadroni Carabinieri Eliportati “Cacciatori” operativi in Calabria, Sardegna, Sicilia e Puglia.

 

Perennemente in missione e tanto armati

Data l’alta valenza delle operazioni militari e sicuritarie, il 1° Reggimento Paracadutisti è dotato di numerosi e sofisticati equipaggiamenti e sistemi d’arma: tra essi spiccano le carabine M-4 calibro 5,56mm prodotte dall’industria statunitense Bushmaster Firearms International, i lanciagranate M203 da 40mm, i fucili SCP-70/90 dell’italiana  Beretta, le pistole mitragliatrici calibro 9mm Parabellum, ecc.. E’ in corso di acquisizione il visore Mepro MOR che “racchiude in un unico apparato un’ottica reflex, un puntatore laser visibile per impiego urbano ed uno IR per utilizzo notturno e operazioni coperte”. (5) Il visore è prodotto dall’azienda Meprolight (interamente controllata da SK Group, uno dei maggiori gruppi del complesso militare-industriale israeliano), ed è impiegato da diverso tempo dalle forze armate dello Stato di Israele. (6)

Innumerevoli gli interventi nelle aree di conflitto del personale del “Tuscania”. Nel 1982 i parà furono schierati in Libano per presidiare i campi rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. Nel 1991 il Reggimento fu inviato nel Kurdistan irakeno mentre tra 1992 e il 1994 ha operato in Somalia nel quadro della controversa missione internazionale di “stabilizzazione” Restore Hope (Ridare Speranza), intervenendo in numerose azioni di combattimento.

Tra il 1995 e il 1999 il “Tuscania” ha partecipato alle diverse missioni operative NATO nei Balcani e, dopo il 2001, nei teatri di guerra in Iraq e in Afghanistan. In quest’ultimo paese i parà dei Carabinieri hanno diretto innumerevoli corsi addestrativi a favore delle ricostituite forze di polizia afgane. Attualmente le unità del Reggimento cooperano ai servizi di sicurezza della città di Mitrovica (Kosovo), di scorta e protezione nelle sedi diplomatiche italiane in Libia, Iraq (Erbil e Baghdad), Somalia, Libano e Ucraina (a Kiev dal giugno 2022), nonché all’addestramento e all’assistenza “antiterrorismo” dei peshmerga (le forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno), della Gendarmeria Nazionale del Niger e delle polizie di Iraq, Kosovo, Palestina, Somalia e Gibuti. (7) I corsi puntano a fornire le “competenze per pianificare e realizzare operazioni di polizia in particolari contesti operativi, con tecniche e procedure avanzate, scorte e protezione VIP, addestramento al tiro, pianificazione e gestione di attività antidroga e contro la criminalità organizzata, ecc.”.

Nell’ambito della missione italiana di “formazione” e assistenza della Marina militare e della Guardia costiera libica per il controllo delle acque territoriali del paese nordafricano principalmente in funzione anti-migrazione, ai paracadutisti del “Tuscania” è affidata la “sicurezza” del personale della Guardia di Finanza distaccato in Libia. (8) Ai militari del Reggimento, in concorso con il Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri, sarà attribuito un ruolo chiave nell’ambito delle attività anti-terrorismo predisposte dalle autorità del Qatar in occasione del Campionato Mondiale di Calcio in programma dal 21 novembre al 18 dicembre 2022. Il “Tuscania” e il G.I.S. hanno già preso parte all’esercitazione multinazionale Watan, tenutasi in Qatar nel novembre 2021 per testare le forze di sicurezza e pronto intervento che saranno schierate a “difesa” della Fifa World Cup. (9) In vista della kermesse sportiva, il governo dimissionario di Mario Draghi ha varato il decreto missioni internazionali per l’anno 2022 in cui è inserito l’intervento di supporto alle forze armate qatariote con l’impiego di 560 militari, 46 mezzi terrestri, un mezzo navale e due aerei, per una spesa prevista di 10.811.025 euro. Alla task force italiana si affiancheranno i reparti d’élite di Francia, Regno Unito, USA e Turchia. (10)

 

Le principali missioni internazionali svolte dal 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”

Namibia (1989-1990), UNTAG

Kurdistan (1991), AIRONE 1

Turchia (1991), AIRONE 2

Somalia (1992-1994), IBIS

Cambogia (1992), UNTAC

Somalia (1993), UNOSOM

Israele (1994), TIPH 1

Bosnia (1996-2003), IFOR/SFOR

Palestina (1996), TIPH 2

Albania (1997-1999), ALBA

Timor Est (1999-2000), STABILISE

Kosovo (2000-2003), JOINT GUARDIAN

Macedonia (2001-2002), AMBER FOX

Afghanistan (2001-2021), ISAF

Iraq (dal 2003), MSU

Striscia di Gaza (2005-2009), EUBAM RAFAH

Palestina (Gerico, marzo-luglio 2014), MIADIT PALESTINA

Libia (Tripoli, marzo-luglio 2014), MMIL

Nel corso degli anni, al Reggimento è stata anche affidata la sicurezza delle Sedi diplomatiche nazionali all’estero nelle aree e nei periodi di maggior “rischio”: Libano, Somalia, Arabia Saudita, Zaire, Perù, Algeria, Albania, Congo, Serbia, Iraq, Israele, Afghanistan, Pakistan, Libia. (Fonte: https://www.carabinieri.it/chi-siamo/oggi/organizzazione/mobile-e-speciale/2-brigata-mobile/1-reggimento-paracadutisti-'tuscania')

