16 Dicembre 2022 Giudiziaria

IL CORVO CHE SI FIRMAVA “TOTO’ CUFFARO” IN REALTÀ ERA MAURIZIO MARCHETTA. DIVENTA DEFINITIVA LA CONDANNA PER L’ARCHITETTO DI BARCELLONA P.G.

Di EDG - Ci ha tentato fino alla fine l'ex testimone di giustizia, il più smentito della storia giudiziaria recente, Sebastiano Maurizio Marchetta (con alle spalle una carriera politica in Alleanza nazionale che lo portò anche alla vicepresidenza del consiglio comunale di Barcellona Pozzo di Gotto), ma la Quinta Sezione della Corte Suprema della Cassazione, appena una settimana fa, ha scritto la parola fine ad un iter processuale iniziato 7 anni fa, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dall'architetto 53enne e condannando lo stesso al pagamento delle spese processuali, a tremila euro in favore della Cassa delle Ammende e alle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile (in questo caso il giornalista della Gazzetta del Sud, Leonardo Orlando), per un totale di mille euro.

L'architetto Marchetta, nato a Barcellona Pozzo di Gotto ma residente da tempo a Milazzo, era finito sotto processo perchè "con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, offendeva comunicando con più persone, tramite internet, la reputazione di Sonia Alfano (già presidente della commissione antimafia Europea), la reputazione e la memoria del padre di quest'ultima", il giornalista Beppe, ucciso dalla mafia a Barcellona l’8 gennaio del 1993, e infine quella "del giornalista della Gazzetta del Sud Leonardo Orlando, inviando (due commenti, ndr) per la pubblicazione con il nickname totocuffaro sui siti enricodigiacomo.org e sonialfano.it".

Le pubblicazioni contestate a Marchetta furono in particolare due. Ci fu un primo tentativo di pubblicare un commento sul blog soniaalfano.it (il 13 aprile 2011), poi non pubblicato dallo staff della Alfano, e un secondo commento, del 10 giugno 2011, pubblicato sul sito enricodigiacomo.org.

Le indagini, in seguito, consentirono, attraverso l'indirizzo Ip relativo all'invio del primo commento del 13 aprile 2011 (in cui era contenuta la ricostruzione diffamatoria di una serie di fatti e la indicazione di relazioni tra Sonia Alfano, alcuni avvocati e il giornalista della Gazzetta del sud Leonardo Orlando finalizzati a manipolare il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano), di individuare l'utenza telefonica intestata alla società Co.Ge.Mar di Giuseppe Marchetta, Carmelo Marchetta e appunto Maurizio Marchetta.

Il processo di primo grado ebbe inizio nell'ottobre del 2015 per concludersi tre anni dopo con la condanna di Maurizio Marchetta, da parte del giudice del Tribunale di Barcellona P. G. Francesco Alligo, a 8 mesi di reclusione, pena sospesa (in relazione però soltanto alla diffamazione nei confronti del giornalista Leonardo Orlando nel commento del 13 aprile 2011) e con l'assoluzione in relazione ai commenti diffamatori del 13 aprile 2011 (il giudice, pur ritenendo che l’autore del commento fosse Marchetta, lo ha assolto perché il fatto - del reato di diffamazione - non sussiste, perché l’imputazione per il blog di Sonia Alfano era limitata all’invio al gestore del sito ma non anche alla successiva pubblicazione) e del 10 giugno 2011 (“per non aver commesso il fatto”, gli inquirenti infatti non hanno mai accertato da quale Internet provider provenisse il secondo commento). Sentenza verso la quale sia l'imputato (chiedendo l'assoluzione) che i familiari di Beppe Alfano (costituitisi quali parti civili) proporranno in seguito appello.

Nel dicembre del 2020, i giudici della Corte d'Appello di Messina (presidente Carmelo Blatti, consiglieri Bruno Sagone e Silvana Cannizzaro), in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Barcellona P. G., dichiarano di non doversi procedere nei confronti di Marchetta perchè il reato è estinto per intervenuta prescrizione, confermando però nel resto la sentenza di primo grado, e cioè la condanna a risarcire il danno da diffamazione e a rifondere le spese al giornalista Leonardo Orlando.

