“Errori gravi”: Al Bambino Gesù di Sicilia (a Taormina) 2 bimbi morti e 2 condanne
Di Saul Caia e Alessandro Mantovani - A leggere gli atti sembra un film dell’orrore. Luigino aveva appena 10 giorni ed è morto dopo un intervento al cuore che forse non era necessario, durante il quale gli hanno chiuso per errore l’arteria polmonare. Beatrice, nemmeno cinque mesi, secondo i capi d’imputazione è morta perché l’hanno operata senza fare una Tac di controllo che avrebbe consentito di vedere meglio un’anomalia dell’arteria polmonare e consigliato un altro tipo di intervento.
Due casi siciliani, due processi complicati da colpi di scena e scontri fra i periti, conclusi in primo grado con due condanne per i medici. Una a maggio e l’altra pochi giorni fa. Tutte e due le volte in sala operatoria c’era lo stesso cardiochirurgo pediatrico, Salvatore Agati detto “Sasha”, 52 anni, noto e stimato primario del San Vincenzo di Taormina ma dipendente del Bambino Gesù di Roma. L’ospedale del Vaticano gestisce infatti il Centro cardiologico Mediterraneo insieme all’Azienda sanitaria pubblica (Asp) di Messina. Secondo la convenzione, il Bambino Gesù dovrebbe mandare i suoi specialisti in Sicilia, ma Agati era lì anche prima: gli hanno solo cambiato casacca. In quattro mesi l’hanno condannato due volte per omicidio colposo. Pena sospesa, naturalmente. “Sentenze ingiuste, le impugneremo”, promette l’avvocato Gaetano Scalise, presidente delle Camere penali di Roma e legale storico del Bambino Gesù, che è andato a difendere Agati in Sicilia. La prescrizione incombe.
L’ultima sentenza è del 6 settembre. Quattro medici condannati a Messina per la morte di Beatrice Morici, operata a Taormina e poi trasferita a Roma dove è deceduta il 30 agosto 2018. Due anni e mezzo al cardiochirurgo Felice Davide Calvaruso e due ad Agati, all’anestesista Simone Reale e al cardiologo pediatrico Andrea De Zorzi. I genitori, assistiti dagli avvocati Antonio Cozza e Nicodemo Gentile, sono usciti dal processo dopo una transazione da 700 mila euro, 500 mila pagati dall’Asp e 200 mila dal Bambino Gesù. “Nessun riconoscimento di responsabilità”, precisa Scalise. Per le motivazioni della sentenza bisognerà attendere, la perizia racconta una diagnosi incerta e un intervento deciso in fretta, durato molto a lungo, con complicanze gravissime.
Luigino Messina era nato il 4 luglio 2016 di 34 settimane, dunque leggermente prematuro. Pesava solo 950 grammi mentre la gemellina era stata più fortunata. Aveva problemi respiratori e d’altro genere, sia pure non gravissimi. Al Garibaldi-Nesima di Catania hanno deciso di operarlo per chiudere il dotto di Botallo, un condotto arterioso che di norma si chiude da solo subito dopo la nascita, ma a volte no. Hanno chiamato i cardiochirurghi da Taormina, il più giovane Fabrizio Gandolfo primo operatore e Agati secondo. Chissà perché il primario è sempre in posizione defilata. Invece del dotto di Botallo hanno chiuso l’arteria polmonare: “L’intervento va male e non per il decorso in sé, ma proprio per un grave errore esecutivo”, si legge nella sentenza pronunciata a maggio dal giudice Santino Mirabella di Catania. Il risultato è che il bambino non respira e il giudice rileva che i medici se ne accorgono in ritardo. Luigino muore. Entrambi i chirurghi sono stati condannati a 14 mesi. Assolto, invece, il cardiologo che aveva dato l’indicazione per l’intervento, che secondo i periti non era indispensabile perché potevano bastare i farmaci.
Agati è sempre al suo posto, con il Fatto ha preferito non parlare. “Ha fatto mille interventi, due sono andati male”, taglia corto Scalise. In entrambi i casi l’indicazione chirurgica è sembrata un po’ frettolosa, anche senza insinuare che si puntava troppo a fare i numeri. “Mistificazioni”, dice l’avvocato. Ma le condanne non aiutano il centro di Taormina, retto da una convenzione che subì rilievi dell’Anac per l’affidamento diretto al Bambino Gesù, poi superati. Resta aperto “in deroga” da quando la Regione Siciliana guidata da Renato Schifani ha puntato sulla nuova cardiochirurgia pediatria del Civico di Palermo in convenzione con il Gruppo San Donato, il primo della sanità privata in Italia. Il decreto Balduzzi ne prevede solo una ogni 5 milioni di abitanti ma ci sono anche altre deroghe. Fonte: il fatto quotidiano