 

Il Mal d’Africa dei carabinieri parà

Tra le operazioni all’estero del “Tuscania”, quelle che più hanno destato e destano ancora sconcerto e preoccupazione per le pesanti ricadute in termini di violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, riguardano il martoriato Corno d’Africa. In seguito all’accordo sottoscritto nel 2013 dalle autorità italiane e quelle della Repubblica di Gibuti e della Somalia è stata attivata la Missione bilaterale MIADIT Somalia, con l’obiettivo di “creare le condizioni per la stabilizzazione della Somalia e dell’intera Regione del Corno d’Africa, mediante l’accrescimento delle capacità operative delle forze di polizia somale e l’addestramento delle forze di polizia gibutiane”. (11) La base operativa di MIADIT Somaliasorge a Gibuti, l’enclave desertica tra Eritrea, Etiopia e Somalia di appena 23.000 Kmq con una posizione geostrategica tra le più importanti al mondo, proprio di fronte lo Stretto Bab El Mandeb che separa il Mar Rosso dal Golfo di Aden, principale rotta marittima commerciale e petrolifera tra l’Asia e l’Europa. E’ qui che vengono svolte le attività addestrative delle polizie gibutine e somale da parte di “istruttori” del 1° Reggimento Paracadutisti “Tuscania”, del G.I.S., del Centro Carabinieri Cinofili di Firenze e del CoESPU (Center of Excellence for stability Police Units), il “Centro di formazione internazionale d’eccellenza” dell’Arma che ha sede a Vicenza.

Il contributo nazionale a MIADIT Somalia prevede un impiego massimo di 53 militari e la fornitura di quattro mezzi pesanti; le attività riguardano l’addestramento individuale al combattimento e all’intelligence; interventi nei centri abitati; tecniche antiterrorismo, investigative, di controllo del territorio e gestione dell’ordine pubblico e della folla; ricerca e neutralizzazione di armi ed esplosivi. Fino ad oggi i corpi scelti dei Carabinieri hanno addestrato oltre 2.600 unità appartenenti alla Polizia Somala, alla Polizia Nazionale e alla Gendarmeria Gibutiana, contribuendo inoltre alla ristrutturazione dell’Accademia di Polizia di Mogadiscio. (12)

Come segnalato da innumerevoli rapporti del Segretario Generale ONU, l’Esercito e la Guardina Nazionale somali addestrati dai Carabinieri italiani arruolano e utilizzano minori in combattimento. Nel report su Bambini e conflitti armati, pubblicato il 6 maggio 2021, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha accertato il reclutamento e l’utilizzo in azioni di guerra di 1.716 minori (1.655 bambini e 61 bambine), prioritariamente da parte dei gruppi ribelli di Al-Shabaab, ma anche da parte delle forze governative, compresi la polizia somala, l’esercito nazionale e la National Intelligence and Security Agency, nonché dai reparti armati e di polizia regionali (Jubaland, Galmudug, Puntland). La partecipazione dei militari italiani a fianco di regimi che in violazione del diritto internazionale consentono l’arruolamento di minori nei reparti armati e la loro partecipazione in operazioni belliche è stata stigmatizzata dal rapporto 2022 sul monitoraggio dell’attuazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, pubblicato da un network di cento associazioni (Agesci, Archivio disarmo, ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Caritas, Cittadinanzattiva, Legambiente, Unicef Italia, ecc.). (13)

In Corno d’Africa si sono moltiplicati negli ultimi anni i corsi addestrativi del “Tuscania” rivolti al personale delle compagnie denominate “Darawish” (o anche darwish), le nuove unità mobili della Somali Police Force che – secondo Analisi Difesa – sono “specializzate in attività di stability police e interventi ad alto rischio, a composizione inter-clanica, schierate principalmente nella capitale Mogadiscio e destinate a divenire fondamentali per la stabilità e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica della Somalia” (14). Nell’aprile 2021, in particolare, i Carabinieri hanno formato le unità “Darawish” all’uso progressivo della forza, espressione che in ambito militare identifica la “scala del confronto tra le forze di polizia e gli antagonisti”. “Lo scenario prevedeva quattro differenti fasi: protezione di soggetti ad alto rischio, ordine pubblico, intervento armato e tecniche operative speciali del fire fighting, il controllo meccanico (arresto ed ammanettamento), l’impiego di armi non letali (tonfa o gas)”, annota il comando di MIADIT. Infine, “un team selezionato di militari somali ha eseguito le tecniche dello spegnimento delle fiamme sulla persona fra lo stupore delle autorità presenti ed il plauso dei poliziotti gibutiani…”. (15)