Nella sentenza d'appello i giudici affermeranno che "tutta la ricostruzione della difesa di Marchetta difetta totalmente di linearità, poiché si prospetta la fantasiosa ipotesi che gli interessi della famiglia Alfano, ad un certo punto, si sarebbero saldati con quelli radicalmente contrapposti del gruppo criminale capeggiato da Carmelo D'Amico"... . Una ricostruzione che "per la sua fantasiosità e assurdità rivela da sé la sua inconsistenza, quanto meno ove si osservi la sproporzione dei mezzi, pericolosi e oltremodo odiosi, che sarebbero stati utilizzati per raggiungere il modestissimo risultato di ottenere una accusa per il reato di diffamazione nei confronti di Marchetta". "Certamente più' lineare - scriveranno i giudici d'appello - è la ricostruzione operata dal primo giudice, la quale parte da una analitica ricostruzione della complessa vicenda che ha riguardato il Marchetta, evidenziando che quest'ultimo, dopo aver denunciato due pericolosi capi emergenti della mafia barcellonese (tacendo però dei suoi rapporti con i capi storici della stessa consorteria)  - ma è bene ricordare che D’Amico e Bisognano sono stati assolti dalla Corte di Appello di Reggio Calabria nel processo 'Sistema' sulle accuse di Marchetta lo scorso 28 novembre, ndr - una volta appreso che uno di loro aveva iniziato a collaborare con gli inquirenti (Carmelo Bisognano, della cui collaborazione l'imputato veniva a sapere nel mese di gennaio 2011), temendo che riferisse della sua frequentazione con il boss Sam Di Salvo (appartenente al gruppo dei vecchi), si era persuaso a rendere dichiarazioni anche nei confronti di quest'ultimo. Allo stesso tempo si trovava a dover affrontare gli attacchi di Sonia Alfano che negli scritti che pubblicava lo individuava come soggetto intraneo alla mafia barcellonese e in particolare legato ai 'vecchi' tra cui il boss Di Salvo e che invitava gli inquirenti a non fondare le loro valutazioni sulle dichiarazioni dell'imprenditore. Marchetta aveva risposto alle prime pubblicazioni sul Fatto quotidiano con dichiarazioni che firmava. Dopo aver presentato querela nei confronti della Alfano, però, aveva preferito contrattaccare con gli scritti anonimi nella speranza di non essere individuato. A questo proposito il primo giudice ha affermato la stretta correlazione temporale tra l'articolo della Alfano sull'omicidio Artino e la risposta con lo scritto anonimo inviato lo stesso giorno, il 13 aprile 2011. Con riferimento all'imputazione di cui all'originario procedimento..., deve essere confermato, quindi che l'autore dello scritto anonimo del 13 aprile 2011 è l'imputato Marchetta Maurizio Sebastiano... Deve ancora convenirsi con il primo giudice in ordine al carattere diffamatorio dello scritto in questione, in quanto attraverso di esso si denigrava la figura dell'Orlando, giornalista di Gazzetta del sud, attribuendogli condotte deprecabili ("avrebbe attuato una manipolazione della verità a fini economici e ricattatori")... Affermazioni gravissime, queste, del tutto prive di prova, che attribuirebbero all'Orlando e agli altri soggetti con lui chiamati in causa un pericolosissimo profilo criminale dalle caratteristiche altamente infamanti. Il reato, tuttavia, si è estinto per l'intervenuta prescrizione in data 05.12.2018, dopo la sentenza impugnata emessa in data 10.10.2018, cosicché deve essere dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato ma devono essere confermate le statuizioni civili".

Ed eccoci al ricorso in Cassazione del maggio 2021 da parte del difensore dell'architetto-testimone di giustizia Marchetta, l'avvocato Ugo Colonna, con il quale si chiedeva di annullare la sentenza d'appello di condanna al risarcimento nei confronti di Leonardo Orlando.

La Quinta Sezione della Corte Suprema della Cassazione ha, come detto, chiuso la partita, iniziata oltre dieci anni fa, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dall'imprenditore 53enne. E' lui, per la giustizia, il 'corvo' che cercò di denigrare la memoria e la storia di persone per bene.

CHI E’ MAURIZIO MARCHETTA.

