
Germano, Sorgi e Ravera all’anteprima del SalinaDocFest: il linguaggio in crisi tra memoria, cinema e impegno civile
È partita il 7 giugno dal Multisala Apollo di Messina l’anteprima della XIX edizione del SalinaDocFest, il Festival del documentario narrativo ideato e diretto da Giovanna Taviani, che quest’anno si interroga sul tema “Nuove Parole / Nuove Immagini”: un’indagine profonda e necessaria su come il linguaggio – visivo, politico, pubblico – stia cambiando il nostro modo di raccontare il mondo, e quindi di viverlo.
«Viviamo un’epoca in cui le parole si stanno perdendo, ogni anno ne spariscono tremila dal vocabolario. È una perdita devastante, perché senza parole non solo non possiamo più raccontarci, ma smettiamo di capire e trasformare il mondo», afferma Giovanna Taviani. «Le parole hanno perso la loro forza narrativa e le immagini, svuotate e moltiplicate senza contesto, non ci parlano più. Questo Festival nasce dal desiderio di resistere a questa deriva, per recuperare un linguaggio che sia ancora capace di emozionare, coinvolgere, far pensare. Un'urgenza culturale che richiama in qualche modo anche le parole di Paolo Rumiz, secondo cui l’imbarbarimento del linguaggio segna l’inizio della perdita della coscienza collettiva e di un’Europa ormai afona, incapace di raccontarsi. La crisi delle parole è speculare a quella delle immagini: bombardati da contenuti visivi artificiali, simulazioni digitali, realtà costruite, rischiamo di diventare analfabeti di ciò che vediamo. Le immagini ci circondano, le produciamo, ma non le comprendiamo più. Un paradosso che investe soprattutto i più giovani, esposti a visioni indigeste, stereotipate, eppure reiterate, fino a diventare nuove forme di verità apparente».
Nel cuore della serata, condotta dalla giornalista Maria Lombardo, il prestigioso Premio SDF – Fondazione Messina per la Cultura 2025 è stato conferito a Elio Germano, interprete tra i più intensi del nostro cinema, per la sua straordinaria performance nei panni di Enrico Berlinguer nel film Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre, ruolo che gli è valso anche il David di Donatello 2025 come Miglior Attore Protagonista.
La cerimonia è stata seguita da un incontro pubblico che ha messo a fuoco, con straordinaria intensità, il cuore tematico di questa edizione: “La responsabilità morale delle parole”. A discuterne, insieme a Giovanna Taviani, sono stati proprio Elio Germano e il giornalista e scrittore Marcello Sorgi, autore del libro San Berlinguer. Un dialogo denso, appassionato e lucido, che ha saputo trasformare la memoria in pensiero critico e attualità.
Taviani ha aperto l’incontro con un’introduzione che ha restituito subito la misura e la portata del personaggio Berlinguer: «Usava un linguaggio rigoroso, ma austero. Aveva fiducia nella parola come strumento di trasparenza e responsabilità. Parlare, per lui, era un atto morale». Da qui la domanda a Germano sul lavoro attoriale svolto per restituire non solo il volto ma il tono e la voce di Berlinguer, non come imitazione, ma come incarnazione interiore.
Germano ha spiegato come il film sia stato il frutto di un lungo lavoro di preparazione: «La parte più affascinante è proprio la ricerca: ascolti, registrazioni, interviste, filmati anche di momenti familiari. Berlinguer parlava poco, ma faceva lunghi silenzi. Componendo il suo pensiero con quello degli altri, senza mai alterare il tono: che fosse in un comizio o a casa, la sua voce restava sempre la stessa. E poi faceva domande. Era un uomo che voleva capire».
Marcello Sorgi ha ricordato la complessità del linguaggio berlingueriano e la sua capacità di parlare sia agli anziani che ai giovani. Ha riportato un aneddoto personale risalente al 1975, quando da giovane cronista de L’Ora vide entrare in redazione Enrico Berlinguer, venuto a incontrare Leonardo Sciascia per proporne la candidatura nel PCI. L’incontro, inizialmente ostacolato da una febbre improvvisa dello scrittore, fu breve ma emblematico: alla domanda del direttore Nisticò su com’era andata, Berlinguer rispose semplicemente: «Benissimo». Un silenzio eloquente, un’intesa costruita nella distanza, che dice molto su come a volte siano proprio le parole non dette a definire un rapporto.
Taviani ha poi sottolineato l’importanza della coerenza tra linguaggio pubblico e privato nel caso di Berlinguer, messa in evidenza dalle scene familiari nel film: «Anche a casa, con moglie e figli, Berlinguer discuteva, stimolava pensiero critico, educava all’opinione. La sua comunicazione era sempre politica, nel senso più alto del termine».
Germano ha approfondito il concetto: «La parola politica viene da polis, comunità. Ma da allora a oggi abbiamo assistito a un’operazione scientifica di dissoluzione della nostra cultura collettiva. È subentrato l’individualismo, la competizione, la logica del profitto. Già con il Piano Marshall il nostro immaginario è stato invaso da western e modelli narrativi dove c’è un buono, un cattivo, una semplificazione che ha sostituito la complessità della nostra cultura. È passata l’idea che la felicità si raggiunga vincendo sugli altri. Un’ideologia edonistica che ci ha educati alla menzogna e che si riflette nei linguaggi audiovisivi dominanti. La comunità non è più un valore, e la parola ha perso il suo potere di coesione».
Taviani ha quindi chiuso l’incontro con una provocazione diretta: quali sono oggi, secondo voi, tre parole che hanno cambiato significato pur restando le stesse?
Germano ha citato “comunista”, parola che un tempo racchiudeva senso di comunità, pluralità, giustizia sociale, e oggi è caricata di significati distorti e denigratori; “compromesso”, che nella democrazia era sintesi e oggi è sospetto; e “libertà”, da valore fondante a parola troppo spesso usata per giustificare discriminazioni.
Sorgi ha parlato di “compagno”, termine che univa e accorciava le distanze sociali; “pace”, per la quale Berlinguer avrebbe rinunciato a tutto; e “democrazia”, concetto oggi svilito e svuotato, che fu invece il vero terreno della rottura tra i comunisti italiani e quelli sovietici.
Alla serata era presente anche Lidia Ravera, che nel pomeriggio aveva presentato il suo libro Volevo essere un uomo alla Libreria Mondadori di Messina. Parlando del tema scelto dal Festival, Ravera ha evidenziato come il cinema possa restituire senso alle parole dimenticate, rinnovarle e trasformarle, proprio come fa la parola poetica. È necessario quindi porre l’accento sul peso e sul potere del linguaggio, sottolineando che le parole devono tornare a far paura, a provocare. Per l’autrice, la parola che più rappresenta il nostro tempo è “compassione”: una compassione non effimera ma consapevole, forte, “durevole e armata”, capace di generare trasformazione autentica.
Una serata intensa, profonda, coerente con il tema del Festival, che ha dimostrato come il SalinaDocFest sappia essere non solo luogo di visione, ma anche e soprattutto spazio di confronto e riflessione. Un invito collettivo a tornare a pensare alle parole, e alle immagini, come strumenti di cambiamento e non di consumo.
Il SalinaDocFest proseguirà con il suo programma centrale dal 15 al 20 luglio sull’isola di Salina, nel cuore dell’arcipelago eoliano, tra incontri con autori, cineasti e pensatori, anteprime internazionali, ospiti d’eccezione come il pluripremiato regista Oliver Stone, e tanti appuntamenti dedicati a un pubblico che vuole ancora immaginare un’altra idea di linguaggio, di società, di futuro.