I “Darwish” addestrati a Gibuti dal personale italiano sono poi impiegati nella regione meridionale di Lower Shabelle, da lungo tempo al centro di un sanguinoso conflitto tra le forze armate regolari e i gruppi islamisti armati di Al-Shabaab. “A Lower Shabelle le unità Darwish della polizia federale sono responsabili del controllo delle frontiere, della protezione delle infrastrutture e del personale governativo, dell’assistenza in caso di disastri, della lotta al terrorismo e all’insorgenza”, spiega la missione delle Nazioni Unite in Somalia. (16)

I pericoli insiti nella decisione di affidare compiti bellico-sicuritari a queste milizie paramilitari sono stati analizzati da una delle maggiori esperte di “guerre ibride”, la statunitense Vanda Felbab-Brown, in uno studio pubblicato nel 2020 dal Centro di ricerca politica della United Nations University di Tokyo. “L’origine del termine darwish scaturisce dalle differenti milizie che hanno svolto funzioni militari o di polizia, operando indipendentemente dall’Alleanza Nazionale Somala, sotto la direzione dei presidenti degli stati membri della federazione”, scrive l’analista. “Relativamente alle loro origini, le forze darwish sono state una base di potere importante per gli attori dell’élite politica, una sorta di guardia pretoriana che fornisce protezione e minaccia di forza contro i rivali”.

Secondo Vanda Felbab-Brown, sostenere, addestrare, armare e cooptare milizie di questo genere può condurre a gravi conseguenze. “La lealtà di queste milizie è fluida e le stesse sono suscettibili di essere reclutate dai loro nemici e possono mettere al primo posto i propri interessi – o quelli di un padrone esterno – contro quelli dello Stato”, aggiunge l’analista. “Essendo profondamente legate alla politica economica della Somalia, le milizie hanno una forte tendenza ad appropriarsi dell’autorità politica, rafforzando forme autoritarie di governo, monopolizzando le economie locali e finendo per impegnarsi in altre attività paramafiose. In questo modo, i loro esasperati conflitti locali, accrescono le lamentele e il rafforzamento politico di al-Shabaab in parti del paese”. Il governo italiano e lo Stato Maggiore della difesa sembrano però sconoscere le documentate denunce sugli abusi e le violazioni dei diritti umani commessi dalle (ex) milizie darwish. “Quest’ultime, alla stregua delle forze di polizia somale, sono accusate di rapine all’interno dei campi che accolgono gli sfollati, di sparatorie incontrollate così come di un meccanismo di controllo della folla e omicidi extra-giudiziari ai checkpoint”, conclude Vanda Felbab-Brown. (17)

La discutibile partnership dei reparti d’eccellenza dei Carabinieri in territorio somalo appare ancora più grave alla luce del fatto che essi operano in Corno d’Africa ininterrottamente dal 1992, quando prese il via in Somalia la tragica e fallimentare missione multinazionale a guida USA (Restor Hope) in seguito allo scoppio della guerra civile e della caduta del regime dittatoriale di Siad Barre. Durante i primi anni di presenza militare italiana a Mogadiscio, furono perpetrati gravi crimini da parte di alcune unità dei parà dell’Esercito. “Prove fotografiche e testimonianze orali indicano che in Somalia, in quella che veniva sbandierata come una missione umanitaria, militari italiani usarono contro la popolazione somala torture, sevizie e stupri”, riportavano in un’interrogazione del giugno 1997 alcuni parlamentari del Prc. “Altre testimonianze indicano inoltre che il contingente italiano, reparti della Folgore ed i carabinieri del Tuscania, attuarono diverse rappresaglie contro villaggi somali, con rastrellamenti condotti con metodi non-ortodossi propri della guerra a bassa intensità come distruzione delle case, pestaggi degli abitanti, inquinamento e distruzione delle risorse idriche e arresti indiscriminati”. I deputati del Prc denunciarono altresì come i militari del “Tuscania” avessero “cercato di ricostruire gli apparati repressivi somali addestrando ed armando ufficiali e poliziotti della vecchia polizia di Siad Barre (personalità definite da Amnesty International come noti torturatori e criminali)”. (18)

 

Gli italiani in Somalia come la CIA ad Abu Ghraib, ma 10 anni prima

In proposito va ricordato che a seguito della pubblicazione nel settimanale Epoca delle foto di alcuni militari italiani con accanto prigionieri somali incappucciati e “incaprettati” (con mani e piedi legati insieme), nel 1993 la Procura militare aveva aperto un’inchiesta, poi archiviata, nonostante le prove di “azioni inopportune, gravi disfunzioni e sicure anomalie” e di “un eccesso di metodi costrittivi” da parte delle truppe italiane. Alcune delle foto che documentavano le torture dei militari su alcuni prigionieri somali erano state scattate dall’allora caporalmaggiore Michele Patruno, in forza al 185° Reggimento Artiglieria Paracadutisti “Folgore”.