Enfant prodige della politica e dell’imprenditoria nel Longano a fin anni ‘90, nel 2001 Marchetta ascese alla vicepresidenza del Consiglio comunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in rappresentanza di Alleanza Nazionale, il partito guidato al tempo dal senatore ed ex sottosegretario alle Infrastrutture,Domenico Nania. Nel luglio 2003, con la deflagrazione dell’inchiesta denominata “Omega”, relativa all’infiltrazione della criminalità organizzata nella realizzazione di buona parte delle opere pubbliche della provincia di Messina, i magistrati contestarono all’imprenditore-consigliere di “aver fatto parte di un’associazione a delinquere finalizzata alle turbative d’asta”. Tre anni più tardi, furono i componenti della Commissione incaricata dalla Prefettura di Messina di verificare eventuali infiltrazioni mafiose nella gestione del Comune di Barcellona a tracciare un profilo tutt’altro che lusinghiero su Maurizio Sebastiano Marchetta. I commissari, in particolare, si soffermarono sugli “stretti rapporti di cointeressenza esistenti” con Salvatore “Sem” Di Salvo, pluripregiudicato ai vertici dell’organizzazione mafiosa del Longano, e le “documentate condotte agevolatrici volte ad introdurlo nella casa comunale per permettergli di sbrigare con facilità e speditezza qualunque tipo di pratica amministrativa”. Del politico-imprenditore furono inoltre evidenziate le frequentazioni con il noto avvocato Rosario Pio Cattafi.

"Visto l'art. 531 cpp, ritenuto il reato di concorso esterno commesso fino all'anno 2003, dichiara la prescrizione". E' il 23 luglio del 2018 quando il giudice Monica Marino legge il dispositivo della sentenza nei confronti di Maurizio Marchetta, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L'accusa, rappresentata da Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, aveva chiesto la condanna per Marchetta in abbreviato a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Il Gup Monica Marino nell'ottobre dello 2017 aveva disposto l’abbreviato su richiesta della stessa difesa. Ci sono quindi una serie di prove evidenti che il concorso esterno alla mafia barcellonese dell'architetto Marchetta ci sia stato fino al 2003. La prova principale è il rapporto con il boss 'Sem' Di Salvo.

Specificatamente, i Pubblici ministeri della DDA di Messina, Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Francesco Massara contestavano a Marchetta di aver “concorso nell’associazione denominata “famiglia barcellonese”, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina, cui aderivano, tra gli altri, Giuseppe Gullotti, Giovanni Rao, Salvatore Di Salvo, Salvatore Ofria, Carmelo D’Amico, Carmelo Bisognano ed altri ancora, per i quali si è proceduto separatamente”. Sempre secondo i Pm, “l’organizzazione mafiosa, avvalendosi della forza d’intimidazione permanente dal vincolo associativo e dalla condizione assoluta di assoggettamento e di omertà che ne derivava sul territorio, programmava e commetteva delitti della più diversa matura contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e la fede pubblica, con l’obiettivo precipuo di acquisire in forma diretta ed indiretta la gestione e comunque il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri”.

In particolare, Maurizio Sebastiano Marchetta, nella sua qualità di socio delle imprese “Cogemar” ed “Archimpresa”, avrebbe svolto attività economiche in “società di fatto e comunque per conto e nell’interesse di Salvatore Di Salvo  e di Carmelo Mastroeni”; Marchetta, inoltre avrebbe partecipato “ad una serie di turbative di aste ed appalti truccati anche per conto e nell’interesse” degli stessi Salvatore Di Salvo e Carmelo Mastroeni e di altri imprenditori ad essi vicini, tra i quali – citano i magistrati – il costruttore Mario Aquilia, condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Gotha 1, scattata il 24 giugno 2011.

“In tal modo – secondo i magistrati – ricavando vantaggi costituiti, per quanto riguarda Maurizio Marchetta, dallo svolgimento della propria attività imprenditoriale sotto la “protezione” e con l’“ausilio” dell’organizzazione mafiosa di riferimento, nonché potendo partecipare agli appalti pubblici truccati di cui sopra; per quanto riguarda l’associazione mafiosa barcellonese, in particolare Salvatore Di Salvo e Carmelo Mastroeni, ricavando il vantaggio di partecipare agli appalti pubblici truccati di cui sopra e di svolgere attività imprenditoriale “pulita” al riparo dai più penetranti controllo delle forze dell’ordine”. I reati contestati, secondo la Procura, sarebbero stati commessi in un periodo compreso tra il 1993 e il febbraio 2011.

 

DEL 2014 LA SENTENZA D'APPELLO (POI ANNULLATA DALLA CASSAZIONE) CHE 'SMONTO'' LE ACCUSE DEL DICHIARANTE MAURIZIO MARCHETTA.

