28 Novembre 2022 Giudiziaria

I GIUDICI NON CREDONO ALLE ACCUSE DI MAURIZIO MARCHETTA, ASSOLTI I COLLABORATORI BISOGNANO E D’AMICO

DI EDG - La Prima Sezione Penale della Corte d'Appello di Reggio Calabria (presidente Filippo Leonardo, a latere Adriana Trapani e Antonio Laganà) ha assolto oggi i collaboratori Carmelo D'Amico e Carmelo Bisognano (foto) con la formula "perchè il fatto non sussiste" alla fine di una tranche del processo d'appello 'Sistema' sulle "mazzette" del 3% da dare alla mafia, raccontato a suo tempo dall'ex vice presidente del consiglio comunale di Barcellona in quota An, l'imprenditore Maurizio Sebastiano Marchetta. Il pg Antonio Giuttari aveva chiesto la condanna a otto anni e quattro mesi per D'Amico e a sette anni e sei mesi per Bisognano. 

Hanno difeso gli imputati i legali Antonella Pugliese (D'Amico) e Fabio Repici (Bisognano). L'avvocato Ugo Colonna (Marchetta) e il collega Franco Bertolone (Comune di Barcellona) rappresentavano le parti civili.

LA SENTENZA DELLA CORTE D'APPELLO DI MESSINA E LA CASSAZIONE.

La corte di Appello di Messina il 15 gennaio del 2014 aveva già assolto con formula piena "per non aver commesso il fatto", dopo un dibattimento caratterizzato da una forte contrapposizione tra le parti in causa, sia Bisognano, ritenuto per anni il referente del clan mafioso dei barcellonesi per il territorio di Mazzarrà Sant'Andrea, oggi collaboratore di giustizia, che l'ex boss Carmelo D'Amico, per anni detenuto al 41 bis e poi divenuto collaboratore di giustizia. La Cassazione il 18 dicembre del 2015 aveva però in seguito annullato, con rinvio a Reggio Calabria, la sentenza della Corte d'appello di Messina.

LE ACCUSE DI MAURIZIO MARCHETTA.

L'operazione "Sistema" è nata dalle dichiarazioni dell'architetto Maurizio Sebastiano Marchetta, che ha raccontato d'aver pagato per lungo tempo il pizzo alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, chiamando in causa tra gli altri anche Bisognano e D'Amico. In primo grado, il 25 febbraio 2010, in abbreviato D'Amico fu condannato a 10 anni e 8 mesi e Bisognano a 7 anni e 10 mesi.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA D'APPELLO CHE 'SMONTO'' IL DICHIARANTE MAURIZIO MARCHETTA.

"Consistente tasso di non credibilità", oppure "scarsa attendibilità". Sono solo alcuni dei concetti-chiave delle motivazioni della sentenza d'appello dell'operazione "Sistema", scritta dallo stesso presidente della prima sezione penale della Corte d'appello, il giudice Attilio Faranda, che nel gennaio del 2014 aveva clamorosamente assolto, dopo le pesanti condanne del primo grado, i boss Carmelo D'Amico e Carmelo Bisognano, oggi entrambi collaboratori di giustizia di primo piano. A chiamarli in causa con le sue dichiarazioni era stato l'ex vice presidente del consiglio comunale di Barcellona, in quota An, Maurizio Marchetta, il quale aveva dichiarato di aver dovuto versare regolarmente il pizzo ai due boss in rappresentanza della famiglia mafiosa barcellonese con l'impresa di famiglia, la "Cogemar", per una serie di appalti. Sia Bisognano sia D'Amico, già in primo grado, avevano detto a chiare lettere e con diverse sfumature - il concetto è sintetizzato -, di essersi autoaccusati di una lunga serie di reati ma di non avere mai chiesto il "pízzo" all'architetto Marchetta, che da loro era stato da sempre considerato come 'vicino" al boss Salvatore Sem Di Salvo. "Alla constatazione della inattendibilità delle accuse mosse dai Marchetta (nel corso del processo d'appello sono stati sentiti anche il padre e il fratello, n.d.r.) - scrive tra l'altro il giudice Faranda -, devono poi innanzitutto aggiungersi le versioni di entrambi gli imputati che, può dirsi da subito, sia pure con atteggiamenti diversi, hanno motivatamente e drasticamente negato ogni responsabilità in relazione a tutti i reati loro ascritti". Per esempio Bisognano - prosegue in sentenza il giudice Faranda -, ha sostenuto "... l'impossibilità per chiunque di sottoporre ad estorsione Marchetta Maurizio Sebastiano, atteso che l0 stesso era notoriamente amico fidato e addirittura socio in affari di Salvatore Di Salvo", oppure che "Maurizio Marchetta, in sintesi, rappresentava la faccia pulita da presentare agli uffici pubblici, alla politica, ecc.". Nella sentenza vengono poi esaminati dettagliatamente i vari appalti su cui l'impresa dei Marchetta avrebbe pagato il pizzo, corrispondendo "con un calcolo sia pure approssimativo", oltre 400.000 euro. Una cifra sicuramente notevolissima per qualunque impresa, avuto pure riguardo all'epoca delle varie corresponsioni... e non si è stati in grado di indicare - prosegue il collegio di secondo grado -, in maniera appena plausibile, neppure il modo in cui sarebbero riusciti, in beve tempo ed al di fuori della contabilità ufficiale, ad accantonare importi così rilevanti". I giudici parlano quindi di "...scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese da Marchetta Maurizio", legandola anche alle assoluzioni parziali decise in primo grado dal gup in regime di giudizio abbreviato, da alcuni capi di imputazione, per Bisognano e DAmico. I giudici scrivono ancora che nel corso del processo durante il loro esame, i pentiti Santo Lenzo e Santo Gullo "... senza tentennamenti hanno riscontrato le accuse di Bisognano Carmelo con riferimento al ruolo effettivamente ricoperto da Marchetta Maurizio. Conseguentemente, allora non è una mera ipotesi che costui oltre che amico possa essere stato, con la azienda familiare, socio in affari di Salvatore di Salvo, per tanti anni ai vertici della delinquenza organizzata barcellonese". La conclusione di tutti i ragionamenti sul processo è lapidaria: "Gli elementi di valutazione (raccolti prima nel corso delle indagini preliminari ed acquisiti poi all'esito della assunzione delle prove ammesse dalla Corte dAppello) sinora esaminati rassegnano allora una realtà diversa da quella prospettata dai Marchetta".

SONIA ALFANO NEL 2015: "QUELLE DI MARCHETTA DICHIARAZIONI MENDACI".

"Con l'assoluzione in appello degli imputati del processo Sistema, - scrisse subito dopo la sentenza del 2015, l'allora presidente della Commissione Antimafia Europea Sonia Alfano -, emerge finalmente la vera natura delle dichiarazioni mendaci di Maurizio Sebastiano Marchetta. Adesso una certa stampa smetta di definirlo 'testimone di giustizia': non lo è mai stato e, a quanto pare, mai potrà esserlo. Il teorema ideato da Marchetta, attualmente scortato dalla Polizia di Stato per ragioni a me sconosciute e quindi incomprensibili, è rovinosamente crollato con la sentenza di oggi".