Il settimanale Panorama (12 giugno 1997) ha pubblicato una lunga intervista a Michele Patruno, corredata da altre drammatiche fotografie scattate dall’ex parà nel periodo compreso tra l’aprile e il maggio 1993 all’interno della base italiana di Johar. In una di esse compariva un prigioniero somalo, nudo a terra, mentre un parà azionava un generatore di corrente in dotazione ai reparti della “Folgore” ed un sottotenente si preparava ad applicare gli elettrodi ai testicoli della vittima. “Prima gli elettrodi erano stati applicati alle mani, ma con scarsi risultati; poi, su suggerimento di un ufficiale medico, sono stati applicati ai testicoli perché contengono liquidi e conducono meglio la corrente”, spiegava Patruno a Panorama. “I livelli di tortura erano diversi. Si cominciava privando i prigionieri di acqua e cibo, tenendoli legati; per indurli a parlare, poi si passava a metodi più pesanti e si dava libero spazio alla fantasia dei militari, come sigarette accese sul corpo, scosse elettriche, botte, ecc.”.

“Le persone torturate morivano, anche perché già debilitate fisicamente”, aggiungeva l’ex caporalmaggiore della “Folgore”. “Ho visto gente lasciata al sole senza acqua o lanciata contro il filo spinato americano che è fatto tutto a piccole lame. Altri parà usavano farsi fotografare quando tenevano un piede sulla testa dei torturati (…) In alcuni campi erano ben visibili stemmi e gagliardetti fascisti e all’alzabandiera molti, compresi gli ufficiali, facevano il saluto romano”. Altrettanto ignobile e criminale il comportamento di alcuni reparti nei confronti della popolazione civile. “Venivano effettuate anche perquisizioni nei villaggi in cerca di armi finite spesso con la devastazione delle capanne e la distruzione delle riserve d’acqua”, aggiungeva Michele Patruno. “Ho contribuito a distruggerne parecchi quando non ve n’era neppure bisogno, lo stesso per l’abitazione a Mogadiscio di un uomo che aveva un proiettile calibro 7.62 e mi scongiurò di non nuocergli perché amava gli italiani e suo figlio era cadetto a Modena. Niente da fare, la casa la buttammo giù. Senza motivo, per pura cattiveria (…) Ci fu un caso in cui i militari spararono contro un camion che non si era fermato a uno stop e uccisero due donne e un bambino. Sul camion fu poi verificato che non c’erano armi”. (19)

Anche l’allora maresciallo Francesco Aloi, paracadutista del 1° Battaglione “Tuscania”, ha testimoniato sui crimini commessi dalle forze armate in Somalia, ritenendo probabile un legame tra queste vicende e le inchieste della giornalista Ilaria Alpi. Secondo Aloi, l’inviata della Rai era venuta a conoscenza delle torture dei soldati italiani contro i somali poco prima del suo assassinio. Nei suoi diari, l’ex militare fece anche il nome del generale dei Carabinieri Giovanni Truglio, capitano del “Tuscania” al tempo della missione Restor Hope, in quanto “autore o persona informata delle violenze contro la popolazione somala”. Le inchieste della magistratura militare e ordinaria hanno però scagionato il Truglio e nel 2001 egli sarà nominato comandante delle compagnie di pronto intervento dell’Arma durante il G8 di Genova. (20) In occasione del summit dei capi di stato nel capoluogo ligure, il 1°Reggimento Carabinieri Paracadutisti ricoprì un ruolo centrale nel dispositivo implementato dall’allora governo Berlusconi per reprimere violentemente le manifestazioni NoG8. (21)

 

Teste di cuoio e punte di lancia

“Il Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) è la punta di lancia operativa dei Carabinieri che può operare in Italia e all’estero nelle situazioni più estreme e rischiose”. Viene definita così dal Comando generale dell’Arma l’unità tattica impiegata in operazioni di pronto intervento “anti-terrorismo” che nelle intenzioni della Difesa sarà insediata nella nuova cittadella militare di Coltano insieme al Reggimento Paracadutisti “Tuscania” e al Centro Carabinieri Cinofili. “I G.I.S. sono impiegati per garantire la sicurezza di personalità minacciate o per coadiuvare le unità territoriali in situazioni di crisi come rapimenti e cattura di criminali, latitanti o evasi pericolosi”, aggiunge il Comando dell’Arma. “Essi inoltre vengono impiegati a protezione di obiettivi sensibili da attacchi terroristici o criminali e per garantire la sorveglianza in occasione di eventi ad alto rischio. Assicurano i servizi di scorta e protezione in favore delle più alte cariche dello Stato italiane e straniere in visita e sono incaricati anche dell’addestramento di personale di polizie estere”. Noti al grande pubblico come teste di cuoio, i militari che compongono il Gruppo di Intervento Speciale hanno una doppia natura: sono unità di polizia speciale e reparto paracadutisti ed incursori.

