
LA RIFLESSIONE di CHERRYON: La mia resilienza quotidiana
di Cherryon - “Quando hai smesso di essere incazzata”?
Dribblo la risposta con subdole doti oratorie, ma il punto di domanda mi resta appeso. Me lo porto addosso quando mi strucco, me lo ritrovo quando imposto la sveglia e resta con me anche sulla federa del cuscino.
Con la lucidità del mattino e non prima di una pedante autoanalisi logica e grammaticale, concludo che no, non ho mai smesso di essere incazzata.
Ma la mia rabbia, il mio dissenso si è trasformato, poco per volta, in ciò che voi, giovani del 2025, chiamate romanticamente resilienza.
Che io lo abbia voluto o meno, quel moto passionale che ti azzera la salivazione e ti imperla la fronte, che ti urla di coesione e giustizia, si è dovuto compromettere (che brutto verbo) con quella che chiamano la maturità (semi cit.). Ha dovuto fare i conti con la quotidianità dell’hic et nunc che, credimi, non è fatta solo di bandiere e batticuori.
Sono ancora incazzata? Certo, e molto. Moltissimo.
E la rivoluzione continuo a farla. E non nascondo l’indignazione per gli abusi e le ingiustizie.
Ho scelto solo un più attempato – e forse, più comodo – modus operandi.
Ho provato a insegnare ai miei figli che non si buttano le carte in strada, che esistono le scale a chiocciola ma non quelle sociali, che non devono esistere padroni (manco per gli animali) e che le mani si devono sporcare, ma mai di sangue. Che i colori sono quelli dell’arcobaleno e le lacrime sono sempre benedette, di gioia o di dolore.
E se, oggi, nella nostra cucina (deliberatamente senza tv) si battono forte i pugni e ci si incazza per i fatti di cronaca, si fanno volare santi e madonne per le brutture del sistema, si discute di jazz, di braciole, di Bakunin, di liberalizzazione, di Marco Cappato, beh, io, la rivoluzione, la sto ancora facendo.