"Consistente tasso di non credibilità", oppure "scarsa attendibilità". Sono solo alcuni dei concetti-chiave delle motivazioni della sentenza d'appello dell'operazione "Sistema", scritta dallo stesso presidente della prima sezione penale della Corte d'appello, il giudice Attilio Faranda, che nel gennaio del 2014 aveva clamorosamente assolto, dopo le pesanti condanne del primo grado, i boss Carmelo D'Amico e Carmelo Bisognano, oggi entrambi collaboratori di giustizia di primo piano. A chiamarli in causa con le sue dichiarazioni era stato l'ex vice presidente del consiglio comunale di Barcellona, in quota An, Maurizio Marchetta, il quale aveva dichiarato di aver dovuto versare regolarmente il pizzo ai due boss in rappresentanza della famiglia mafiosa barcellonese con l'impresa di famiglia, la "Cogemar", per una serie di appalti. Sia Bisognano sia D'Amico, già in primo grado, avevano detto a chiare lettere e con diverse sfumature - il concetto è sintetizzato -, di essersi autoaccusati di una lunga serie di reati ma di non avere mai chiesto il "pízzo" all'architetto Marchetta, che da loro era stato da sempre considerato come 'vicino" al boss Salvatore Sem Di Salvo. "Alla constatazione della inattendibilità delle accuse mosse dai Marchetta (nel corso del processo d'appello sono stati sentiti anche il padre e il fratello, n.d.r.) - scrive tra l'altro il giudice Faranda -, devono poi innanzitutto aggiungersi le versioni di entrambi gli imputati che, può dirsi da subito, sia pure con atteggiamenti diversi, hanno motivatamente e drasticamente negato ogni responsabilità in relazione a tutti i reati loro ascritti". Per esempio Bisognano - prosegue in sentenza il giudice Faranda -, ha sostenuto "... l'impossibilità per chiunque di sottoporre ad estorsione Marchetta Maurizio Sebastiano, atteso che l0 stesso era notoriamente amico fidato e addirittura socio in affari di Salvatore Di Salvo", oppure che "Maurizio Marchetta, in sintesi, rappresentava la faccia pulita da presentare agli uffici pubblici, alla politica, ecc.". Nella sentenza vengono poi esaminati dettagliatamente i vari appalti su cui l'impresa dei Marchetta avrebbe pagato il pizzo, corrispondendo "con un calcolo sia pure approssimativo", oltre 400.000 euro. Una cifra sicuramente notevolissima per qualunque impresa, avuto pure riguardo all'epoca delle varie corresponsioni... e non si è stati in grado di indicare - prosegue il collegio di secondo grado -, in maniera appena plausibile, neppure il modo in cui sarebbero riusciti, in beve tempo ed al di fuori della contabilità ufficiale, ad accantonare importi così rilevanti". I giudici parlano quindi di "...scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese da Marchetta Maurizio", legandola anche alle assoluzioni parziali decise in primo grado dal gup in regime di giudizio abbreviato, da alcuni capi di imputazione, per Bisognano e DAmico. I giudici scrivono ancora che nel corso del processo durante il loro esame, i pentiti Santo Lenzo e Santo Gullo "... senza tentennamenti hanno riscontrato le accuse di Bisognano Carmelo con riferimento al ruolo effettivamente ricoperto da Marchetta Maurizio. Conseguentemente, allora non è una mera ipotesi che costui oltre che amico possa essere stato, con la azienda familiare, socio in affari di Salvatore di Salvo, per tanti anni ai vertici della delinquenza organizzata barcellonese". La conclusione di tutti i ragionamenti sul processo è lapidaria: "Gli elementi di valutazione (raccolti prima nel corso delle indagini preliminari ed acquisiti poi all'esito della assunzione delle prove ammesse dalla Corte dAppello) sinora esaminati rassegnano allora una realtà diversa da quella prospettata dai Marchetta". Questa sentenza, di cui pubblichiamo le motivazioni, è bene ricordarlo, venne annullata dalla Corte di Cassazione il 18 dicembre del 2015 'per difetto di motivazione' ma il 28 novembre scorso la Corte d'Appello di Reggio Calabria (con una sentenza della quale non si conoscono ancora le motivazioni) ha nuovamente ribadito l’infondatezza delle accuse di Marchetta, assolvendo D’Amico e Bisognano “perché il fatto non sussiste”.