Così come il “Tuscania” anche il G.I.S. è inquadrato dal 2001 nella 2^ Brigata Mobile dei Carabinieri. In caso di interventi d’emergenza il gruppo dipende direttamente dal Capo di Stato Maggiore del Comando Generale dell’Arma. In tale ambito, può essere attivato, sempre dal Comando Generale, per esigenze di supporto ai reparti territoriali e anticrimine dell’Arma per attività di polizia giudiziaria. (22)

La componente operativa del G.I.S. dispone di circa 100/120 effettivi ed è divisa in una sezione di esplorazione, ricognizione e acquisizione obiettivi; una di combattimento; una terza di tiratori scelti. In ogni momento c’è un distaccamento pronto a lasciare la base di provenienza in 30 minuti. Le Unità di Intervento Speciale “anti-terrorismo”, a composizione variabile, possono essere dispiegate in poche ore sull’intero territorio nazionale. A questo scopo dispongono di alcuni elicotteri Agusta-Bell AB412 in dotazione al 4° Nucleo Elicotteri dei Carabinieri di stanza nell’aeroporto di Pisa san Giusto e di un aereo da trasporto C-130 “Hercules” della 46^ Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare, anch’essa con base operativa presso lo scalo pisano. I poligoni, gli impianti addestrativi e le strutture didattiche e abitative del G.I.S. sono attualmente ospitate presso il Centro Interforze Studi e Applicazioni Militari (CISAM) a San Piero a Grado, Pisa. “Si tratta in sostanza di un vero e proprio hub formativo, in cui confluiscono tutte le conoscenze ed esperienze militari, speciali e istituzionali dei reparti della Brigata da riversare su tutta l’Arma per migliorarne e rafforzarne le capacità operative e istituzionali in qualsiasi ambiente e situazione”, spiega Analisi Difesa. (23)

Il Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri è stato istituito il 6 febbraio 1978 per impulso dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga (poi presidente della Repubblica italiana) “per garantire uno strumento per la risposta all’incremento dei fenomeni terroristici e delle forme di disturbo dell’ordine pubblico e sicurezza pubblica, per la condotta di operazioni antiterrorismo e antiguerriglia”. (24) Al tempo il reparto era composto da 36 carabinieri paracadutisti provenienti tutti dal 1° Battaglione “Tuscania”. Il primo impiego operativo risale alla primavera del 1978 nell’ambito delle infruttuose operazioni di ricerca dei covi delle Brigate Rosse durante il rapimento dello statista democristiano Aldo Moro. (25)

Nel 1984 il responsabile del Viminale (l’on. Oscar Luigi Scalfaro, anch’egli poi presidente della repubblica) decretò il G.I.S. quale unica Unità Intervento Speciale (Un.I.S.) antiterrorismo della Difesa in favore del Ministero degli Interni, a fianco dell’altra componente delle teste di cuoio italiane, il Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della Polizia di Stato. “La storia del Reparto continuò attraverso gli anni di piombo, caratterizzati dalla recrudescenza del terrorismo interno, durante i quali condusse operazioni risolutive come quella per la riacquisizione del controllo del supercarcere di Trani, battesimo del fuoco per il G.I.S. (1980)”, ricorda enfaticamente il Comando generale dell’Arma. (26) Il blitz nel carcere speciale pugliese fu ordinato il 28 dicembre 1980 con lo scopo di reprimere la rivolta dei detenuti, tra cui alcuni brigatisti, contro le insostenibili condizioni carcerarie. I militari del G.I.S. si calarono dagli elicotteri e, dopo l’utilizzo di bombe a magnesio e armi da fuoco contro i detenuti (numerosi i feriti), liberarono i 18 agenti di custodia presi in ostaggio. Sette anni più tardi (25 agosto 1987) il Gruppo Intervento Speciale fu protagonista di un altro blitz ad una struttura detentiva (il carcere di Porto Azzurro, Isola d’Elba), per liberare i 33 ostaggi tra detenuti e guardie carcerarie in mano a sei ergastolani tra cui il terrorista nero Mario Tuti.

 

Gli specialisti delle operazioni coperte

A partire del 1997 il reparto d’élite dei Carabinieri è stato dispiegato all’estero a fianco delle altre forze speciali italiane in missioni di peace-keeping/peace-enforcing per condurre operazioni di antiterrorismo, fermo di sospettati di atti terroristici, sequestri di armi, munizioni ed esplosivi o per la protezione di ambasciate, basi, cittadini o “interessi” italiani. Si annoverano in particolare gli interventi in Albania, Bosnia, Kosovo, Iraq (particolarmente nel distretto di Nassirya), Afghanistan, Gibuti, Somalia, Libano e Niger. Dal 2001 il G.I.S. aderisce all’Organizzazione Atlas promossa dalla UE dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle e che riunisce i corpi speciali delle forze di polizia di 28 paesi europei. Nel gennaio 2015 i militari del G.I.S. sono stati inviati a Parigi per collaborare con le forze di polizia francesi alla “protezione” di obiettivi sensibili dopo l’attentato alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo. Sempre in ambito internazionale a partire del 2016 il reparto speciale dell’Arma viene impiegato su richiesta dell’AISE (l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) per missioni d’intelligence top secret.

