
Processo d’appello “Sistema Siracusa”, confermata condanna a due anni per Denis Verdini. Restano in piedi tre condanne e un patteggiamento
La Corte d’appello di Messina ha confermato la condanna due anni di reclusione di Denis Verdini, imputato prima per illecito finanziamento ai partiti, reato poi riqualificato in concorso in corruzione, nell’ultima tranche del processo sul cosiddetto Sistema Siracusa. Sentenza a un anno e sei mesi confermata anche per Giuseppe Guastella. Assolto, per non avere commesso il fatto, l’avvocato Fabrizio Centofanti. I giudici hanno assolto, con la formula perché il fatto non sussiste, dal reato di corruzione i consulenti Mauro Verace, Gianluca De Micheli, Salvatore Maria Pace e Vincenzo Naso. La Corte, riconoscendo le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena a quattro anni per Giuseppe Mineo, ex giudice del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, che in primo grado era stato condannato a sei anni e due mesi, e per Alessandro Ferraro, su accordo con il Pg Felice Lima, a quattro anni e sei mesi di reclusione, il Tribunale lo aveva condannato a sette anni. I giudici hanno revocato nei loro confronti la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, disponendola per cinque anni. Dichiarati prescritti alcuni reati di falso per Verace, De Micheli, Mineo e Pace che, nonostante l’assoluzione per altri capi di imputazione, sono stati condannati con Verdini, Guastella e Naso al risarcimento delle spese legali alle parti civili: la presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero della Giustizia, l’Agenzia delle entrate e gli assessorati regionali all’Energia e ai Beni culturali e il consiglio dell’Ordine degli avvocati di Siracusa. Condannati Mineo, Ferraro, Pace, Verdini, Verace e Naso al pagamento delle spese legali al Comune di Siracusa; Ferraro e Guastella nei confronti del pm Marco Bisogni, attuale consigliere del Csm; Verace e Pace a Nicolò D’Alessandro.
Il procedimento nasce da una inchiesta della Procura di Messina competente perché tra gli indagati c’era il pm di Siracusa Giancarlo Longo. L’inchiesta aveva al centro due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore che secondo l’accusa avrebbero pilotato indagini e fascicoli per avvantaggiare loro clienti. I giudici si sono riservati 90 giorni per il deposito delle motivazioni.
Assolto l’imprenditore romano Centofanti
Uno degli imputati coinvolti nel processo di Messina era l’imprenditore romano Fabrizio Centofanti, l’ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone, che fu arrestato per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale con altre persone, tra cui l’avvocato Pietro Amara. Centofanti è stato coinvolto anche nell’inchiesta aperta a suo tempo a Perugia sull’attività dell’ex consigliere del Csm e ed ex pm romano Luca Palamara, che è stato anche presidente dell’Associazione nazionale magistrati, che fu indagato per corruzione.
A Messina, ieri, in appello Centofanti è stato assolto “per non aver commesso il fatto”. In questo caso all’imprenditore si contestava di aver sostenuto, in occasione del Capodanno 2014, le spese di un viaggio a Dubai, in favore degli avvocati Amara e Calafiore e dell’ormai ex pm di Siracusa Giancarlo Longo e dei rispettivi familiari.
Sulla sua posizione era stato chiaro anche il sostituto Pg Felice Lima durante la requisitoria: «Centofanti non paga il viaggio al magistrato Longo perché i soldi gli vengono restituiti. Li ha solo anticipati», aveva spiegato, chiedendo quindi l’assoluzione.
«L’imprenditore - dichiarano in una nota gli avvocati Nino Favazzo e Maurizio Frasacco -, che fu arrestato e subì un lungo periodo di carcerazione preventiva, aveva da sempre sostenuto di essersi limitato ad anticipare il costo del viaggio per l’intera comitiva e di essere stato rimborsato, subito dopo il rientro in Italia, dai due legali che, senza spiegarne le ragioni, gli avevano comunicato di aver deciso, solo allora, di farsi carico delle spese di viaggio del Longo. La Corte di appello ha, oggi, definitivamente recepito la tesi difensiva, con cui si era sostenuto che il viaggio a Dubai non era finalizzato a consentire ad Amara e Calafiore di stringere accordi corruttivi con il Longo e, soprattutto, che non vi fosse alcuna prova che il Centofanti era a conoscenza della esistenza di un tale accordo».