5 Dicembre 2025 Giudiziaria

Maxiprocesso alla mafia dei Nebrodi. In Cassazione reggono le accuse

L’impianto accusatorio ha tenuto. Le due associazioni, quella delle truffe dei Faranda-Crascì e quella mafiosa dei Batanesi, anche per il traffico di droga, sono state riconosciute in via definitiva. Oltre un centinaio di capi d’imputazione, che hanno come data-fine il 19 ottobre del 2015, sono stati falcidiati dalla prescrizione. I capi e i partecipi principali dei gruppi hanno registrato le conferme delle condanne, come scrive oggi Nuccio Anselmo su Gazzetta del sud.

Adesso c’è il sigillo definitivo della Cassazione per il maxiprocesso Nebrodi sulla mafia dei pascoli. Il sistema organizzato delle truffe agricole sui terreni “fantasma” con i contributi non dovuti per milioni di euro, incassati dall’Unione Europea e dall’Agea, messo a punto per decenni dai gruppi mafiosi e criminali tortoriciani, perpetuato per anni anche da Cosa nostra siciliana e poi “regolarmente” esportato in Italia e adoperato anche dalle mafie europee. Sono stati i giudici della V sezione penale della Cassazione, entrati in camera di consiglio martedì scorso, a decidere sui cinquanta imputati.

Ecco alcuni dettagli del maxi dispositivo. Dal combinato tra i rigetti dei ricorsi difensivi e gli accoglimenti, parziali e totali, si può intanto affermare che ci sono state conferme sostanziali di pena - tranne alcuni annullamenti parziali -, per i capi mafiosi riconosciuti dei Batanesi, ovvero Sebastiano Bontempo (cl. ’72) e Vincenzo Galati Giordano; sostanziali conferme - con qualche annullamento parziale -, hanno registrato anche i “partecipi” dei gruppi mafiosi Domenico Coci, Salvatore Bontempo, Sebastiano Conti Mica, Giuseppe Costanzo Zammataro (cl. ’82) “u carretteri”, Gino Calcò Labruzzo.

Torniamo sui capi d’imputazione per le truffe e i falsi che sono stati dichiarati prescritti. In molti casi i giudici hanno ovviamente azzerato tutto, mentre hanno deciso il rinvio sempre alla corte d’appello di Messina per quei casi in cui un singolo imputato rispondeva di più capi d’imputazione, ovviamente per riquantificare la condanna “eliminando” i capi d’imputazione dichiarati prescritti. L’udienza di martedì in Cassazione era stata parecchio lunga. Dopo il complesso intervento del sostituto procuratore generale per l’accusa, si erano susseguite parecchie arringhe difensive, sono almeno una ventina gli avvocati impegnati nella difesa. A vario titolo la Procura di Messina contestava in questa vicenda associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio, uso di sigilli e strumenti contraffatti, falso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata. Emerse un’associazione mafiosa invasiva, capace di rapportarsi, nel corso di riunioni tra affiliati, con organizzazioni mafiose di Catania, Enna e col mandamento delle Madonie di Cosa nostra palermitana. Le indagini furono per mesi molto complesse. I carabinieri del Ros ricostruirono il nuovo assetto del clan dei Batanesi, la Guardia di Finanza si concentrò sulla costola del clan Bontempo Scavo e i Faranda-Crascì.

Il processo d’appello si concluse il 5 settembre 2024. I numeri furono di 65 condanne, con una sola conferma integrale del primo grado per Gino Calcò Labruzzo, e 64 riduzioni di pena, in parecchi casi molto alte, 18 assoluzioni totali e 6 prescrizioni totali. Poi fu una lunga lista di assoluzioni e prescrizioni parziali. Per altri 6 imputati poi fu rigettato l’appello del pm, quindi vennero confermate anche in appello le assoluzioni del primo grado.