E’ proprio nei teatri di guerra afgano e iracheno che si sono svolte le operazioni più controverse del G.I.S.. Il 18 aprile 2002 a Kabul le teste di cuoio furono impiegate per scortare l’ex re afgano Mohammed Zahir Shah che rientrava in patria con l’intenzione di restaurare la monarchia dopo la fine del regime talebano, ma che poi, su pressione del governo USA, fu costretto ad accettare l’effimera svolta repubblicana del paese asiatico. Dal giugno 2006 al 2016 il G.I.S. ha fatto parte della Task Force 45, l’unità interforze dei reparti speciali italiani che in territorio afghano ha partecipato ad azioni coperte e combattimenti a fuoco contro le milizie talebane. (27)

Attualmente gli uomini del G.I.S. sono inquadrati nella Joint Special Operation Task Force 44 (Operazione Centuria Baghdad), attivata in Iraq nell’ambito della coalizione internazionale anti-Isis. (28) Gli obiettivi e gli interventi della task force sono delineati dal giornalista e analista Giampiero Cannella, già membro della Commissione Difesa della Camera dei deputati con Alleanza nazionale. “Inserita nel dispositivo militare della missione Prima Parthica, in Iraq dal 2014, l’unità è composta da un numero variabile tra i 50 e gli 80 operatori delle forze speciali”, spiega Cannella. “Gli operatori italiani combattono da anni nel Kurdistan irakeno una guerra silenziosa a fianco dei Peshmerga e delle truppe di Baghdad, così come avevano fatto contro i talebani nei deserti dell’Afghanistan. Ufficialmente sono lì per una missione di mentoring cioè addestramento dei militari indigeni. Ma in un contesto ad alto rischio, per insegnare come muoversi sul terreno, individuare obiettivi e guidare su di essi un attacco aereo, scovare e disinnescare esplosivi, reagire ad una imboscata, liberare ostaggi o curare un ferito in battaglia, non basta il powerpoint in un’aula didattica. Per questo oltre al semplice training all’interno della base, bisogna ricorrere al mentoring che implica qualcosa in più delle semplici esercitazioni”.

“Il mentorizzatore accompagna gli allievi sul campo, in azione, li guida, li consiglia, li assiste e in caso di necessità gli fa vedere come si fa”, aggiunge l’ex parlamentare. “Un modo diplomatico per dire che le nostre forze speciali hanno più di una volta portato a termine con successo missioni combat contro i miliziani fondamentalisti insieme agli alleati. Come nel 2017, durante l’offensiva di Mosul: in quel caso gli incursori italiani entrarono in azione nell’area di Hawaija contribuendo a stanare i tagliagole dell’Isis e a liberare l’antica città irakena”. (29)

 

Un po’ parà e un pò irruttori chirurgici

Il G.I.S. è stato inserito tra le cosiddette forze speciali poste sotto la direzione del COFS (il Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali), costituito il 1° dicembre 2004 presso l’aeroporto “Francesco Baracca” di Centocelle (Roma) e posto a sua volta alle dipendenze dirette del Capo di Stato Maggiore della Difesa.

“In Italia le Forze Speciali sono quelle unità militari chiamate a  svolgere operazioni speciali, ovvero operazioni militari non convenzionali ad effetto strategico quali, ad esempio: il contrasto di attività di matrice insurrezionale e terroristica, le incursioni contro obiettivi nemici, le ricognizioni speciali e l’addestramento delle forze di sicurezza di Paesi a deficit di stabilità”, spiega lo Stato Maggiore della difesa “Si tratta di reparti in possesso di elevatissime qualifiche tecniche e operative ed il cui personale è addestrato ad operare nei tre domini di riferimento – terrestre, marittimo e aereo – in ambiente ostile e a grande distanza dalle unità amiche”. (30)

Ancora più esplicito il generale dei Carabinieri Leonardo Leso, già Comandante del Gruppo di Intervento Speciale e del Reggimento Paracadutisti “Tuscania”. “Ciò che contraddistingue il G.I.S. dalle altre Forze Speciali sono le sue particolari capacità operative chirurgiche nella liberazione di ostaggi o in altri interventi che richiedono un altissimo livello di discriminazione degli obiettivi da raggiungere, riducendo al massimo il rischio di danni collaterali”, ha dichiarato Leso. “Per queste esigenze, è l’unico Reparto che inquadra anche un nucleo di esperti negoziatori e alcune unità cinofile addestrate anche al lancio con paracadute e alle irruzioni con forzamento degli ingressi con esplosivo. Dispone quindi di speciali attrezzature di ascolto, visione, registrazione nonché di penetrazione silenziosa. Il G.I.S. da anni è inserito in un paio di programmi di scambio che vedono la partecipazione di numerose unità speciali di forze armate e di polizia di varia nazionalità, alcune ben note come il GSG9 tedesco, il GIGN francese, il SAS britannico, ma anche americani, israeliani, spagnoli e di altri paesi, europei e non, con i quali s’incontra e si addestra con cadenza annuale in una serie di stages mirati al confronto di tecniche e materiali”. (31)

Dal punto prettamente operativo il G.I.S. fa parte del cosiddetto Tier1 delle Forze Speciali della difesa, insieme al 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” dell’Esercito (sede a Livorno), al Gruppo Operativo Incursori (GOI) del Comando Subacquei e Incursori - Comsubin della Marina Militare (La Spezia) e al 17º Stormo Incursori dell’Aeronautica Militare di Furbara (Cerveteri, Roma). Insieme a questi reparti operano due ulteriori unità, costituenti il Tier2: il 185° Reggimento Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi  “Folgore” (Livorno) e il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti (Rangers) “Monte Cervino” (Montorio Veronese, Verona), che possono compiere una parte delle tre missioni NATO SOF (Direct Action, Military Assistance e Special Reconnàissance).

