18 Giugno 2025 Politica e Sindacato

Ponte, gli “arbitri” strapagati per decidere sulle varianti

Di Carlo Di Foggia e Marco Grasso  - Nei corridoi del ministero delle Infrastrutture è già partito il gioco a indovinare i nomi dei pochissimi fortunati che potrebbero vincere alla lotteria garantita dal Ponte sullo Stretto di Messina. Il via libera al progetto definitivo è stato rimandato a settembre, intanto però si apre una partita ricchissima, che vale milioni: quelli che si dovranno spartire i componenti del cosiddetto “Collegio consultivo tecnico” (Cct). La novità è prevista dal decreto Infrastrutture appena approvato. Il comma 3 dell’articolo 1 impone a Eurolink – il consorzio costruttore del ponte capitanato da Webuild – di accettare la costituzione del collegio, una figura prevista da tempo e codificata pienamente dal nuovo Codice degli appalti voluto da Matteo Salvini nel 2023.

Di cosa si tratta? In sostanza è un collegio arbitrale, di 3 o 5 componenti, che deve dirimere le dispute tra stazione appaltante e appaltatore, cioè fra lo Stato e il costruttore privato. Le due parti nominano uno o due componenti a testa e di comune accordo il presidente. In sostanza, al Cct spetta decidere sulle varianti (e quindi sui costi extra) che il costruttore richiede, un classico delle opere pubbliche italiane. Una trovata che dovrebbe dare un supporto tecnico su materie complesse, ma che in realtà serve anche a dare uno scudo alla Pubblica amministrazione dal rischio di richieste danni e inchieste della Corte dei Conti. Quello del ponte si preannuncia come il più ricco della storia, non fosse altro perché i compensi per i componenti sono calcolati sul valore dell’opera, uno dei più alti tra tutte quelle in costruzione in Italia: 13,5 miliardi (come stimati nel Documento di economia e finanza). Consapevole della cosa, nel decreto il ministero ha imposto di decurtare del 50% i compensi, che però restano comunque elevatissimi. Secondo calcoli di settore, parliamo di emolumenti potenziali massimi fino a 9 milioni per un collegio di tre componenti, 15 milioni se si sale a 5 membri. Cifre da dimezzare, ma parliamo pur sempre di un massimo di 1,5 milioni a testa per ogni componente. Roba da sistemarsi a vita.

Per l’Autorità anticorruzione, invece, il costo totale potrebbe essere perfino più elevato, sui “25 milioni” (anche qui, da dimezzare). Un calcolo, va detto, indicativo, perché si potrebbero perfino attivare un Cct per ogni singola prestazione. In un’audizione alle Camere, il presidente Giuseppe Busia ha criticato il “considerevole aggravio di spesa”, tanto più che metà del costo dei compensi sarà a carico dello Stato. In generale, però, Anac contesta proprio la scelta di ricorrere al Collegio. “Non sembra lo strumento adeguato a prevenire e dirimere controversie e dispute tecniche relative a un’opera di tale importanza e complessità”, ha spiegato il giurista, secondo cui sarebbe meglio “un vaglio pubblico da parte delle istituzioni, da costituire ad hoc, coinvolgendo eventualmente l’Avvocatura dello Stato e altri organi di garanzia, a partire dalla stessa magistratura amministrativa, eventualmente prevedendo una corsia preferenziale”.

In sostanza, secondo l’Authority, per un’opera resuscitata senza gara e che potrà essere realizzata per “fasi esecutive” e non con il progetto esecutivo intero approvato, affidare la risoluzione di controversie ad arbitri privati rischia di far esplodere i costi. Anac propone anche di prevedere controlli antimafia per gli appalti sotto i 150 mila euro e di chiedere un preventivo alla Commissione europea prima di rivedere i costi dei contratti con Eurolink per evitare che venga superato il limite del 50% previsto dalle direttive Ue.
Di norma, nei Cct il ministero delle Infrastrutture nomina propri dirigenti. Anche magistrati amministrativi fanno incetta di incarichi. Secondo l’Espresso, dal 2023 quelli assegnati a dirigenti pubblici o magistrati sono oltre diecimila. Una torta spartita tra pochi grandi nomi che fanno incetta di incarichi (discorso simile per i collaudi amministrativi). In teoria la legge impone ai dirigenti della Pa di non superare il tetto dei 253 mila euro l’anno, dentro cui devono rientrare le parcelle per questi incarichi. Nella realtà non sempre è così. Per il Cct, ad esempio, dentro il limite non dovrebbe rientrare la quota a carico del privato. Fonte: Il fatto quotidiano