A supporto delle operazioni speciali sono assegnati anche il 3° Reggimento Elicotteri “Aldebaran” dell’Esercito (Viterbo), il Reparto Eli-Assalto della Marina Militare (Luni, La Spezia e Grottaglie, Taranto) e il 9° Stormo “Francesco Baracca” dell’Aeronautica (Grazzanise, Caserta). Ad essi si aggiungono infine le FOS - Forze per Operazioni Speciali, compagnie di pronto intervento fornite dal 187° Reggimento Paracadutisti “Folgore” (Livorno), dal Reggimento Lagunari “Serenissima” (Venezia), dal 66° Reggimento Fanteria Aeromobile “Trieste” (Forlì), dal 1° Reggimento “San Marco” della Marina (Brindisi) e dall’immancabile 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”. (32)

Data la rilevanza strategica assunta dalle Forze Speciali nelle guerre globali moderne, sono stati programmati ingenti investimenti finanziari per dotarle di armi sempre più sofisticate, specie quelle semi-automatizzate o del tutto automatizzate che contribuiscono alla disumanizzazione dei conflitti. Il 9 novembre 2021, in particolare, il Parlamento ha espresso parere favorevole allo schema di decreto ministeriale relativo al programma pluriennale di acquisto di munizioni a guida remota (Loitering Ammunitions) da parte delle unità di pronto intervento delle forze armate e dell’Arma dei Carabinieri. Le Loitering Ammunitions - come spiega l’Osservatorio sulle spese militari (Milex) - sono “piccoli droni armati, dotati di una testata esplosiva, che possono essere teleguidati contro l’obiettivo, anche a decine di chilometri di distanza”. Avvistato il target si lanciano in picchiata e si fanno esplodere al momento dell’impatto (per questo vengono indicati anche come droni kamikaze).

“Sono letali, precisi, rapidi e sicuri come i droni armati normali perché possono centrare bersagli fissi o anche in rapido movimento senza la necessità di truppe a terra e senza bisogno di aspettare il supporto aereo di elicotteri da attacco o cacciabombardieri esposti al fuoco nemico”, aggiunge l’Osservatorio sulle spese militari. “Questi droni, tuttavia, sono decisamente più versatili perché possono essere trasportati, lanciati e manovrati direttamente da piccole unità isolate di incursori. Ecco dunque perché vengono ritenuti un vero e proprio game changer per imprimere una svolta nella tattica militare e soprattutto abbassare di molto l’asticella delle remore all’uso della forza letale. Tanto più se viene fornita a forze speciali che conducono operazioni segrete”. (33)

Nella scheda tecnica allegata allo schema di decreto, lo Stato Maggiore della difesa ha indicato il modello di munizioni a guida remota da acquisire: il sistema “Hero-30”, sviluppato dalla società israeliana UVision. “Grazie alle munizioni “Hero-30” sarà possibile effettuare la sorveglianza e mantenere la Situational Awareness in tutte le fasi che prevedano un intervento cinetico su un obiettivo; fornire supporto di fuoco mantenendo la consapevolezza della situazione e l’opportuna distanza di sicurezza; verificare il campo di battaglia rimanendo dietro la linea del fronte; garantire una cornice di sicurezza intorno ad una base operativa avanzata all’interno di un territorio ostile individuando una minaccia a distanza e conseguentemente ingaggiarla”, spiega la Difesa. Oltre all’acquisto delle munizioni “Hero-30”, gli operatori delle forze speciali si potranno avvalere di pacchetti addestrativi “da svolgersi in Israele presso la sede di UVision ubicata nella città di Tzur Igal”. L’azienda israeliana fornirà inoltre il supporto logistico integrato, comprensivo di manutenzione basica e gestione/sostituzione di alcune parti di ricambio di consumo. (34)

 

Come influenzare i comportamenti e manipolare le menti

A riprova del ruolo chiave assunto dal territorio pisano nelle strategie di guerra ibrida e non convenzionale va infine ricordato che dal giugno 2020 è operativo il Comando delle Forze Speciali dell’Esercito (COMFOSE) presso il comprensorio “Tenente Dario Vitali” realizzato all’intero di un’area di 35 ettari della base militare statunitense di Camp Darby rientrata nella disponibilità delle autorità italiane. Secondo lo Studio progettuale presentato dallo Stato Maggiore dell’Esercito, per la ricollocazione del COMFOSE sono stati spesi 42 milioni di euro circa: nello specifico sono state realizzate un’area logistica di 15.000 mq; una sportiva di 8.000 mq e un’area alloggiativa di 20.000 mq.

Il COMFOSE è stato istituito il 19 settembre 2014 e ha avuto il suo quartier generale prima nella Caserma “Gamerra” di Pisa e poi presso il CISAM di San Piero a Grado. Questo nuovo comando sovrintende alle attività, all’addestramento e all’acquisizione dei materiali delle unità delle forze terrestri assegnate alle “operazioni speciali”, primo fra tutti il 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, in via di trasferimento da Livorno al nuovo complesso infrastrutturale pisano. Altro reparto delle forze speciali dell’Esercito è il 185° Reggimento Paracadutisti Ricognizione e Acquisizione Obiettivi “Folgore” (Livorno) con funzioni spiccatamente d’intelligence, ingaggio di obiettivi a distanza e penetrazione e infiltrazione in territorio nemico. Ci sono poi il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti (Ranger) di Verona, designato per le operazioni in ambiente montano e artico e il 28° Reggimento “Pavia”, l’unica unità militare in Italia che si occupa di “comunicazioni operative”, quelle cioè finalizzate “a creare, consolidare o incrementare il consenso della popolazione locale nei confronti dei contingenti militari impiegati in missione di pace all’estero”.

Di stanza a Pesaro, il “Pavia” rappresenta la componente armata che più interpreta le nuove frontiere della guerra moderna. “Le unità specialistiche del 28° Reggimento usano mezzi di comunicazione di massa per diffondere messaggi alla popolazione: si spazia dai tradizionali volantini e poster, efficaci in aree a elevato tasso di analfabetismo e basso sviluppo tecnologico, fino ai più complessi prodotti multimediali, compresi i new e social media nelle aree più progredite”, riferisce lo Stato Maggiore. “Inoltre il personale studia e analizza la realtà socio-antropologica delle aree di missione in modo da comunicare in modo idoneo ed efficace con la popolazione nel rispetto di usi, costumi e tradizioni locali”. (35)

Quelli che a prima vista potrebbero apparire come interventi di natura meramente politico-diplomatico-sociale s’inquadrano invece nelle cosiddette “guerre psicologiche”, note in ambito militare come operazioni psicologiche o PSYOPS (acronimo in lingua inglese). Sulle finalità e le modalità delle PSYOPS si è soffermata la ricercatrice Francesca Angius dell’Archivio Disarmo di Roma. “Si tratta del complesso delle attività psicologiche pianificate in tempo di pace, crisi o guerra, dirette verso gruppi obiettivo nemici, amici o neutrali, al fine di influenzarne gli atteggiamenti ed i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi prefissati di natura politica e militare”, scrive la ricercatrice. “Le PSYOPS sono, quindi, finalizzate alla conquista delle menti attraverso la gestione ad arte delle informazioni e delle verità e costituiscono uno strumento di strategia militare (…) il cui scopo principale consiste nell’influenzare le percezioni, gli atteggiamenti ed il comportamento di un determinato gruppo obiettivo. L’esigenza di dotarsi di un’unità PSYOPS è nata, in seno alla NATO, dalla convinzione che l’uso programmato delle comunicazioni di massa possa influenzare, anche in modo decisivo, l’esito di un conflitto. Il dominio delle informazioni è sempre più una dimensione fondamentale del moderno campo di battaglia, dove propaganda, disinformazione e manipolazione delle informazioni ne rappresentano una parte essenziale”. (36)

Nel 2006 l’allora tenente colonnello Luca Fontana (poi generale di brigata e vice capo divisione presso la NATO Rapid Deproyable Corps Italy di Solbiate Olona, Varese), ha pubblicato per conto dello Stato Maggiore della difesa un report intitolato Le Operazioni Psicologiche Militari (PSYOP). La “Conquista” delle menti. “E’ opinione diffusa che l’importanza delle PSYOP stia costantemente crescendo a garanzia del successo di ogni azione che si debba intraprende ovunque nel mondo, sia essa di carattere diplomatico o militare”, spiegava l’ufficiale. “Nel futuro, il valore delle PSYOP continuerà ad essere utilizzato al meglio prima e dopo un conflitto (…) Mentre negli anni a venire, saranno comunque le bombe, i missili e l’occupazione del territorio con truppe di terra a determinare sul piano militare il vincitore ed il perdente, le operazioni psicologiche, in misura sempre maggiore, determineranno la durata dei conflitti e l’impatto dello sforzo militare sugli interessi strategici di lungo termine…”. (37)

L’odierno conflitto russo-ucraino risponde perfettamente a queste indicazioni: si tratta infatti di una guerra brutale e fratricida combattuta con droni, missili e granate ma anche a colpi di dati di intelligence, comunicati stampa, verità dimezzate o manipolate e fake news.

 

Questo rapporto è stato presentato in occasione della Tre Giorni – No Base a Coltano promossa dal Movimento No Base – Né a Coltano né altrove, 9-11 settembre 2022, Coltano, Pisa.

 

Antonio Mazzeo - Peace-researcher, saggista e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell’ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. L’8 ottobre 2020 è stato premiato dall’Archivio Disarmo con la Colomba d’oro per la Pace quale riconoscimento “per aver interpretato per anni il giornalismo e la scrittura come una missione di difesa dei diritti umani e di denuncia delle ingiustizie”. Articoli, interventi e volumi pubblicati sono consultabili in https://independent.academia.edu/AntonioMazzeo e http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/.